“Le persone sono considerate non più in quanto tali, ma sulla base dei valori della tecnica: efficienza, produttività, velocizzazione del tempo”. Queste sono le parole di qualche mese fa del filosofo Umberto Galimberti alla conferenza “Linkontro” tenutasi a Venezia, come tema principale la condizione giovanile di oggi.
Partendo da un principio fondamentale, nel mondo classico il termine “dolce far niente” era definito come un’esaltazione della persona e del tempo libero, dove il corpo e la mente rinvigorivano lontano dalla quotidianità e dai pensieri più insidiosi. Un’immagine ormai lontana, quasi ottocentesca di quello che è la vita oggi: l’ozio ricreativo e piacevole di un tempo ha difficoltà a coesistere con la produttività senza sosta e del “chi si ferma è perduto” dell’era multitasking. Trovare uno spazio di riposo durante le attività giornaliere è diventato difficile sennonché impossibile; chi si trova immerso in questo stato ozioso si sente strano e in colpa, la colpa di non fare niente, di non essere attivo e utile nella società. La modernità ha sicuramente agevolato questo processo mentale nocivo ma la digitalizzazione ha e ha avuto un ruolo non indifferente in questo caso: più una persona è socialmente attiva a mostrare uno stile di vita sfrenato (non importa quanto questo sia sano e politically correct) più si diventa agli occhi degli altri una persona affermata e di successo. Insomma, possiamo dire che sia rimasto poco e niente del piacere dell’ozio umanistico: le nostre vite di tutti i giorni sono organizzate e scandite secondo ritmi imposti dalla società, non c’è più tempo per la contemplazione e per il riposo.
Il vero dramma, prendendo spunto dalle parole del filosofo Galimberti è che il lavoro, l’impegno e l’ambizione più sfrenata non sono più nutrimento per la ricchezza dell’anima ma sono diventati pian pian un rimedio all’angoscia: “l’angoscia di incontrare quello sconosciuto che ciascuno di noi è diventato per se stesso, e al quale non si sa che parola rivolgere, perché, al di fuori dell’attività lavorativa, la nostra identità non ha più contorni ben delineati”.
C’è fin troppo tempo libero per minchiate d’ogni tipo. Il tempo libero è un privilegio, perchè va riempito con cultura, arti, conoscenze e ‘senso delicato del vivere’…
L’ozio è un valore aristocratico, il ‘plebeo’ deve lavorare sodo…