Il 1 Maggio del 1952 Eva Perón si è concessa al suo popolo per l’ultima volta, pallida sotto la cipria rosea, smagrita al punto da far leggermente intravedere la sua figura, debole e con la necessità di essere sorretta, fedele a quelle convinzioni, in nome delle quali ha chiamato nuovamente a raccolta il suo popolo mettendolo in guardia. “Noi siamo il popolo, ed io so che se il popolo sta in allerta, siamo invincibili, perché noi siamo la Patria stessa.” – ha concluso con voce ferma il suo supremo sforzo per la patria e per Peron, poi si è abbandonata alla morte, tra le braccia del suo amato Presidente, il simbolo da lei stessa riconosciuto di uomo in grado di pensare e agire, per il benessere e la grandezza della sua Argentina. Un messaggio di speranza, condito con l’amaro ingrediente della disperazione di chi saluta per accomiatarsi per sempre.
Nata in un villaggio in cui le questioni più piccole sanno divenir grandissime, Eva María Ibarguren, povera e rinnegata dal suo steso padre, emarginata dai suoi coetanei, ha appreso sin da subito lo sforzo della difesa e l’inconsistenza della giustizia. Conquistò a caro prezzo il cognome di Duarte e quando l’ebbe le sembrò già svuotato del senso, che ad esso aveva dato nella fase iniziale della sua giovinezza. La madre le chiedeva di avanzare “normalmente”, di sposare un uomo benestante e vivere accanto a lui protetta più che amata, sicura più che felice, rassegnata alla sua condizione, al risvolto naturale del suo destino. Non aveva fatto i conti con la rabbia, trasbordante dal petto della vivace bambina. La sua libertà è approdata lì, nel tormentato porto del rancore, che sebbene le abbia negato la titolatura di santa voluta con insistenza da Peròn, le ha assicurato un posto ancor più degno: guida spirituale dell’Argentina peronista.
Testarda e tenace è riuscita a scappare ben presto dalla sua “baracca” alla conquista della città; da attrice, proprio lei, seppur non dotata di una particolare bellezza, donna di raro fascino, seppe incontrare e ammaliare Peròn. Le umiliazioni subite tra il 1935 e il 1939 le aveva scelte lei stessa, come “retribuzione del lusso” – ha scritto Abel Posse – di non voler avere un destino silenzioso da classe media di provincia.
L’incontro con Peròn di cui la letteratura su Evita non tralascia commenti, ha i tratti dell’attimo eterno, l’immagine della svolta intervenuta ad un tratto nella corsa del destino. In Peròn, Eva, ha ritrovato la libertà di essere ciò che è sempre stata; il suo conto con la vita è pagato e corre ad occupare il posto subito riconosciuto. Amante e amica fin da subito, è stata lei la donna che accanto a Peròn il 9 ottobre si è barrica nell’appartamento di Calle Posadas, spostando l’armadio e mettendo i materassi contro le porte, tentando di evitare l’inevitabile arresto, avvenuto comunque il 13 ottobre del 1945, per volontà dei generali delle forze armate, sotto le urla e gli sputi dell’agguerrita e indomabile Eva. Lei l’animatrice del “tuono popolare”, che ha scosso un’Argentina languida, sconfitta nelle mani della democrazia, quel fatidico 17 ottobre1945, lì dove il supremo atto d’amore tra il Capo e il suo popolo si stava compiendo.
Apprese tutto da Però,n per sua stessa ammissione, il resto seppe impararlo dalla vita, tranne il calcolo e la convenienza diplomatica, materia odiata profondamente dalla sua istintività. Non pochi gli ospiti che hanno potuto vantare di essere stati “maltrattati” verbalmente dall’irruenza di Evita e lo stesso Peròn conosceva le falle della sua razionalità. Seppur coltivava il sogno di Peròn, di una democratizzazione sociale dell’Argentina, le stavano stretti i limiti demografici ed economici, che lo statista argentino le poneva.
Ma per quanti limiti le indicasse, lo stesso Peròn aveva bisogno dello slancio emotivo e passionale dell’ azione sociale della sua Eva. Sicuramente ne comprese ben presto la forza comunicativa, spronandola a rappresentare l’Argentina in più occasioni. E’ Eva ad essere ben accolta e attesa con curiosità a Madrid; la Madrid di Franco, riconoscente alla neutralità argentina durante la guerra, saprà tollerare la demagogia socialista del discorso di Evita. Del resto la piazza era gremita per vedere lei, per ascoltare la sua speranza, abbeverandosi di quell’esibizionismo istrionico come qualcuno lo ha definito bonariamente.
I capelli biondi raccolti in uno stretto chignon e gli occhi neri, profondi come il buio intensificati dal trucco, ne facevano una femminista femminile, valorizzata da abiti sistemati sulla sua figura e dall’immancabile tocco di profumo. Il suo passato da attrice le dava la forma, la sua vita e l’incontro con Peròn la sostanza. La malattia il suo calvario, per aver difeso i poveri probabilmente o piuttosto la sua storia che la fagocitava dall’interno, riducendola ad un agglomerato di pelle ed ossa, illuminato dalla luce del suo sguardo. “Patetica”, osarono definirla i detrattori, per la sua apparizione del 1 Maggio né più generoso, scivolando nel sentimentale, il ricordo che di lei hanno lasciato un non troppo fedele musical americano e qualche biografia azzardata; passionale invece nel dipinto di Abel Posse, tra i romanzi più meritevoli su Evita Peròn.
Cosa è stata l’Argentina dopo la morte di Eva Peròn è facile dire, basta leggere i numerosi testi di storia del Paese; quello che importa è che l’invadenza di Gran Bretagna e America nella vita della Nazione troveranno uno spunto di apertura che prima non vi era. I popoli trovano una forza mai conosciuta, quando riversano la loro fiducia e la loro fede sulle spalle del comandante che li guida. Eva Peròn seppe essere un comandante, accanto ad un comandante. Biasimata per la sua posizione, sminuita per il suo sesso e la sua mancanza di cultura, ha saputo guadagnarsi il rispetto di una Nazione e dei suoi stessi avversari, se a tal punto il suo corpo morto ha dovuto far paura, da perseguitarlo. Lasciamo che il silenzio racconti la viltà del gesto dei suoi nemici e ricordiamo l’esempio di lotta e rinascita per un’Argentina, che anche grazie ad Evita Peròn ha trovato il coraggio di virare e proseguire verso la direzione della grandezza. “Non posso eliminare le bruttezze del mondo ma sono in grado di regalare il sogno di un futuro migliore. Non è poco” – Ammise lei stessa prima di morire.
Salve mi complimento per il suo articolo su Evita Duarte che, ritengo essere la figura femmine di maggior rilievo nella storia moderna.Poiche’ sono interessato ad approfondire l’argomento le hirdo se sa indicarmi la bibliografia alla quale ha fatto riferimento per la redazione della sua pubblicazione e se mi puo’ suggerirmi i testi biografici pubblicati in lingua italiana.
Il Peronismo fu Perón, certamente un leader vero, di origine piemontese,che voleva modernizzare l’Argentina (il meglio del fascismo italiano tranne i suoi difetti), meno quello che il generale riuscì alla impetuosa e trascinante moglie di non far fare. Evita impresse al movimento caratteri antioligarchici, demagogici, populisti, che si sarebbero riverberati sui decenni successivi. Assieme ad una forma mentis, ad un assistenzialismo improduttivo che precipitò la ricca Argentina in una crisi economica dalla quale, tra pochi alti e molti bassi, non è più uscita. Credo si sia trattato di un’occasione perduta, simbolizzata dal golpe del ’76, già morto il caudillo, quando un po’ tutti, estrema sinistra esclusa, chiesero a gran voce l’intervento dei militari per porre fine alla guerra civile ed al caos. Una verità che molti han poi trovato comodo occultare…
L’opera migliore per me rimale Félix Luna, Perón y su tiempo, non so se tradotta in italiano.
Pardon: meno quello che il generale non riuscì a non far fare alla moglie.
Penso tu debba rivedere la lettura degli ultimi 80 anni della storia Argentina e in particolare del peronismo e di chi fu e come si comporto’ Peron ma soprattutto di chi fu Eva Duarte e cosa rappresento’ per il popolo argentino e per l’evoluzione che impresse alla nazione e alla condizione di migliaia di famiglie di diseredati. Quello che tu chiami populismo si chiama in italiano giustizia sociale.