Gli eventi recentissimi – primi fra tutti la dinamica avviata nel Vicino oriente e in Africa dalla presenza dello “stato islamico” del califfo al-Baghdadi e l’avvìo di una possibile soluzione diplomatica alla questione dell’embargo decretato contro l’Iran a causa del suo supposto programma di autodotazione di un’arma nucleare – obbligano a un generale ripensamento del ruolo dell’Islam in rapporto al nostro nuovo secolo e all’equilibrio mondiale.
L’approfondimento di Limes
L’ultimo numero della rivista “Limes” pone il problema della “radica quadrata del caos”, che si dovrebbe calcolare partendo dall’analisi di quanto sta avvenendo in Israele-Palestina, in Arabia Saudita, in Iran e in Turchia e nei reciproci rapporti tra questi stati: un problema per la verità complicato anche dal fatto che nell’affaire arabo-islamico-vicinorientale entrano direttamemte anche lo Yemen, l’Egitto, la Libia, il paese curdo nel suo complesso (che interessa quattro stati: Turchia, Siria, Iraq, Iran), mentre ai margini si profila un coinvolgimento di si può dire tutta l’Africa settentrionale.
A questo punto, mentre il sia pur appena incertamente avviato accordo con l’Iran sta compromettendo addirittura i rapporti tra governo israeliano e presidenza USA mentre gli sviluppi del problema del gasdotto russo sembrano impostarsi sulla via di una del tutto inedita e fin qui inaudita (nel senso etimologico del termine) “amichevole collaborazione” russo-turca – dai tempi di Pietro di Grande considerata impossibile -, appare indispensabile un generale ripensamento sull’Islam: sulla sua natura, sulle conseguenze degli eventi del XX e XXI secolo che hanno condotto all’impiantarsi del fenomeno “fondamentalista-islamista-jihadista”, sullo sviluppo della fitna (“contesa”, “lotta”) sunnito-sciita ma anche intrasunnita, sull’ambiguo ruolo delle potenze arabe del Golfo che mostrano un volto tradizionalista/fondamentalista sul piano religioso e civile, ipermoderno e filoccidentale su quello politico, economico, finanziario, tecnologico e produttivo.
A questo riguardo segnalo l’importanza del numero del giugno 2015 della rivista “Oasis – cristiani e musulmani nel mondo globale”, organo della Fondazione Internazionale Oasis il cui comitato promotore è presieduto dal cardinal Angelo Scola e che si pubblica in quattro lingue (italiano, francese, inglese e arabo). Tale numero reca un titolo e un sottotitolo del tutto eloquenti: L’Islam al crocevia. Tradizione, riforma, jihad. La crisi attuale affonda le sue radici in un secolo lungo di rinnovamenti e chiusure. La lezione del passato, il dibattito di oggi.
In 142 pagine dense di articoli e recensioni, un gruppo di specialisti e di osservatori attenti cerca di mettere a fuoco i problemi salienti della crisi dell’Islam e soprattutto di rispondere all’urgente questione se essa sia crisi strutturale o episodica, temporanea o irreversibile, “di sviluppo” o “di decadenza”; e se i suoi risultati saranno un riacquisto di equilibrio o un’intrinseca mutazione o addirittura l’avvìo di una fase che potrebbe configurarsi come letale. Ciò tenendo presente che, in questi anni di conclusione di quella che Zygmunt Bauman definisce “Modernità solida”, la crisi appare come generale, onnipresente, e riguarda tutte le fedi e i culti religiosi non meno di altri aspetti della vita del genere umano. In altri termini, se l’Islam è in crisi, esso è in buona compagnia.
Nel consigliare la lettura di questo fascicolo di sintesi davvero preziosa (lo si può richiedere alla sua casa editrice, la veneziana Marsilio, oppure scrivendo a oasis@fondazioneoasis.org), mi limito a segnalare che nel saggio di apertura dal titolo Il secolo lungo dell’Islam che sembra arieggiare a una replica rispetto alle tesi di Eric Hobsbawm a proposito del Novecento come “secolo breve”, Martino Diez parte dalla considerazione – che dal mio canto ritengo assolutamente condivisibile – che esso, almeno per l’Islam, vada inteso e considerato invece come “secolo lungo” che parte dall’inizio dell’Ottocento. La rivista svolge il tema delle tesi interne all’Islam, a partire soprattutto dal magistero di Muhammad ‘Abduh (1849-1905); per quanto mi riguarda, facendo tesoro di tale indicazione proporrei una parallela considerazione dei rapporti tra Islam e Occidente, ai quali evidentemente lo sviluppo interno del pensiero musulmano è strettamente connesso. Ma tutto ciò conduce a due eventi, situati oltre un secolo di distanza l’uno dall’altro, che hanno profondamente inciso sulla vita dell’Islam in generale, di quello arabo in particolare: lo sbarco del Bonaparte in Egitto nel 1798 e la “rivolta araba” del 1916 con l’annesso inganno del trattato Sykes-Picot.