Il vero e grave dilemma dei nostri tempi è rappresentato dalla relazione fra il progresso e le aragoste. Proprio così, la sinistra, motore del progresso, e i crostacei più costosi del mondo, tanto costosi che dopo qualche eroico tentativo, negli anni dell’euforia, hanno smesso di proporli in offerta speciale ai supermercati della COOP. Più in dettaglio: stabilire che cosa è progresso e che cosa è reazione, come si sarebbe detto una volta, o regressione, come si preferisce oggi. Scegliere fra la giustizia sociale e il privilegi, fra l’uguaglianza e la rendita di posizione.
Bene, secondo i più aggiornati critici politici, molto progressista sembrerebbe la LAV, cioè la Lega antivivisezione, che fa esposti e denunce per opporsi alla vendita di aragoste esibite vive sul ghiaccio e con le chele strette dagli elastici, minacciando azioni legali contro i torturatori. È vietato far soffrire gli animali, anche quelli destinati in ogni caso a una fine atroce come la cottura nell’acqua bollente. A sua volta, e da un diverso punto di vista, rappresenta un bel caso di coscienza per la sinistra quello della tedesca Sarah Wagenknecht, giovane e carina europarlamentare della Linke (la sinistra antagonista tedesca), la cui assistente cercò di far sparire alcune foto in cui questa comunista dura e pura era stata immortalata mentre divorava proprio un’aragosta, ovvero un piatto capitalista, costoso, futile, che non sta bene sulle tavole proletarie. I giornali tedeschi si sono scandalizzati, gridando a una manipolazione stalinista, come quando il regime truccava le fotografie della nomenklatura a seconda delle fasi e delle convenienze. Con molta classe, e spirito classista, la signora Wagenknecht ha offerto una risposta degna del marx-dadaismo (o del marxismo nella tendenza Groucho): «Lotto per una società in cui tutti possano mangiare aragoste».
Dunque in che cosa consiste il progresso: nel salvare le aragoste, o nella lotta di classe per mangiarne di più?