
Gira e rigira, a monte di tutti i discorsi, vecchi e nuovi, delle lucubrazioni dotte, fondate o meno, sulla mobilità sociale ci sono sempre la famiglia e l’ambiente (geografico, etnico, sociale, culturale, estetico, morale) nel quale ognuno nasce e normalmente cresce, non avendo mai nessuno potuto deciderlo sua sponte.
Consci del fatto che era più o meno così anche al tempo dell’Antica Grecia, nella dotta Atene soprattutto, faro di luce per l’Occidente, illustri filosofi e pensatori da allora propongono rimedi, non tanto per sanare una condizione umana, che solo pochi squinternati (normalmente fanatici e pericolosi) ritengono curabile alla radice, ma per ripensarla, riformarla, migliorarla… Scrisse Oscar Wilde (1891): ‘Una cartina del mondo che non contenga Utopia non è degna neppure di uno sguardo, perché tralascia il Paese nel quale l’umanità continua ad approdare. E, quando vi approda, l’umanità si guarda intorno, vede un paese migliore e issa nuovamente le vele’. L’esercizio dell’utopia non è peraltro senza rischi: ‘Quando l’uomo cerca di realizzare il paradiso in terra, sta in effetti preparando un molto rispettabile inferno’, sosteneva a sua volta Paul Claudel.
Un passo indietro. Egidio Sterpa, giornalista liberale e politico, ha scritto per Apulia. Visioni del mondo, nel 2008, un ottimo saggio giornalistico su ‘Le origini della civiltà occidentale’:
Atene e Roma, l’antica Grecia e l’Impero Romano, due mondi e due civiltà che si incontrarono, si compenetrarono e ne nacquero l’Occidente, la civiltà e la cultura europea. Una civiltà che prese forma e sostanza attraverso i secoli dando vita a strutture culturali, ad un pensiero, ad una filosofia, a manifestazioni d’arte, e con istituzioni politiche, giuridiche, economiche, educative.
Partì da Atene il ‘paradiso del pensiero’, per Sterpa. In Grecia nacquero l’amore per la sapienza, l’affermazione della libertà, quella più importante, quella del pensiero: ‘Lo dobbiamo ai filosofi greci: il passaggio dalla non conoscenza delle cause prime dell’essere, delle categorie che governano la natura e la mente umana, alla spiegazione di quel che siamo, di quel che è il mondo che ci circonda, ai tentativi di percezione di ciò che è l’universo soprannaturale. Si pensi a quanto Socrate, Platone, Aristotele ed i presocratici hanno indagato sull’uomo, sul suo essere. L’incontro della cultura con la politica, incontro dal quale nasce la democrazia’. Quando i Romani ancora abitavano nelle capanne, i Greci scoprivano il valore della libertà di pensiero. Fu Aristotele a dedicarsi col suo pensiero alla ricerca del concetto di giustizia, di libertà, di democrazia. A lui si deve lo sviluppo del concetto di politica quale scienza di governo. È il 450 a. C., Democrazia, demos (popolo) e kratia (governo). Sovranità popolare mediante rappresentanti designati dai cittadini. Non fu democrazia come la concepiamo noi moderni. Nell’Atene di Pericle esisteva la schiavitù, come esisteva a Roma quando il console Tiberio Sempronio Gracco eresse sull’Aventino il tempio della Dea Libertà. Però l’epoca di Pericle segnò un momento di liberazione dall’arcaico, il passaggio ad un’epoca storica culturalmente e politicamente nuova.
È nell’Ottocento, continua Sterpa, che si afferma la modernità liberale, risultato di quattro rivoluzioni: 1. quella che smontò la teocrazia e la cultura che ne derivava (la cosiddetta ‘scolastica’); 2. quella che ha condannato e soppresso la schiavitù; 3. quella che ha eliminato la feudalità; 4. quella che ha scalzato la nobiltà intesa come privilegio. È Benjamin Constant, scrittore e pensatore francese, a sottolineare che queste quattro rivoluzioni determineranno quei graduali miglioramenti che hanno portato alla modernità ed alla libertà. In una memorabile conferenza sulla libertà che Constant tenne all’Ateneo di Parigi nel febbraio 1819, La libertà degli antichi paragonata a quella dei moderni, sostenne con esemplare chiarezza:
“La libertà è il diritto di essere sottoposti soltanto alla legge, il diritto di non essere arrestati, detenuti, condannati a morte, maltrattati in alcuna maniera, per effetto della volontà arbitraria di uno o più individui. È il diritto di esprimere il proprio pensiero, scegliere la propria occupazione ed esercitarla; il diritto di disporre dei propri beni, di abusarne addirittura, il diritto di andare e venire senza bisogno di ottenere il permesso, e senza dover rendere conto dei propri motivi o dei propri affari. È per ciascuno il diritto di riunirsi con altri individui, sia per discutere riguardo ai propri interessi, sia per professare il culto che costui e i suoi compagni preferiscono. È il diritto che ciascuno ha di influire sull’amministrazione del governo, sia nominando per intero o in parte i funzionari, sia con domande, rappresentanze, petizioni”. (https://www.bpp.it/Apulia/html/archivio/2008/II/art/R08II105.htm)
Ha scritto Umberto Eco per la Storia della civiltà europea di Treccani (2014), ‘Platone e Aristotele: dal confronto alla conciliazione’:
“Dipinta da Raffaello nella Stanza della Segnatura in Vaticano fra il 1508 e il 1511, la ‘Scuola di Atene’ documenta in modo straordinariamente efficace come le ricerche storiche e filologiche condotte dagli umanisti avessero consentito di riscoprire le maggiori correnti e figure del pensiero antico. Ricollocato accanto ai presocratici, ai sofisti, ai filosofi e scienziati dell’età classica ed ellenistica, Aristotele manteneva un ruolo di primo piano, ma era ritornato a essere uno dei numerosi filosofi dell’Antichità. Nella ‘Scuola di Atene’ l’influsso di Marsilio Ficino e di Giovanni Pico della Mirandola definisce una concezione della filosofia: essa non è identificata col pensiero di Aristotele, ma nemmeno con quello di Platone, bensì in una sintesi delle loro dottrine, considerate le espressioni più elevate della razionalità umana, distinte, ma conciliabili. A Platone viene riconosciuta una supremazia in ambito metafisico e teologico, Aristotele resta la massima autorità in logica e filosofia naturale”.
(https://www.treccani.it/enciclopedia/platone-e-aristotele-dal-confronto-alla-conciliazione)
La Roma del Rinascimento non è però la città di Marsilio Ficino e di Giovanni Pico della Mirandola, degli umanisti. È solo un teatro fastoso, un museo d’arte antica ancora invidiabile, ma senza linfa, letterati ed artisti autoctoni. E la situazione durerà per secoli. La capitale del Rinascimento è Firenze, con i dotti, gli umanisti, con le sue grandi famiglie d’origine mercantile, le ricchezze, le botteghe dei sommi artisti che con Roma hanno un rapporto per così dire ‘pendolare’, da artista a mecenate, ancor prima che geografico. Con poche propaggini, in Toscana, nell’Italia centrale, a Milano, Venezia, Napoli, qualcosa a Palermo ed altre città. È a Firenze, non Roma, che nel 1438-1439, si celebra un Concilio per l’unione fra la Chiesa d’Oriente e la Chiesa d’Occidente. Per secoli la grande nobiltà romana, frutto del nepotismo, restò prevalentemente compiaciuta di sè, superba ed ignorante, al massimo occupandosi di arte antica… giacchè se la ritrovava in casa! Ottavio ed Alessandro Farnese, discendenti di Papa Paolo III, restano eccezioni.
Anche per questo fu negativo il trasferimento della capitale del giovanissimo, gracile Regno a Roma nel 1870. Una città piccola di preti, monache, nobili, servitori, popolo cinico e malandrino, briganti fuori l’uscio… Ed ancor più nefaste, in quell’urbe di glorie remote e di un presente alquanto miserabile, le velleità imperialistiche della ‘Terza Roma’, gli uzzoli sulle ‘missioni civilizzatrici’ che ne scaturirono, da Crispi ad Adua, dal Piave a Mussolini…
La Repubblica (in greco antico Politéia) è un’opera filosofica in forma di dialogo, scritta tra il 380 e il 370 a.C. da Platone (427-347 a.C), che ha avuto enorme influenza nella storia del pensiero occidentale. La Repubblica è la traduzione del titolo derivata dal latino, in particolare da Cicerone. L’opera ruota intorno al tema della giustizia, sebbene il testo contenga molte altre teorie platoniche, come il mito allegorico della caverna, la concezione della filosofia come dialettica, una versione della teoria dell’anima differente rispetto a quella trattata nel Fedone, il progetto di una città ideale, governata in base a princìpi filosofici. L’esempio più celebre delle teorie politiche utopistiche. La Repubblica si presenta come un’opera organica, concernente il rapporto tra universale e particolare, ed ha per protagonista il maestro Socrate, un Socrate immerso in una sorta di processo di purificazione che lo porta ad abbracciare tesi non sue. Che sono di natura platonica e legate al momento storico che Platone viveva dopo la guerra del Peloponneso, con il governo dei Trenta Tiranni, la caduta del governo oligarchico, la restaurazione della democrazia, e, nel 399 a. C., il processo e la condanna a morte di Socrate stesso. Che espone fittiziamente nell’opera teorie che vanno dalla parità dei sessi alla condivisione delle proprietà private, alla scomparsa della famiglia, ed all’obbligo, per coloro che fossero destinati a essere i ‘guardiani’ della polis, a non ricevere nessun guadagno dal loro lavoro, essendo mantenuti dai concittadini.
La Repubblica fa parte del filone letterario utopico ed elabora un modello ideale di Stato.
Lo Stato nasce perché ogni uomo ha bisogni che può soddisfare solo con l’aiuto altrui, ragione della divisione sociale. Platone premette che non tutti sono fatti per interessarsi delle stesse cose poiché non siamo tutti uguali, gli uomini hanno virtù e interessi differenti. In una società perfetta la maggior parte pensa ai piaceri del corpo. È un bene che ci siano queste persone ch’egli chiama produttori, coloro che lavorano. Ammette che venga assegnata a ciascuno una modesta proprietà privata e che vengano premiati per il loro lavoro. A salvaguardia dello Stato vi è la classe dei difensori o guardiani, coloro che conoscono e praticano la virtù del coraggio e sono pronti a morire per la patria. In loro deve essere educata e valorizzata la forza del thymós, cioè l’elemento emotivo, passionale. L loro professionalità militare richiede soprattutto intelligenza, capacità di scegliere comportamenti necessari alla difesa del territorio. Platone ammette la guerra solo in caso di aggressione. La terza classe è quella dei filosofi, gli unici ad avere la capacità di governare la polis, poiché hanno dimostrato attitudine alla filosofia nel loro percorso di crescita, e perché conoscono il bene sociale: la giustizia.
Per i guardiani e i filosofi viene progettato il comunismo dei beni: esso deve eliminare le ragioni materiali dell’egoismo, per evitare che utilizzino il potere per proprio tornaconto personale e non per il bene della polis. In questo modello di Stato è presente la mobilità sociale da una classe all’altra, meritocratica, in base alle qualità che i bambini/adolescenti hanno dimostrato durante il percorso educativo. La natura degli uomini è d’oro (destinati a governare), d’argento (destinati a difendere) o di bronzo (destinati a produrre). Se dai governanti o dai difensori nascono figli di bronzo bisogna respingere questi tra i produttori. Allo stesso modo, se dai produttori nascono figli d’oro o d’argento vanno innalzati ai compiti di governo e guardia. Tale selezione delle qualità individuali risulta dal ruolo dell’educazione, rivolta alle donne come agli uomini. La famiglia può tenere i bambini fino ai 6 anni di età. Dopo vengono mandati in un ‘collegio platonico’. I genitori non possono visitarli ed essi devono dimenticarsi dei genitori, perché una volta usciti devono pensare che chiunque potrebbe essere il suo genitore, e, viceversa, i genitori devono pensare che chiunque potrebbe essere il loro figlio, trattandosi tutti bene. Il compito del docente è considerato fra i più importanti della polis, in quanto da esso dipende l’attribuzione alle diverse classi sociali.
Aristotele (Stagira, 384-Calcide, 322 a.C.) è considerato con Platone il padre della filosofia occidentale. Ha esercitato una enorme influenza sulla storia intellettuale dell’ Occidente per oltre due millenni, grazie anche al tomismo di San Tommaso d’Aquino, che elaborò princìpi aristotelico-tomisti, la ‘filosofia perenne’ della Chiesa cattolica. Fu discepolo di Platone durante i 20 anni trascorsi nell’Accademia di Atene. Dopo la sua morte, Aristotele lasciò Atene per essere il maestro del futuro Alessandro Magno, erede al trono di Macedonia, per cinque anni. Negli ultimi anni di vita fondò il famoso ginnasio-liceo ad Atene, Peripato, nome che indicava quella parte del giardino con un colonnato coperto dove il maestro e i suoi discepoli camminavano discutendo. Aristotele scrisse circa duecento opere, su di una enorme varietà di materie, delle quali ne sono state tramandate 31, nel Corpus Aristotelicum.
La Politica è un’opera di Aristotele dedicata all’amministrazione della polis. Egli analizza le realtà politiche a partire dall’organizzazione della famiglia, nucleo base della società. Centrale è il riferimento alla natura: contiene la celeberrima definizione dell’uomo quale ‘animale politico’, portato per natura a formare delle comunità. Diversamente da Antifonte ed altri sofisti, secondo i quali la polis limita con le sue leggi la natura dell’uomo, per lo stagirita lo Stato risponde ai bisogni naturali dell’individuo: ‘ogni Stato è una comunità ed ogni comunità si costituisce in vista di un bene’. Egli propose tre modelli di forme di governo: monarchia, il potere in mano a una singola persona, migliore per saggezza e virtù; aristocrazia, il governo dei nobili, dei molto ricchi, dei migliori; politeia, il governo del ceto medio colto e responsabile. Tali forme passibili di degenerazione e mutarsi, rispettivamente, in: tirannide, il potere è acquisito e mantenuto da una persona tramite l’uso della violenza e nasce dalla diffusa povertà; oligarchia, il potere è costituito per favorire pochi; oclocrazia (o democrazia), governo di masse povere manovrate dalla demagogia, con il popolo inteso in senso dispregiativo. Per Aristotele la giustizia si adatta alle circostanze; lo Stato nasce per la naturale attitudine di alcuni al comando e di altri al servizio.
La miglior forma di governo è per lui la politeia.