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Artefatti. I fantasmi di Mantova e la lotta Dada-Futurista nella palude classicheggiante

by Donato Novellini
25 Ottobre 2015
in Artefatti
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dada1Non tutti sapranno che l’8 Febbraio 1909, con qualche giorno d’anticipo sulla pubblicazione in prima pagina da parte del quotidiano parigino Le Figaro, fu la Gazzetta di Mantova a dare notizia del battesimo futurista. Traendo informazioni preziose da un impolverato saggio di Renzo Margonari, intitolato Cantarelli e Fiozzi: Futurismo e Dadaismo a Mantova, apparso sul bimestrale Civiltà Mantovana del 1976, possiamo ripercorre con una certa sicurezza la breve storia dello sbarco avanguardista nel lacustre e nebbioso feudo gonzaghesco. L’incontro/scontro fra le istanze artistiche innovatrici dei primi del ‘900 e la tradizione fondamentalmente ancora rinascimentale e classicheggiante dell’Italia provinciale, trova qui – più che nelle grandi città industriali come Milano e Torino, in costante movimento – esemplificazione perfetta di un vivace contrasto.

Già nell’Aprile del 1911 Marinetti, accompagnato, ça va sans dire, da un manipolo di arditi creò subbuglio in città, con la stampa cittadina pronta a soffiare sul fuoco: tra ipotizzate sfide a duello con i passatisti locali, previsione di contestazioni – come avvenuto a Parma, dimostratasi ostile al verbo parolibero (nella città ducale Marinetti fu scortato all’uscio per evitare il linciaggio) – e annunci di intemperanze pubbliche, la macchina pubblicitaria futurista trovò ovviamente terreno fertile per la provocatoria messinscena. Tuttavia i piani non andarono esattamente come le premesse che l’hype mediatico avrebbero fatto supporre, visto che l’ipocrita indolenza del pubblico mantovano confluito al teatro Andreani, riservò all’iniziativa null’altro che il conformismo degli applausi. Bene o male, purché se ne parli e, a tutti gli effetti, quel battesimo senza lancio d’ortaggi sancì con cinque anni d’anticipo l’ufficialità delle onorificenze nazionali: un futuro se non da pompieri, quantomeno da gendarmi s’andava prefigurando.

Risulta interessante proporre qui uno stralcio estrapolato dalla Gazzetta di Mantova, direttamente dall’archivio, anno 1911: Le molte verità che vi si affermarono erano schiacciate da troppi altri assolutismi, resi anche più ostici da una serie di aggettivi studiatamente violenti e ricercatamente crudi, i quali assolutismi con la loro eccentrica, stravagante essenza anziché persuadere venivano a togliere, a spegnere anche la favorevole impressione che avesse eventualmente suscitato qualche verità detta senza le solite prudenti circonlocuzioni. La folla si lascia sempre facilmente soggiogare da queste virtù virili e specialmente al nostro popolo mantovano piace il sangue caldo e generoso. Tutte palle, per essere eleganti. Nonostante il resoconto “possibilista” dell’inviato, la militanza futurista nel mantovano si ridusse ad una ristretta cerchia di eccentrici scapestrati e a nulla valse l’ufficialità della mostra a Palazzo Ducale nel 1933, siglata “marciare non marcire”. L’accademico d’Italia Filippo Tommaso Marinetti tornò “graduato” sul luogo del mancato delitto ai danni del passato proprio in occasione della Mostra Nazionale Fascista. Alla idiosincratica manifestazione, tesa con encomiabile megalomania ad imporre un nuovo corso a corte, il quotidiano La Voce di Mantova dedicò un’intera pagina. Sorsero vibranti proteste da parte dei Gonzaga, da sottoterra.

dadaAldilà dell’istrionico genio da promoter di Marinetti, chi lasciò un segno sostanziale sul nuovo corso artistico mantovano fu Umberto Boccioni, tant’è che così si espresse Palazzeschi a riguardo: Nell’insegnare ai giovani a essere giovani in un paese dove a quel tempo nei confronti dell’arte si nasceva ottuagenari, Umberto Boccioni fu grande come nessuno. Ed i giovani esegeti da queste parti furono fondamentalmente tre: Mino Somenzi, Aldo Fiozzi e Gino Cantarelli. Del primo si ricorderà la partenza per il fronte da volontario sedicenne (!) e la militanza dannunziana nell’impresa di Fiume, curando là, insieme a Guido Keller e Giovanni Comisso, i Quaderni della Yoga. Somenzi divenne poi un abile divulgatore del verbo futurista, dirigendo o scrivendo per riviste (Futurismo, Artecrazia, L’ora d’Italia, L’Ambrosiano, Poker e Barbapedana), organizzando eventi, collaborando con gli intellettuali dell’epoca, con particolare attenzione al volo, all’aviazione e conseguentemente all’aeropittura. Da rimarcare l’opposizione assoluta espressa dal futurista mantovano nei confronti di Hitler, della destra fascista e delle leggi razziali.

Per quanto riguarda le travagliate vicende di Fiozzi e Cantarelli, accomunati da un utopico pionierismo interno alla diaspora avanguardista – nel 1920 si consumò la rottura fra Futurismo e Dadaismo – tutto da tradurre in una provincia tradizionalmente contadina, s’impone la necessità di ricordarne in sintesi le gesta. Già fondatori della rivista Procellaria, i due saranno con Julius Evola, i principali rappresentanti del Dada in Italia. Attraverso la seminale pubblicazione titolata Bleu, d’ideazione tutta mantovana, ospitarono contributi internazionali d’indubbia importanza – Luis Aragon, Theo Van Doesburg, Paul Eluard, Theodor Daubler fra gli altri –  in stretto collegamento con Tristan Tzara a Zurigo e con le cellule Dada sparse in tutta Europa. Erano quelli anni confusi, momenti in cui bastava un nonnulla per passare dall’altra parte della barricata: arditi, dannunziani, anarchici, pacifisti, socialisti, fascisti, surrealisti, futuristi, dadaisti, localisti e cosmopoliti, convergenti o divergenti in base a sfumature oggi forse incomprensibili. Ingiustamente dimenticati ancora prima delle purghe del dopoguerra, Fiozzi e Cantarelli rappresentarono il prototipo dell’artista nuovo, del genio capace di fondere poesia, discipline plastiche, pittura, pensiero e azione in rivoluzionaria sintesi. Scrive Margonari a proposito di uno dei due: Il geniale Fiozzi è, tra i dimenticati, il più sconosciuto degli artisti mantovani. Eppure è l’unico – non solo per questa militanza futurista – ad essere ricordato anche a livello internazionale nei più approfonditi studi dell’arte del suo periodo. Le opere sopravvissute sono ben poche. Se non qualche disegno, sono conosciute non più di cinque pitture, alcune delle quali irreperibili. Aldo Fiozzi è ormai un fantasma di cui si parla ma che non si vede, un importantissimo fantasma.

@barbadilloit

Donato Novellini

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