Addio a Loris Baldi, sergente maggiore pilota del II Gruppo Caccia “Gigi Tre Osei”. Il pilota toscano, si è spento all’età di 95 anni a Quarrata (PT), città dov’è nato e dove ha continuato a vivere anche dopo la Seconda Guerra Mondiale.
In occasione della sua scomparsa, pubblichiamo di seguito l’intervista all’aviatore toscano contenuta nel libro “A difendere i cieli d’Italia – Racconti e testimonianze dei piloti dell’Aeronautica Nazionale Repubblicana, 1943-1945” (Ed. Eclettica, 2014) del giornalista Marco Petrelli.
In volo con “Silva”
Loris Baldi, II Gruppo Caccia Terrestre “Gigi Tre Osei”
Quella a Loris Baldi è un’intervista che, lo ammetto, ha per me un valore particolare, poiché rappresenta il mio primo contatto umano con la storia dei piloti della RSI.
Lo chiamo due volte, la prima sul finire di Febbraio 2014.
Cerco il suo nome sull’elenco nella speranza che, se non lui, possa almeno rispondermi un familiare desideroso di condividere con me ricordi e aneddoti.
Il telefono squilla; risponde una signora, che mostra un momento di perplessità circa le mie intenzioni:
“È molto anziano, cosa desidera chiedergli?”
La rassicuro spiegandole che sono un giornalista con la passione per l’Aeronautica e che vorrei scambiare due parole con Loris.
Non faccio cenno all’ANR perché so, per esperienza, che quello della guerra civile è un argomento al quale è meglio arrivare con delicatezza, tempo e soprattutto con la dovuta calma.
La donna mi chiede di attendere in linea. Pochi secondi che sembrano non finire. L’emozione mi prende, lo riconosco.
“Il signor Loris Baldi?” – “Sì, chi parla?” – “Sto cercando un sergente pilota della Regia Aeronautica. Ho fatto centro?” – “Direi di sì. Sono stato pilota della Regia e poi dell’ANR”.
Nato a Quarrata (PT) nel 1919, Loris presta servizio come pilota fino al 1945.
Dal 1940 al 1943 è nel Mare Egeo; la notizia dell’Armistizio dell’8 Settembre 1943 lo coglie durante una licenza. Passerà il resto della guerra nell’ANR.
Oggi ha novantaquattro anni e una buona memoria. Mi racconta di essere stato gregario di Ugo Drago nel corso della stessa battaglia durante la quale fu costretto a lanciarsi.
“Drago era uno degli ufficiali. Ci sono rimasto in contatto fino a poco tempo fa. Vive ancora a Roma, vero?”
Forse non sa che è deceduto nel 2007. La persona di cui parla è una leggenda tra i reduci della RSI. Piemontese, classe 1915, nel corso di tutto il conflitto Ugo Drago effettua quattrocento missioni, ottenendo diciassette vittorie individuali e tre vittorie collettive.
Il I Novembre 1944 è promosso capitano; vent’anni dopo, nel Giugno 1964, riceve la promozione a primo capitano. Poi una brillante carriera in Alitalia.
Nell’ ANR comanda la I Squadriglia del II Gruppo Caccia Terrestre “Gigi Tre Osei”, della quale fa parte anche Baldi.
Ne “L’Italia sotto le bombe” (Laterza, 2013) lo storico Marco Patricelli articola il II Gruppo in tre squadriglie, tutte inizialmente distaccate a Bresso (MI) e comandate da:
Tenente Ugo Drago, I squadriglia “Gigi Caneppele” con stemma di reparto “Gigi Tre Osei”;
Capitano Mario Bellagambi, II squadriglia “Magaldi” con “Diavoli Rossi” quale stemma di reparto;
Tenente Giuseppe Giannelli, III squadriglia “Graffer” con stemma di reparto “Gamba di Ferro”.
In “Ali nella tragedia” l’autore Giulio Lazzati fornisce una descrizione più sintetica dell’organigramma: stemma “Gigi Tre Osei” per la I Squadriglia; stemma “Diavolo rosso” su campo scuro per la II Squadriglia; stemma “Diavolo rosso” in campo bianco per la III Squadriglia.
Nel corso delle mie interviste poi, i piloti hanno spesso chiamato la I Squadriglia “Gigi Tre Osei”, identificando l’unità attraverso il suo stemma.
Oltre che a Bresso, il II Gruppo Caccia Terrestre sarà distaccato anche a Reggio Emilia, Cascina Vaga (PV), Villafranca (VR), Campoformido (UD), Osoppo (UD) e Orio al Serio (BG).
Da bravo toscano Loris scherza sulla scelta di aderire all’ANR: “lo Stato italiano spese molti soldi per addestrarmi e mi sembrò perciò normale librarmi in volo per difendere le città italiane colpite dai bombardieri stranieri”.
Sergente, quanti duelli ha sostenuto?
“Circa una ventina. Attaccavamo formazioni di bombardieri scortate da un numero enorme di caccia. In genere si decollava in due, tre, ma talvolta anche soli. Ci buttavamo in picchiata dall’alto contro l’aviazione nemica, oppure dal dietro. L’aria era piena di esplosioni e di fuoco”.
Ha ricevuto medaglie per le sue azioni?
“Sì ma non mi chieda il numero esatto. Cose senza importanza. Una d’argento, poi la Croce di Ferro tedesca”.
I tedeschi: in che rapporti eravate con loro?
“Li vedevamo poco. Eravamo loro alleati solo perché ci premeva di difendere i cieli italiani dalle fortezze volanti”.
Il II Gruppo Caccia Terrestre combatte dapprima con i G55 poi, nel Giugno 1944 è equipaggiato con i caccia tedeschi Bf109. Quello del sergente ha una caratteristica, il nome “Silva” sulla fusoliera.
Pilotavate i Messerschmitt Bf109, no?
“Avevamo anche quelli”.
E lei volava con “Silva”?
“Bravo vedo che è informato. ‘Silva’ era il soprannome del mio caccia. Lo chiamai come la mia fidanzata, Silvana”.
Bf 109: un aereo difficile da portare?
“Mah, vede, quando si tratta d’ aeromobili il problema non è tanto il ‘facile – difficile’ pilotare, quanto il ricordarsi sempre di non riporre eccessiva fiducia nella macchina”.
E quando l’hanno abbattuta si era fidato troppo dell’aereo?
“No, fui colpito da caccia nemica. Ero in quota con Drago, ad un tratto fui centrato da una scarica. Mi lanciai col paracadute, ma non mi sentii in salvo finché non toccai terra: mi pareva che il paracadute fosse rimasto impigliato sull’apparecchio, poi mi accorsi che era danneggiato. Una brutta esperienza davvero!”
Seppure i ricordi non siano del tutto freschi, la disavventura a cui Loris fa riferimento risale al 2 Aprile 1945, quando il II Gruppo si trova coinvolto in una cruenta battaglia, ultima azione della guerra.
L’operazione trova riscontro in alcune fonti, come nel volume Messerschmitt Bf 109 (AAVV, Edizioni Rei, 2014) nel quale si parla di una formazione di Bf109 che decolla da Osoppo e Aviano per intercettare uno stormo di B25 statunitensi scortati dai P47D del 347^ Fighter Squadron. Ne segue uno scontro durissimo, con quattordici Messerschmitt persi e sei i piloti uccisi; nessuna perdita tra gli americani.
Stando ad altri testi le perdite da parte alleata ci sarebbero invece state: in Aeronautica Nazionale Repubblicana Nino Arena indica nove aerei americani abbattuti (sei B25 e tre P47D) e quattordici Messerschmitt persi, compreso quello di Baldi.
Una ricostruzione più dettagliata del 2 Aprile 1945 è fornita dal diario del sottufficiale pilota Carlo Cavagliano (del quale parlerò in seguito) che annota, con una certa precisione, l’evolversi dello scontro che inizia pochi minuti dopo le 14. Secondo le memorie, Baldi avrebbe assunto il ruolo di wingman (gregario) di Drago per sostituire Cavagliano, che tarda a decollare a causa di problemi al motore.
Per un gioco del destino, dunque, è Silva ad avere la peggio. Ma la memoria del sergente è popolata anche di bei ricordi.
Che aria si respirava al II Gruppo?
“Che dirle? Ero circondato da gente in gamba, una trentina di commilitoni. Glielo dico sinceramente, una bella atmosfera nel reparto: si rispettava il grado, chiaro, ma senza mai scivolare in forme di eccessiva rigidità. C’era confidenza tra noi, si stava bene”.
Ha nostalgia di quel periodo?
“Cosa vuol dire? E’ stato un periodo della mia vita. Ma è anche una cosa chiusa, ormai, dopo tanti anni. La mia esistenza l’ho vissuta intensamente anche dopo la Seconda Guerra Mondiale”.
Tornò a volare?
“Da passeggero! Avevo pensato di continuare a pilotare, poi però aprii uno studio tecnico e ho fatto il geometra. Inoltre, cosa vuole? Il pilotaggio richiede allenamento costante e se manca l’allenamento poi si perde la mano”.
Il sergente non va oltre. Anche in una seconda chiacchierata, qualche tempo più tardi, mi ricorda di avere “una certa età. A 94 anni la memoria non è più fresca come una volta”.
Non sono d’accordo: dall’altra parte del telefono c’è una persona che nello spirito è ancora un giovanotto. E non manco di ripeterglielo. Ma rispetto la sua scelta, evitando di calcare la mano su trascorsi che rievocano anche dolore e morte. La guerra, d’altronde, è qualcosa che lascia inesorabilmente un segno profondo in chi la vive.
Lo ringrazio e lo saluto con la promessa di risentirci presto, giusto il tempo di fare una puntata tra gli osovani.