All’inizio delle scorsa estate avevamo definito rilevante e presentato in termini elogiativi l’ultimo libro di Gianfranco de Turris, Julius Evola. Un filosofo in guerra 1943-1945, uscito per Mursia. Abbiamo colto nel segno! Il volume, oltre ad essere stato accolto positivamente dalla critica, ha avuto un considerevole successo. Dopo due ristampe conformi, è in libreria una seconda edizione aggiornata alla luce di nuovi documenti e testimonianze (euro 18,00). Libro importante, in quanto analizza un arco della vita di Evola che va dal 25 luglio del 1943 alla metà degli anni Cinquanta. Nell’introduzione, lo storico Giuseppe Parlato ricorda che “Merito di de Turris è stato quello di essere riuscito a ricostruire in buonissima misura tutti i punti oscuri, le versioni contrastanti, le forzature che riguardavano il complesso itinerario di Evola durante ed immediatamente dopo la Seconda guerra” (pp. 7-8). Il Segretario della Fondazione Evola discute la più significativa bibliografia prodotta in argomento, sottolineandone, a seconda dei casi, gli aspetti positivi, oppure smascherando le falsità, fatte circolare ad hoc, per sminuire il pensatore e la forza del suo pensiero.
Le rivelazioni nel volume
Tra le rivelazioni più significative della prima edizione, quella inerente il nome che Evola si era dato in Austria, Carlo de Bracornes. De Turris lo ha ricavato dall’epistolario intercorso tra il pensatore e Walter Heinrich. Altrettanto rilevante ci era sembrato il rapporto riassuntivo stilato dal dottor Dussik dell’ospedale di Bad Ischl, da cui si trae la data esatta del bombardamento durante il quale Evola rimase ferito a Vienna “In data 21/1/45 il paziente ha subito, a causa della caduta ravvicinata di una bomba, una contusio spinalis” (p. 113). La testimonianza smentisce le numerose illazioni create attorno alla paralisi delle gambe di Evola. Ora, nella seconda edizione, de Turris, in merito al soggiorno nella capitale austriaca del tradizionalista, si avvale di due lettere inedite da questi inviate al pittore Filippo de Pisis a Parigi, rintracciate da Giulia Toso e pubblicate in Studi Evoliani 2015, dalle quali si evince che Evola non ebbe una sola residenza a Vienna. In una delle lettere compare uno degli indirizzi dove Evola risiedette, “Wollzeile 25”: una stanza in affitto, non distante da “Neuer Markt 3”, dove egli ebbe un secondo punto d’appoggio. Entrambi gli indirizzi sono prossimi alla Schwarzenbergplatz, nella quale una scheggia di bomba lo colpì il 21/1/45, paralizzandolo agli arti inferiori. Perché Evola interrogò il Fato? Per comprendere se “sopravvivere, come e con quale compito, oppure essere inghiottito nella fornace di fuoco come tante miglia di viennesi” (p. 115).
La risposta del Fato fu chiara. Una nuova testimonianza, rilasciata all’autore dallo storico Marco Rossi, lo conferma. Si tratta di quanto, in prima persona, gli raccontò l’orientalista Pio Filippani Ronconi. Questi, con Scaligero e Colazza si era recato a far visita ad Evola nel 1952. Durante l’ incontro i tre cercarono di convincere il pensatore a metter in pratica un tentativo di auto- guarigione, attraverso esercizi mirati ad interagire sul “corpo sottile”. La nota idiosincrasia evoliana per l’antroposofia e la ferma convinzione che la menomazione fisica non gli avrebbe impedito lo svolgimento del compito prioritario che si era dato nel dopoguerra, lo distolsero dal mettere in pratica il consiglio. Al filosofo, in quel frangente, interessava esclusivamente l’esercizio del magistero spirituale nei confronti di chi non si era arreso. Tale compito fu, suggerisce de Turris, agevolato dalla paralisi. Estremamente importane, inoltre, la testimonianza rilasciata dallo scrittore calabrese Claudio Pirillo, che conobbe il medico di Evola, Procesi. Questi gli riferì che Evola chiese di essere ammesso alla Fratellanza di Myriam di Kremmerz, ma nel circolo più interno della sua organizzazione. Gli venne concesso solo il grado progressivo iniziale del circolo esterno. Evola rifiutò, non accettando un’ iniziazione “isiaca”, ritenendosi pronto per un’ iniziazione superiore, “osiridea”.
L’eredità culturale di Julius Evola
Va segnalato un altro volume di rilievo. Nel 2014, in occasione del quarantennale della morte del filosofo, la Fondazione Evola organizzò a Roma, assieme all’Accademia Nazionale dei Filateti, un Convegno intitolato “L’Eredità di Evola”. L’evento suscitò polemiche a non finire, a destra e a manca. E’ da poco in libreria, per le Edizioni Mediterranee, la raccolta degli Atti di quella giornata, L’eredità culturale di Julius Evola (per ordini: 06/3235433, ordinipv@edizionimediterranee.net). La silloge presenta le relazioni di dieci docenti, provenienti da diverse università italiane, esperti dei settori in cui si espresse la produzione evoliana. E’ arricchito dalla Nota del curatore, Gianfranco de Turris, dalla Presentazione di Giancarlo Seri, presidente dell’Accademia nazionale dei Filateti e dall’Introduzione di Pietro Mander. Anche il lettore più superficiale può constatare che, in quell’occasione, non ci fu alcuna “contaminazione” massonica della dottrina evoliana, ma solo la condivisa volontà di approfondire e contestualizzare l’opera del pensatore al fine di valutarne l’eredità. E’ paradossale che le reprimende contro l’evento giunsero dall’ “alto” dell’Accademia di sinistra e dal “basso” della Militanza di destra.
All’Università “Sapienza” di Roma si tenne per l’occasione un Convegno dal titolo significativo “Relazioni pericolose. La storia delle religioni italiana e il fascismo”, in cui noti docenti di tal disciplina, con molto ritardo, presero le distanze dai loro Maestri, tutti compromessi con il fascismo, da De Martino a Brelich, da Sabbatucci a Pettazzoni. La cosa è ricordata da Giovanni Casadio. Il suo testo, oltre ad occuparsi delle opere di Evola afferenti alla storia delle religioni, ricostruisce, in modo minuzioso i rapporti di alcuni docenti ed il regime, nonché le loro relazioni intellettuali con Evola. I contestatori militanti, al contrario, hanno di mira un Evola esclusivamente politico, ridotto ad “immaginetta” da sezione, un totem da venerare e da non discutere. Un Evola dimidiato. Le relazioni del Convegno, in alcuni casi critiche rispetto alle posizioni evoliane, presentano, al contrario, la centralità del filosofo nel dibattito intellettuale.
Vitaldo Conte analizza l’essenzialità di Evola nello sviluppo dell’arte contemporanea, discutendo il suo attraversamento delle avanguardie. Massimo Donà si occupa, in modo persuasivo, del tratto innovatore, anti eleatico, dell’idealismo magico. Davide Bigalli presenta la tradizione ermetica ed evidenzia come in essa emerga la distanza tra la concezione eroico-magica e le posizioni religiose. Fabbri indaga il rapporto tra Evola e la sociologia islamica, mentre Mario Conetti si interroga sul contributo evoliano alla storiografia. Lo storico Giuseppe Parlato analizza l’azione di interventismo culturale e politico del filosofo nel secondo dopoguerra. Infine, Romano Gasparotti si intrattiene su Evola e la filosofia dell’eros.