Il caso. Perché abbiamo salutato il combattente Nando Giardini con l’antico rito del “presente”

Il sacrario di Redipuglia

L’8 settembre si sono svolti i funerali di Nando Giardini e la chiesa era piena di persone di tutte le età, persone anziane, giovani e meno giovani tutte accomunate da una profonda e sincera stima per una persona che ha incarnato per un periodo lunghissimo, fino alla sua morte, l’uomo retto, il politico onesto e incorruttibile e, per i familiari, il marito, il padre e il nonno e per quelli della mia generazione, che avevano scelto una posizione scomoda, il padre politico.

Come spiegare a chi non ha avuto il privilegio di conoscerlo, chi era Nando Giardini? Io sono tra i privilegiati e conservo una infinità di ricordi: alcuni che investono la sfera privata e dei quali sono particolarmente geloso ed altri che appartengono al Nando politico che avrei voglia di condividere, ma non basterebbe un libro.
Avevo 14 anni quando ho conosciuto il Dottore Giardini, così lo chiamavamo ed è dovuto trascorrere qualche anno prima di scoprire che non era un medico ma laureato in Economia e Commercio. Per noi ragazzini che con la purezza della nostra adolescenza avevamo deciso di stare dalla “parte sbagliata” Giardini rappresentava il “ponte” tra un periodo storico che non avevamo vissuto, ma che ancora faceva parlare di se, e l’attualità che vivevamo. Era stato un combattente, un puro. Si era preposto assieme a pochi altri di ostacolare l’avanzata anglo-americana in Calabria. Per questo era stato imprigionato, processato, condannato ed infine graziato. Ai nostri occhi appariva come un cavaliere senza macchia e senza paura, uno che non si era mai arreso, un modello da tenere come esempio, da imitare. Quelli erano i tempi in cui definirsi di destra non era solo scomodo per le discriminazioni che si subivano, ma pericoloso per la sicurezza personale e talvolta anche per la vita. Le manifestazioni di piazza e gli scontri tra opposte fazioni erano all’ordine del giorno e noi, poco più che bambini, vivevamo eventi che erano di gran lunga più grandi di noi e che il più delle volte neppure capivamo.
Un sera mi sono ritrovato con il “Dottore Giardini” sotto la sede del MSI e ricordo che portò il discorso sulla opportunità o meno della violenza nell’attività politica. Con l’arroganza, l’ingenuità e la cazzonagine dei miei 14 anni, gli risposi che noi avevamo messo in conto che sarebbe potuto succedere di essere arrestati, condannati ed anche perdere la vita. Ricordo quello sguardo con quegli occhi chiari a metà tra l’affetto paterno e l’ammirazione. Mi fece un lungo discorso sul fatto che la violenza non porta mai a nulla di buono, può succedere di doversi difendere e lo si deve fare, ma la lotta politica si vince con le idee, mi disse.

Il presente a Catanzaro

Se quella sera anziché incontrare Lui avessi incontrato uno dei tanti “Cattivi Maestri” in circolazione sia nel nostro ambiente come in quello avverso quale sarebbe stato il mio futuro? Ho avuto, abbiamo avuto la fortuna di incontrare un “buon maestro”.
Nando Giardini è stato Consigliere Comunale a Catanzaro ed anche Consigliere Regionale. In quei tempi non esisteva il finanziamento pubblico ed i partiti si reggevano sull’autofinanziamento ed i candidati dovevano sia finanziare il partito che la loro campagna elettorale. In occasione di un appuntamento elettorale il candidato Giardini prese il corredo delle figlie e lo andò ad impegnare per finanziarsi la campagna elettorale. Credo che neppure le figlie abbiano fatto mai menzione di questo episodio ed io mi sono permesso di renderlo pubblico ora, solo perché chi non ha mai conosciuto Nando Giardini possa da queste piccole ma grandi cose capire il valore dell’uomo e del perché vantasse l’affetto e la stima di tante persone, anche moltissime che non condividevano i suoi ideali.
Alla fine del funerale il camerata che ha ricordato la figura di Giardini, tra le altre cose ha rammentato che quando si è candidato al Consiglio Regionale la sua segreteria politica era nella sua casa di Via Acri e che in più aveva una casetta a Pietragrande. Qualche settimana fa, quando siamo andati a trovarlo stava in quella stessa casa. Non si era costruito ville con piscina in città e al mare stava sempre nella stessa casetta.
Questo era Nando Giardini. Un uomo che ha vissuto la politica come servizio e mai come interesse personale, ma neppure favorire in qualche modo i suoi congiunti e men che meno i suoi camerati.
Come era possibile accomiatarsi da Nando Giardini come se fosse stato uno dei tanti conosciuti, Lui aveva diritto di lasciare questo mondo così come era vissuto: con dignità, onore e sempre coerente con se stesso.
Noi che lo abbiamo conosciuto direttamente e tutti quelli che lo hanno conosciuto attraverso i suoi libri e dai racconti dei loro padri non potevamo che salutarlo con il rito del Presente.

La nostra risposta
A tutti quegli antifascisti in assenza di fascismo vorrei consigliare di studiare, di informarsi, ma soprattutto di imparare ad inchinarsi di fronte alla morte.
Mi vorrei rivolgere agli aderenti all’ANPI fuori tempo massimo, ma anche a chi non appartiene al nostro mondo. Il rito del Presente non appartiene al regime fascista, è rito di origine militare che viene officiato in tutte la parti del mondo nelle commemorazione dei caduti. Nella tradizione militare italiana risale al Risorgimento e viene ripresa dai Legionari fiumani di D’Annunzio. Non è un atto di ostentazione, ma un patto tra generazioni, un passaggio di consegne, chi “va oltre” lascia a chi resta la testimonianza della propria vita. Mi rendo conto che per chi è abituato a vivere solo di materia ha grosse difficoltà a recepire il concetto di spirito e di interiorità, ma forse con un piccolo sforzo riuscirebbe ad intravedere il “sacro” di questo rito.
Magari una gita, possibilmente guidata, al Sacrario di Redipuglia potrebbe aiutare i più volenterosi.
Gli antifascisti in assenza di fascismo vorrebbero attuare quello che, a parti invertite, neppure il dittatore Pinochet ha fatto. A poche settimane dal colpo di stato in Cile morì Pablo Neruda ed i suoi compagni durante il corteo funebre ripetevano – camarade Pablo Neruda present – . La traduzione la lascio a voi. In quella occasione perfino il dittatore Pinochet si inchinò di fronte alla morte.

@barbadilloit

Michele Scarfone

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