È da poco disponibile, per i tipi di Passaggio al Bosco, un nuovo titolo illuminante: La società della sorveglianza. Fase ultima del liberalismo, uscito da una delle penne più brillanti dell’Institut Iliade, Guillaume Travers. Ciò che ha mosso l’autore è l’enfasi dell’attualità francese, ammantata da Pass sanitario e misure anti-Covid. Tuttavia, chi s’immerge in quelle righe, non può, da cittadino d’un’altra patria, rimanerne estraneo.
Gli intenti dello scrittore li si intuisce dalla prima pagina d’apertura, quando evoca il famoso 1984 di Orwell, annesso ad un altro richiamo al pass sanitario come strumento di libertà. Egli, con la pazienza e il rigore d’uno storico, nonostante le brevi e concise pagine che ci ha messo a disposizione, riesce a svelare l’impostura di un certo pensiero liberale, sin dalle sue origini. D’altronde, non occorrono mille pagine per risvegliare in noi l’essenziale.
Travers, dalle prime righe, imbraccia immediatamente l’arma del dubbio impellente.
“Per spiegare l’apparente paradosso della società liberale della sorveglianza generalizzata, – scrive – dovremo quindi fare attenzione a precisare proprio il significato di questa bella parola, «libertà»”.
Opponendo la libertà classica a quella dei liberali, egli non si fa sfuggire il richiamo ad autori ed epoche precise, opponendoli in maniera puntuale. L’idea classica della libertà, non è quella dei liberali. Camminando sul sentiero delle epoche, rivela ciò che diverge totalmente tra la propaganda liberale e le altre; perlopiù se ci riferiamo a certe derive corporative e comunitarie. Ciò che scrive Travers, non resta meramente nell’alveo del concetto astratto, bensì ricalca sovente il mondo della giurisdizione. Le differenti libertà, infatti, sono evidenziate anche dal punto di vista giuridico. Nonostante s’attraversi il passato– l’abbiamo già detto – si arriva al nostro presente. Se in dianzi, talvolta, il controllo restava nell’alveo dell’informalità e dell’autenticità della parola data – pena la reputazione di se stessi nei confronti della comunità o del villaggio d’appartenenza – oggigiorno si parla globalizzazione della sorveglianza. Il governo liberale, a modo suo, non può tollerare l’autonomia del cittadino. Egli deve essere sorvegliato in ogni sua mossa. Esso si fa più terribile, più stringente. Si pensi al Pass sanitario: giustificato come strumento di prevenzione, s’è infervorato alla mano del fanatismo dei sorveglianti. Oltremodo, esso funziona meglio se braccio armato della revanche frustrata del cittadino-spia nostalgico della Stasi. Tutto è connesso anche per ciò che concerne la libertà economica degli scambi. Se stiamo alle parole di totale franchezza dell’autore, “In una prospettiva classica – prosegue riferendosi al controllo – la risposta consisterebbe nel riaffermare le distinzioni politiche, e quindi nel rinunciare alla libertà dei flussi di persone, per preservare la libertà dei cittadini nella Nazione. In una prospettiva liberale, è vero l’esatto contrario. Qualsiasi soluzione è valida finché non rappresenta una restrizione della libertà dei flussi. Queste soluzioni consistono nel rafforzare l’apparato tecnico-giuridico di sorveglianza che si applicherà indifferentemente alla popolazione locale e agli stranieri”.
In quest’epoca di guazzabuglio televisivo e di caos mentale, occorre tornare all’essenziale e alla ricerca della verità. La società della sorveglianza, non è solo un libro, ma un’arma. Un’arma per restare ancorati alle radici del reale. Perché, per dirla con l’autore “questa lotta politica è una delle più impellenti del nostro tempo”.
La società della sorveglianza è sinonimo di Stati totalitari, non di quelli (autenticamente) liberali…
L’istinto delatorio è innato in molti uomini: quando insegnavo, mi capitava di avere in media in ogni classe un alunno che faceva, non richiesto né gradito, la spia delle malefatte dei compagni, così come non mancavano i bidelli subito pronti ad avvertire in presidenza se un insegnante tardava (ma in questo caso pesava un certo spirito di rivalsa sociale). Nella vita militare invece la delazione era considerata spregevole, specie se fatta da un inferiore a spese di un superiore: un codice d’onore non scritto la vietava. Il problema della società moderna è che la rivoluzione informatica ha reso il controllo sociale molto più facile e che l’emergenza pandemia ha moltiplicato i vincoli e di conseguenza la tentazione e in certi casi l’esigenza di violarli, moltiplicando le occasioni delatorie.
E’ il vecchio problema: il male è nell’uomo, non nella scienza; ma la tecnologia moltiplica le possibilità per l’uomo di fare del male.
Chi è vissuto, sia pure da spettatore privilegiato, in regimi retti da dittature militari, come il sottoscritto, non può dimenticare quanto sentito più volte: molti denunciano spesso senza tornaconto personale, non per vendetta, ma per conformismo, neppure ideologico, per il piacere di ‘contribuire all’ordine’, sentirsi parte attiva di un sistema, un regime che magari si critica, ma che in fondo piace. La delazione è, purtroppo, un piacere, forse perverso, in sé, ma vecchio come il mondo. L’informatizzazione ha solo fornito nuovi strumenti. Io, naturalmente, la penso come de Maistre, non come Rousseau…
La delazione è un po’ come assistere ad un’esecuzione capitale. Anche senza coinvolgimenti per molti uno spettacolo da non perdere.