![Il Festival letteratura a Mantova](http://www.barbadillo.it/wp-content/uploads/2019/09/Festival-Letteratura-Mantova-il-programma-delledizione-2018-3-310x207.jpg)
Un paio d’anni fa venni coinvolto dalla redazione Spettacoli-Cultura de La Voce di Mantova per seguire taluni eventi del Festival Letteratura; visto che mi fu chiesto di scegliere misi in cima alla lista degli ospiti Charlotte Rampling, poi altri che non fossero i soliti scrittoruncoli engagés o vegliardi premi Nobel: Dio me ne scampi sempre. Ricordo bene, dalla bella poltroncina in prima fila, la delusione. Nessun cenno, anzi fastidio alla mia domanda su Il portiere di notte, film di Liliana Cavani del 1974, condiviso avec sir Dirk Bogarde. Nulla, argomento tabù perché toccava stare al tema, al protocollo, ovvero alla sua edulcorata autobiografia; sottostare a un ridicolo bon ton soporifero idoneo alle vecchie abbonate col ventaglio sedute finte attente lì davanti. Ecco cos’è che non mi piace – da sempre – del Festival, quella cosa che è tutta rappresentanza (nemmeno Rappresentazione, Arthur) e pantomima culturale, ricostruzione spiritosa e applausi comunque. A memoria non ricordo un fischio o qualche casino agli incontri, fratture scomposte, un gesto dada, polemiche, crisi, intemerate, bagarre, uno che abbandonasse il palco incazzato mandando a cacare il pubblico. Macché, l’atmosfera resta sempre sterilmente piacevole, noiosamente edificante, da conversazione-marchetta al caminetto e da blasonata “Società civile”. “Organizzazione perfetta” s’usa dire a ragione, solo che tipo a me dell’organizzazione interessa poco e niente, mi basterebbero pensieri stupefacenti. Così mi tornano in mente le parole del Rien va di Landolfi, trasformate poi da Carmelo Bene: “Non si può fare letteratura con la letteratura, non si può fare della musica con la musica, non si può fare del cinema col cinema così come non si può vivere con la vita. Bisogna fare altro, dov’è questo altrove in cinema?” E nei festival? aggiungo io.
Perfettamente daccordo, si tratta nel 99% dei casi di realtà autoreferenziali, stantie, anestetizzate, “borghesi” nella peggior accezione del termine, nulla di extra-ordinario potrà mai uscire da queste auto-rappresentazioni… “Lo spettacolo si presenta come una enorme positività indiscutibile e inaccessibile. Non dice nulla di più che «ciò che appare è buono, ciò che è buono appare». L’atteggiamento che pretende per principio è l’accettazione passiva che di fatto ha già ottenuto con la sua maniera di apparire senza replica, con il suo monopolio di ciò che appare. …Lo spettacolo, come la società moderna, è allo stesso tempo unito e diviso. Come essa, edifica la propria unità sul laceramento. Ma la contraddizione, quando emerge nello spettacolo, viene a sua volta contraddetta da un rovesciamento del suo senso; di modo che la divisione mostrata è unitaria, mentre l’unità mostrata è divisa.” Mi dispiace che al Rampling non abbia risposto alla domanda sul “portiere di notte”, ma forse da una parte è meglio così, penso che la delusione della risposta sarebbe stata ancora maggiore di quella di una non risposta, meglio la vacuità alla pochezza…