
Da un lato un candidato presidente apparentemente inadeguato, grossolano, dozzinale ed a tratti persino volgare. Dall’altro lato un candidato presidente che ha avallato l’invasione dell’Iraq, deciso la cacciata di Gheddafi e provocato la destabilizzazione della Siria armando e finanziando gruppi di integralisti islamici contro Assad, con la conseguenza di migliaia di vittime civili e migliaia di profughi e disperati nel Mediterraneo. Se è vero che al peggio non c’è mai fine – e Trump secondo i soliti benpensanti il peggio lo rappresenterebbe benissimo – aver contribuito pesantemente a trasformare dei Paesi storicamente laici in Paesi devastati dall’integralismo islamico ed aver indicato la Russia di Putin come una sorta di nemico giurato dovrebbe essere sufficiente, specie per italiani ed europei, a rendere allarmante e pericolosa una vittoria di Hillary Clinton alle odierne presidenziali.
Una campagna elettorale brutale e piena di veleni che rischia di rappresentare un pericoloso precedente anche per la altre democrazie occidentali che si sono sempre nutrite delle “novità” d’oltreoceano.
Sintetizzando, il miliardario Trump paradossalmente si fa paladino delle pulsioni e dei sentimenti popolari – e delle classi medie economicamente fiaccate dalla crisi – contro le élite finanziarie e politiche, dall’altro lato, sempre in teoria paradossalmente, la democratica Clinton rappresenta lo status quo ed il vecchio establishment. E’ evidente che in Europa i risultati elettorali verranno rielaborati e ribaltati in base alle convenienze degli attori politici in campo, ed in particolar modo movimenti populisti contro partiti tradizionali giocheranno ad intestarsi la vittoria dell’uno o dell’altra.

La sensazione è che, Clinton o Trump, per gli Stati Uniti sia iniziato un primo significativo declino da ultrapotenza mondiale. Per l’impero americano la fase propulsiva sembra essere terminata con la caduta del muro di Berlino. Senza un’altra superpotenza che facesse da contraltare alle scelte degli Usa, infatti, si sono moltiplicati negli ultimi 25 anni teatri di scontro e conflitti causati anche da errori dipesi dalla presunzione di essere i gendarmi del mondo. Ora bisognerà comprendere se seguirà un periodo guidato tendenzialmente più dall’isolazionismo o dall’aggressività, come ciò si potrà conciliare con le prime crepe nelle sfere geopolitiche di influenza, con il ruolo più marcato della Russia di Putin in Europa ed in Asia e con il ritorno ad un mondo multipolare dove le potenze “regionali” giocano a guadagnare terreno, pur nella consapevolezza della innegabile supremazia militare statunitense ma senza riconoscerne più la leadership globale e morale.