Pétain, Laval, Darlan, La Rochelle, Céline, Brasillach, Deloncle, Doriot … Basta pronunciare questi nomi per riandare con la memoria al complesso, vasto e variegato mondo del Collaborazionismo francese, con la Germania di Hitler, nel secondo conflitto mondiale. Si tratta di personalità provenienti dal mondo militare, della politica e della cultura che, seppur con motivazioni diverse, collaborano con la Germania. È una pagina alquanto tragica che ancora oggi scuote e divide la Francia. Il Collaborazionismo ebbe diverse sfumature in quanto vi fu chi cooperò convintamente con Hitler e chi, invece, lo fece solo per limitare i danni alla Francia sconfitta, sul campo dal Terzo Reich, nel giugno del 1940.
Soffermiamoci sul Maresciallo Henri Philippe Pétain (1856-1951) e Pierre Laval (1883-1945). Eroe della Prima Guerra Mondiale e nemico giurato dei tedeschi, il primo. Navigato uomo politico di origine socialista, più volte Primo Ministro, eletto nel 1931 Uomo dell’anno dalla nota rivista americana, Time, il secondo. Riguardo Laval, la Oaks editrice pubblica «”Non ho tradito” Memorie dal Carcere». Pétain e Laval sono legati alla Repubblica di Vichy, ossia l’État Français alleato, alla Germania, nato nel luglio 1940, all’indomani della caduta della III Repubblica stritolata pochi giorni prima dalle potenti armate tedesche.
Petain
Nominato presidente del Consiglio il 16 giugno 1940, è proprio Pétain a chiedere l’armistizio a Germania ed Italia. L’accordo con i tedeschi è alquanto umiliante per la Francia visto che a Réthondes avviene un qualcosa di già visto ventidue anni prima, questa volta però a parti invertite: nella stessa foresta di Compiègne e nello stesso vagone ferroviario, dove era stato siglato l’armistizio vittorioso dei francesi sui tedeschi del 1918, viene firmata la capitolazione francese. Mentre da Londra il generale De Gaulle invita i francesi alla resistenza ad oltranza, Pétain diventa Capo dell’État Français di Vichy, territorio centro-meridionale della Francia che i tedeschi hanno risparmiato occupando la parte rimanente del suolo francese.
Ma perché l’eroe della Prima Guerra Mondiale diventa Capo di uno Stato apparentemente autonomo dal Terzo Reich? Il suo è un collaborazionismo convinto, attivo ed operante, oppure è teso a limitare i danni alla Patria ridotta in brandelli? È da aggiungere che essendo un militare, Pétain non ha mai fondato e diretto alcun partito politico, anzi è stata la politica a chiamarlo in causa nei momenti cruciali. Quando nel marzo 1939 la Francia riconosce la Spagna di Franco, il leggendario ed anziano Maresciallo viene nominato ambasciatore a Madrid; quando nella primavera del 1940 il conflitto comincia a prendere una brutta piega per la Francia, il 18 maggio Pétain viene a chiamato a far parte del Governo come Vice Presidente del Consiglio, divenendo un mese dopo Primo Ministro.
Trasferito il 2 luglio il Governo a Vichy, l’Assemblea Nazionale francese conferisce all’anziano Maresciallo i pieni poteri. Tale atto, di fatto, non solo dimissiona il Capo dello Stato in carica, il repubblicano Albert François Lebrun, ma certifica la morte della Terza Repubblica, nata nel 1870, dopo un’altra disastrosa sconfitta subita dai francesi ad opera dall’esercito prussiano. Alla République francaise democratica e parlamentare fondata sul trinomio Liberté, Égalité, Fraternité, subentra l’Etat francais basato sul trinomio Travail, Famille, Patrie. A guerra finita il Maresciallo Pétain viene condannato a morte dell’Alta Corte di giustizia nell’agosto 1945, con venti voti contro sette. Il Generale De Gaulle gli commuta la pena in detenzione perpetua nell’isolotto di Yeu, in Vandea, dove l’anziano Maresciallo, assistito dalla moglie, si spegnerà nel 1951.
Differente trattamento viene riservato invece a Pierre Laval. Testimone e protagonista in un periodo alquanto drammatico per la Francia, dal 1942 al 1944, Laval ricopre la carica di Primo Ministro del Governo di Vichy, avendo rapporti non sempre idilliaci con il Capo dello Stato, Maresciallo Pétain. Quando il Governo che presiede, a seguito dello sbarco alleato in Normandia, si trasferisce nella tedesca Sigmaringen, Laval intuisce avvicinarsi la fine. Ripara nella Spagna di Franco, ma il Generalissimo non vuole avere fra i piedi un amico ingombrante. L’Irlanda è disposta ad accoglierlo ma, alla fine, Laval decide di farsi processare dalla sua Nazione
Il processo che lo attende in Patria nell’ottobre 1945 non lo abbatte in quanto, nonostante i ventisette capi di imputazione, è convinto che buona parte dei suoi connazionali comprenderà il suo operato soprattutto per i documenti che intende esibire. Non gli viene concesso il diritto alla difesa e ciò suscita le critiche di una parte della stampa internazionale; l’ambasciatore americano Jefferson Thomas Caffery definisce «vergognoso» il processo. La farsa – così viene definita da più parti – dura dal 4 all’8 ottobre 1945. Nelle Memorie, pur riconoscendo le sofferenze arrecate alla Patria, Laval respinge l’accusa di tradimento asserendo che, per salvare e limitare i danni alla Francia, era necessaria la collaborazione con la Germania; in caso contrario le conseguenze sarebbero state più dure.
Consapevole della potenza tedesca, sottolinea di non aver mai nutrito inimicizia verso la Gran Bretagna, di aver ridotto al minimo le perdite di vite umane, di aver limitato le deportazioni in Germania, di essersi opposto alle persecuzioni tedesche nei confronti di ebrei, comunisti e massoni. Le Memorie fanno emergere altri drammi ed eventi della Seconda Guerra Mondiale. Poco prima di essere fucilato Pierre Laval si rivolge alla famiglia scrivendo alla figlia, Josée, di «essere forti di fronte alla sventura». A fucilazione avvenuta, la moglie, Jeanne Claussat dichiara: «Pierre amava la Francia; la Storia gli renderà giustizia».
(“Non ho tradito” di Pierre Laval – per info: Oaks oakseditrice.it)
Forse non era male dire qualcosa di più, compreso il tentativo di suicidio di Laval e le 16 lavande gastriche propinategli pur di trascinarlo, teoricamente ancora in vita, in barella, davanti al plotone di esecuzione. Una barbarie senza eguali.
Quello che sarebbe successo a Mussolini se fosse andato in Spagna. Impacchettato e consegnato agli sgherri comunisti ed azionisti per un processo-farsa in Italia.
La fucilazione di Laval fa quasi il paio con il cadavere di Goehring impiccato a Norimberga!
Ma Pétain che colpe aveva? Era stato il Parlamento, quello del Fronte Popolare del 1936, a dargli i pieni poteri ad ampia maggioranza!
Preferisco ricordare Laval come l’artefice, da primo ministro, insieme al segretario di Stato per gli affari esteri britannici Samuel Hoare, del patto detto appunto Hoare-Laval, che concedendo all’Italia parte dell’Etiopia avrebbe evitato la guerra d’Abissinia e soddisfatto le nostre aspirazioni senza metterci in conflitto con la Società delle Nazioni. Mussolini era sostanzialmente d’accordo, ma chiese qualche giorno per esaminare la proposta; fu un errore perché nel frattempo ci fu una fuga di notizie e un giornale frivelò il piano, suscitando le proteste dell’opinione pubblica progressista e bloccando l’iniziativa.
Le conseguenze furono tragiche per l’Europa e per l’Italia. Mussolini invase l’Etiopia mettendosi contro la Società delle Nazioni e gli ex alleati. Fu un enorme successo militare e politico, perché il consenso nei confronti del regime non fu mai così alto come dopo la proclamazione dell’Impero, ma il risentimento per le sanzioni ci avvicinò alla Germania nazista, cui ci eravamo risolutamente opposti nel 1934,. Se il piano Hoare-Laval fosse andato avanti, la storia europea avrebbe avuto probabilmente un altro corso.
Sul ruolo di Laval a Vichy non posso giudicare, ma certo nei suoi confronti fu fatta giustizia sommaria, con punte di accanimento feroce al momento dell’esecuzione. Per sottrarsi all’onta della pena capitale, Laval aveva tentato di uccidersi con una capsula di cianuro. Gli praticarono la lavanda gastrica per potere eseguire comunque la sentenza. Qualcosa di molto simile avvenne in Italia per Paolo Buffarini Guidi, ministro degli Interni della Rsi. Comunque si vogliano giudicare i due politici, non fu una bella pagina per la Giustizia.
La Guerra di Etiopia fu un gigantesco errore perchè era un osso per noi troppo grande. C’era da spendere molto per ricavare poco, sullo sfondo di un Paese antico, popolato, ostile. Un’avventura da giornalista, non da statista. Con le chiavi di Suez in mani anglo-francesi! Con il Canale che venne lasciato aperto nel 1935 perchè il Foreign Office già aveva ‘pronotato’ il nostro appoggio alla sollevazione dei militari spagnoli del successivo luglio 1936…La nostra perdita dell’Impero nell’A.O. (sia pure un ‘Impero straccione’) paradossalmente cominciò con la sua conquista… La finale sconfitta dell’Amba Alagi era già scritta. Cademmo vittime della furbizia e forza militare albionica, proprio noi che sempre ci pensiamo furbi… Morti inutili le nostre. Successo e consenso effimero, anzi pericoloso, perchè parte delle masse italiane si ubriacarono facilmenteo….
Laval era giudicato uno schifoso da Ciano, ma nella sua rustica furbizia, fu colpevole di una scommessa sbagliata (la vittoria finale tedesca) non di crimini, non di tradimento… De Gaulle fu un infame.
Quanto a scommesse, Ciano non ha confronti. Era convinto che dopo il 25 luglio Hitler gliel’avrebbe fatta passare liscia e per paura di Badoglio si rifugiò in Germania. Quanto a de Gaulle, fu un homme grand, non un grand homme…
Ciano come Mussolini prendevano grandi abbagli sul loro proprio destino personale che a volte, purtroppo, coincise con quello della Nazione. Ma erano acuti in quanto a capacità di valutare le persone…
Hitler, non fosse stato per la pressione degli intransigenti della RSI, avrebbe consentito a Ciano di rimanere in Germania e, come genero del Duce, non gli sarebbe probabilmente successo niente. Ma fu lo stesso Ciano a voler tornare il Italia, raddoppiando l’errore di agosto ’43!
Fu Pavolini (non da solo) a volere la morte di Ciano, non Mussolini, non Hitler.
Il punto è che né Petain né Laval venivano da destra. Il primo aveva fatto carriera grazie ai massoni. Il secondo era di estrazione socialista. De Gaulle era ben più a destra di loro.
Ne consegue che a destra non c’è motivo di ammirare Vichy più dello stretto necessario: molti francesi di destra (cattolici, monarchici…) militarono nella resistenza.
Iginio. Non si tratta di destra. Lo so bene. Ma i ‘collaborateurs’ non erano traditori, tutto qui. Potevano essersi macchiati di crimini a titolo individuale, ma Vichy non fu un associazione a delinquere, mentre de Gaulle che prende e scappa per rintanarsi in un ufficio di Londra nel 1940 è un vero traditore e poi, sempre, una sorta di esemplare umano schifoso e ripugnante.