Nessuna ricostruzione a destra è all’orizzonte: un solido soggetto politico . Con realismo Marco Valle, scrittore, giornalista e animatore di Destra.it, commenta in questo dialogo il quadro politico in vista delle elezioni di primavera che riguarderanno grandi città come Napoli, Roma, Milano, Torino e Trieste.
Nel 1993 le amministrative – con gli exploit di Gianfranco Fini e di Alessandra Mussolini nonché con vittorie in tanti comuni sparsi per l’Italia – segnarono la svolta a destra, con l’ingresso – di lì a pochi mesi – del Msi nell’area di governo. Nel 2016 che orizzonte c’è per l’area delle destre e per l’arcipelago sovranista?
“Siamo realisti. Al netto di qualche bagliore l’orizzonte è cupo. La destra politica non è ancora riuscita ad intraprendere un autentico percorso di ricostruzione. Nonostante gli innegabili sforzi, FdI — l’unica ipotesi politica autonoma oggi presente in Parlamento — rimane una proposta incompleta e fragile, ancorata a tatticismi più o meno fortunati e priva di un progetto culturale ed economico articolato. La rottura con Berlusconi — sempre più attratto per motivi privati dal “partito della Nazione” renziano — è un dato importante, ma la mancanza di un profilo alto, di pensieri lunghi e complessi, l’assenza di interlocuzioni con i segmenti sociali dinamici prima o poi si pagano. Il rischio è la subalternità. A furia di inseguire i grappoli di disagio — massaie xenofobe e pensionati incazzati — o strimpellare tra commemorazioni e nostalgie si finisce risucchiati dal cono d’ombra leghista o/e inchiodati al marginalismo funerario”.
Il caso Roma. Giorgia Meloni, con l’asse FdI-Lega, corre senza l’appoggio di Forza Italia, confluita sulla candidatura di Alfio Marchini. Storace e gli alemanniani di Azione Nazionale hanno preferito il costruttore ex Pd alla leader di Fratelli d’Italia. Sono un dato di fatto le fratture tra ex An?
“La vicenda di Alleanza nazionale è terminata, chiusa. Nel modo peggiore. Su quelle basi e con quel personale non si ricompone nulla: troppi rancori, troppi odii, troppi fallimenti. Il malinconico declino personale (inutile parlare di politica…) di alcuni ex protagonisti lo conferma una volta di più. A Roma Giorgia ha avuto il coraggio di mettersi — seppur tardivamente — in gioco, salvando la dignità di una storia ben più importante e nobile di quella di AN e, al tempo stesso, è stata capace di aprire una fase nuova. Ma l’audacia e la tattica non bastano. Accanto agli slogan e all’entusiasmo, servono categorie culturali forti, visioni complesse e un profilo di governo con cui trovare una sintesi vincente tra la città dell’innovazione, del fare e la città dell’esclusione, del disagio sociale. Nel segno della città futura”.
Nell’area postfascista corre anche Simone Di Stefano per CasaPound. Come si spiegano le difficoltà di fare sintesi a destra tra le proposte politiche sul tavolo?
“Casa Pound è una splendida realtà umana, un bel laboratorio socio culturale ben lontano dalla destra funeraria, ma è in ritardo (vedi la tormentata vicenda Salvini) sulla progettualità politica e sconta in alcune zone una visione ancora giovanilistica. Di sicuro CPI è destinata a crescere nel tempo e a radicarsi. La Meloni dovrebbe finalmente prenderne atto ed aprire un dialogo costruttivo. Le intelligenze debbono confrontarsi senza chiusure e inutili settarismi”.
A Milano, la convergenza di tutto il centrodestra sul manager Stefano Parisi è una scelta che segna il primato della società civile o la mancanza di esponenti politici di partito in grado di avere una visione di governo in una metropoli?
“Da elettore milanese la scelta Parisi non mi entusiasma. Come il suo concorrente Beppe Sala il personaggio è intelligente e callido, ben introdotto nei circuiti di potere, ma rappresenta la sconfitta piena della politica ambrosiana e del centrodestra in particolare. È incredibile come cinque anni siano passati invano: dalla sconfitta della Moratti ad oggi il centrodestra non è stato capace di elaborare dal suo interno una proposta valida e indicare un candidato vincente. Mi preoccupa inoltre la povertà del programma, oltre alla sicurezza e qualche banalità assortita, non vedo molto altro. Eppure stiamo parlando del governo di una supermetropoli dove operano 123 imprese con fatturato superiore al miliardo di euro, ben più che a Barcellona e Monaco, e 3100 sedi di multinazionali estere. Milano è l’unica “città anseatica” della Penisola e merita una progettualità e un piano strategico adeguato che guardi oltre alla rappresentanza manifatturiera anche alla logistica, all’agricoltura evoluta e al welfare. Insomma, volantinare ai mercati contro le moschee e i clandestini può essere utile per racimolare qualche preferenza, ma la Politica è altro“.
In Austria il partito della libertà raccoglie oltre il 35% delle preferenze. In Francia il Front National è il primo partito nelle ultime consultazioni. Cresce in Germania a destra della Cdu l’AfD, formazione anti-islamica. L’evoluzione dei partiti populisti europei può avere influenze in Italia?
“L’Europa intera sta modificando il suo profilo. Dobbiamo tenerne conto e leggere il cambiamento in atto con lenti precise e senza provincialismi. Immaginare di poter replicare sic et simpliciter in Italia esperienze straniere è sciocco e velleitario. La storia politica e la stratificazione socio-culturale ed economica del nostro Paese impongono soluzioni originali e adeguate alle sfide in atto. Da qui, ripeto, il bisogno di pensieri lunghi”.
La Lega di Salvini, interrotti i rapporti con CasaPound, ha ancora un’anima – seppure minoritaria – interessata a sostenere tesi sovraniste e anti-mondialiste?
“Sono sempre stato molto scettico sul salvinismo e le ricostruzioni “fascio-leghiste” mi sembrano azzardate se non fantastiche. La Lega è una creatura anomala ma coriacea: al suo interno convivono anime differenti, sempre però coese nella difesa dei propri interessi elettorali ed economici ed indifferenti se non ostili ad ogni tentazione culturale. La cifra della Lega (e di Salvini) è il pragmatismo bossiano, una totale spregiudicatezza nei rapporti con gli interlocutori esterni (nazionali e internazionali) mescolato al primitivismo politico e all’occhiuta attenzione alla “cassa”. Immaginare di poter “colonizzare” il leghismo con parole d’ordine alternative o ipotizzare di saldare alleanze stabili è illusorio”.
Intanto su scenari geopolitici, welfare, riforme, energia e altri temi cruciali nell’area culturale e politica sovranista l’elaborazione è ferma o molto parziale. Da dove bisognerebbe ripartire?
“Dopo il fallimento dell’esperimento tentato ad Atreju lo scorso settembre, la non entusiasmante vicenda di Terra Nostra e la costante sordità della Fondazione AN, è inutile attardarsi a cercare interlocutori politici (non ci sono e se ci sono pensano ad altro) o annoiarsi con i resti della destra funeraria. Meglio valorizzare gli strumenti esistenti: i laboratori on line come Barbadillo, Destra.it, Primato Nazionale e altri, le iniziative editoriali (Ecclettica, Bietti, Settimo Sigillo, Storia in Rete, Il Nodo di Gordio, Il Cerchio etc.), i circoli e le librerie. Se sapremo individuare un percorso possibile, coinvolgendo le intelligenze vive (quelle defunte possiamo lasciarle a Marchini…) e lanciare una o più iniziative comuni, le tante isole potranno formare un arcipelago. Ne parleremo dopo le amministrative”.