Economia. Nella guerra dei dazi tra Usa e Cina chi perde è l’Europa

Della nuova guerra commerciale scoppiata tra Cina e Stati Uniti, tra il Dragone e il Tycoon, tutti ne parlano preannunciando scenari apocalittici e da Medioevo; nessuno, invece, parla delle sorti del Vecchio Continente che in questa querelle è messo da parte, ma che, potenzialmente, è colui che rischia di più in questa guerra.

Pensiamo all’acciaio: l’Europa è un grande esportatore del materiale ferroso. Si vociferò che il Presidente degli Usa Donald Trump, imponendo i dazi a marzo all’Ue, volesse colpire la Germania, rea di non versare quanto dovuto per le “missioni” Nato ovvero circa il 2% del PIL. Con i dazi sull’acciaio, del quale la Germania è un grande produttore, si rischia, nell’Europa, sia le perdita di lavoro causa la sovrapproduzione di materiale poiché non si troverebbe un alternativo mercato di sbocco rispetto a quello americano che frutta circa 4-5 miliardi di dollari e sia la concorrenza d’acciaio nel mercato interno europeo proveniente da paesi terzi che non possono competere in quello a stelle e strisce causa le forti barriere all’entrata.

Ma l’analisi più interessante è il rapporto tra i dazi in Cina e le conseguenze per i marchi automobilistici europei. Come nota, infatti, uno studio del Sole24, i dazi di Trump portano un indebolimento del mercato cinese sia in termini di consumo, ma soprattutto  in termini di snodo logistico portando alcuni grandi marchi automobilistici quali ad esempio la Volvo a rivedere le proprie strategie di esportazione. In più, i dazi portano un forte danno a quei  marchi quali Land Rover o Jaguar che avevano puntato sulla possibilità di spostare la produzione di Suv in Cina a un costo minore potendo così sfruttare economie di scala.

Come notiamo, dunque, la nuova guerra mondiale, incentrata solo ed esclusivamente sul commercio, avrà ricadute pesanti sull’Europa: i dazi renderanno le imprese europee meno competitive e rischieranno di far passare in secondo piano i programmi di ricerca e sviluppo per auto a nuovi emissioni o elettriche a causa di una volontà del settore di cerca migliori mercati di produzione a basso costo. La risposta europea, attualmente, rischia di essere confusa e poco credibile: un mercato unico che al suo  interno presenta tanti squilibri e contraddizioni non sembra minimamente scalfire e preoccupare il Tycoon. Quello che serve in Europa è una nuova politica industriale, davvero comune, che sappia parlare alle imprese proponendo sgravi fiscali uguali per tutti gli Stati membri e che stimoli la domanda interna di beni. In più, è tempo di dialogare con i partner storici per trovare una soluzione: non bastano le ritorsioni, ma il dialogo deve essere a base del nuovo commercio.

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Paolo Caroccia

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