Parigi. Poche ore dopo l’esito delle regionali una troupe del canale all news BFMTV era salita a Parc de Montretout, la residenza di Le Pen-padre, e gli aveva chiesto un commento al voto. La risposta era stata: la partita non è affatto chiusa. Adesso si sposta al 2017, le presidenziali. Per combatterla e vincerla, questa partita, Le Pen-padre aveva detto testualmente che “tutta la famiglia nazionale francese si dovrà riunire attorno al Front national per il semplice fatto che è diventato il primo partito di Francia, con sette milioni di voti”.
Parole nuove per Le Pen-padre? Per chi lo segue e lo conosce no. Nessuna novità. Tutti i discorsi pronunciati sotto la statua di Giovanna d’Arco a rue Rivoli il 1 maggio di ogni anno sono stati all’insegna dell’unità nazionale in nome dei valori comuni alle destre francesi. E tutti i discorsi pronunciati ai BBR, le Feste tricolori di settembre, sono stati sempre all’insegna della stessa unità dei nationaux. Le Pen-padre insomma non è mai stato alieno dal concepire alleanze e aggregazioni, salvo ovviamente quando il suo partito era sotto attacco. Il che è avvenuto assai spesso.
Le manovre in vista delle presidenziali e la crisi dei gollisti
Tutti i sondaggi dicono che sarà una partita a due: Sarkozy o Juppé e Le Pen-figlia. Hollande fuori. Ma tutte le previsioni (ultima quella della Odoxa fatta per conto di “Paris Match” e di “Itélé”) dicono che il partito oggi guidato da Sarkozy è destinato ad implodere. Lo prevedono due francesi su tre.
Il sisma interno ai Républicains successivo al voto del 13 dicembre è di tale profondità che i suoi esiti non sono ancora finiti e soprattutto non sono al momento prevedibili. Il malessere dei quadri e dell’elettorato è crescente e chiassoso. Il gruppo di “France audace” parla di “macchina elettorale che è finita fuori strada”. Quelli del club “Droite libre” auspicano “la rifondazione dopo il disastro”. François Billot de Lochner, autore di “Echapper à la mort de la France. En route vers 2017”, scrive: gli elettori chiedono una sola cosa, “che la destra esprima idee di destra e faccia una politica di destra”.
Per stoppare Alain Juppé, il suo unico reale concorrente per l’Eliseo, Nicholas Sarkozy ha già cominciata la sua piccola notte interna dei lunghi coltelli. Ha cacciato via dalla vicepresidenza dei Républicains Nathalie Kosciusko-Morizet, troppo vicina a Juppé.
Tiene sotto preoccupata osservazione le mosse di Laurent Wauquiez, il campione della destra identitaria postgollista, l’uomo che ha vinto a mani basse il secondo turno nella superegione Auvergne-Rhone-Alpes, il quale si muove sotto l’input di Patrick Buisson, ex-consigliere di Sarkozy all’Eliseo con un passato giovanile in Ordre Nouveau e, giornalisticamente parlando, a “Valeurs actuelles”, oggi in disgrazia per impicci complicati nei quali ha ficcato non solo sé stesso ma, quel che più conta, lo stesso Sarkozy. Sarko gliel’ha giurata ma lui, Buisson, continua ad operare dietro le quinte. Tutti questi movimenti nell’area postgollista sono destinati ad aumentare di intensità. E su questo punta Marine Le Pen per acquisire nuovi spazi di manovra sia a livello popolare sia a livello istituzionale.
Floris de Bonneville su “Boulevard Voltaire” ha scritto una nota che ha sintetizzato bene tutto questo magma:
“Adieu le front républicain, voici venu le temps du front patriote”.
D’incanto è riapparso questo vocabolo che pareva finito in fondo ad una discarica, un patetico reperto del lessico maurrassiano o magari pétainista: patriota. Qualcuno si è ricordato che quando, qualche mese fa, Sarkozy ha deciso l’ennesimo cambiamento di nome al suo partito, all’interno del FN si è agitato il tema di cambiare anche qui il nome con quello di “les patriots”: l’iniziativa è di Philippot, il braccio destro di Marine, di formazione golliste.
Poche ore dopo le parole di de Bonneville sono arrivate quelle di Robert Ménard, il fondatore di “Boulevard Voltaire” (oltre che di Reporters sans frontières nonché sindaco frontista di Bèziers), il quale ha scritto “Patriots, préparez-vous pour le grand combat!”.
Qualcun altro, proprio nelle scorse ore, ha proposto di chiamare “Rassemblement pour la France” questa nuova aggregazione della quale il FN sarebbe l’elemento principale ma al quale potrebbero unirsi tutti quelli che ancora credono all’indipendenza nazionale, alla sovranità popolare ed alla grandeur della Francia, le tre matrici eterne di quel che fu il gollismo.
Lo stesso Florian Philippot ha lanciato un appello al leader della lista Debout la France, Nicolas Dupont-Aignan, per una convergenza-confluenza. Debout la France, destra nazionale moderata, ha ottenuto alle regionali poco meno di un milione di voti. Poi ci sono i movimenti di Philippe de Villiers, campione dei sovranisti cattolici, profondamente radicato in Vandea, il cui ultimo libro ha venduto migliaia e migliaia di copie a conferma di una sua non scalfita popolarità. E, poi, ancora è in fermento la grande galassia dei gruppi usciti dal FN, i sovranisti, che stanno cercando di contarsi e darsi un peso politico. Sono voti, intelligenze, militanza delle quali non si può fare a meno.
Insomma “ça bouge”, qualcosa si muove. Sul penultimo numero del settimanale storico della destra “Minute”, Jean-Marie Le Pen ha auspicato che “tutte le forze patriottiche si riuniscano”.