Esiste un dio creatore di tutte le storie, di tutti gli altri dei e anche del giovane Ashioka, dio del dolore e della morte, da sempre tormentato sulla natura del proprio ruolo nell’Universo.
Nel cosmo che Ashioka ha il compito di sorvegliare affinché l’equilibrio resti inalterato, esiste un pianeta rosso, Amhambara, desertico e inospitale, dove il sole sembra essersi addormentato, lasciando i suoi abitanti perennemente avvolti nell’oscurità.
Questo fatto è all’origine di una guerra decennale tra le due etnie che ci vivono: i pacifici Zaffiri, coltivatori e artigiani, amanti della natura, e i rozzi Sassosi, popolo di negromanti e minatori.
Le loro continue battaglie giovano al Dio della Guerra, che ha dato il proprio nome al pianeta e che dai Sassosi viene adorato e rispettato insieme ai propri figli: Violenza, Distruzione, Crudeltà e Disperazione.
Starà ad Ashioka capire perché il sole sia sparito e dove stia dormendo, ma anche cessare gli scontri e riportare la pace, ricomponendo un quadro antico e ancora valido, quello in cui la vita è un continuo susseguirsi di cicli e dove la morte non è la fine ma un nuovo inizio.
Leggendo le pagine de Il dio del dolore di Francesco Brandoli, edito da Tabula fati, si ha subito l’impressione di trovarsi di fronte una storia in stile sword and sorcery dello stesso tipo di quelle presentate a cavallo tra gli anni venti e trenta sui pulp magazine americani. Stiamo parlando della così detta fantasia eroica un sottogenere del fantasy creato proprio in quegli anni gloriosi dalla penna immaginifica di R. E. Howard, il geniale autore statunitense padre di personaggi immortali come Conan il Barbaro e Solomon Kane. Questo tipo di storie conobbero un grande successo in America, e non solo, costruendo la fortuna di riviste specializzate in narrativa fantastica come la celebre Weird Tales. Cosa c’entra con questo discorso il romanzo di Brandoli? Bé, c’entra eccome! Il suo Il Dio del Dolore è senza dubbio un heroic fantasy, anche se, come vedremo, non privo di alcune peculiarità.
Partiamo dalle similitudini con il genere di cui sopra. Sword and sorcery che può essere tradotto con spada e stregoneria, è un tipo di narrazione fantastica in sono ben presenti sia l’elemento guerresco, che quello magico e soprannaturale. Ora, il protagonista del romanzo, Ashioka è nientemeno che un dio, anche se all’inizio della storia non ancora consapevole della sua missione e dei suoi poteri. Il suo è un pianeta cremisi (un chiaro riferimento al pianeta rosso) e desertico. Un luogo desolato che sembra fuoriuscito da uno dei racconti di Howard. Questa landa inospitale è abitata da due popoli in lotta mortale: i pacifici Zaffiri e i temibili e selvaggi Sassosi, stirpe dedita alla negromanzia (altro tema assai frequente nella fantasia eroica). Il cattivo di turno è il dio della guerra coadiuvato nella sua azione distruttiva, dai suoi degni figlioli dai nomi quanto mai appropriati per dei veri cavalieri dell’apocalisse.
La vicenda, dai toni epici, prevede un percorso iniziatico per il suo protagonista il quale dovrà affrontare tutta una serie di peripezie, compresa una sorta di catabasi aliena, che lo condurranno alla consapevolezza della sua vera natura e, immancabilmente, alla vittoria finale.
Fin qua i contenuti narrativi che come già detto aderiscono, in buona parte, al modello della fantasy eroica. Vi sono poi degli interessanti riferimenti (e qui s’intravede l’appartenenza geografica e il retaggio culturale dell’autore), alla mitologia classica. Brandoli, riesce a costruire – cosa non da poco -, una topografia fantastica di luoghi extraterrestri posti oltre le dimensioni del possibile, dando corpo narrativo e iconografico al suo lavoro. In più, tenta la creazione d’un Pantheon mitologico a immagine di quello greco e latino. Evidenti le somiglianze tra le figure divine e semidivine; basti pensare al su citato dio guerresco che fa il paro con il latino Marte. Altre similitudini con l’epica ellenistica si evidenziano nel ricorso a nomi tipici della Grecia antica, che però risulta un po’ artificioso. Dal punto di vista della tecnica narrativa il libro appare discretamente curato con una struttura abbastanza solida, anche se non mancano alcune ingenuità e un ricorso forse eccessivo a scene di guerra. Ma si tratta di difetti non gravi, che non inficiano il valore generale dell’opera. L’autore dimostra una certa abilità, e buona attenzione nella rappresentazione dei personaggi e soprattutto di alcune situazioni e scenari. La descrizione della Torre della Disperazione svettante su un deserto infocato, è un pezzo di bravura, che ricorda da vicino, l’immagini tetre e grottesche dei palazzi dell’era perduta in cui visse Conan il cimmero.
Le scene di lotta sono ben orchestrate e narrate con un certo realismo. La prosa, dal ritmo piuttosto rapido, è adatta al tipo di storia e al sottogenere cui essa appartiene. La struttura fraseologica risulta curata e funzionale alla narrazione. Il linguaggio utilizzato e lo stile è assai efficace e in grado di generare le suggestioni volute. In definitiva, Il Dio del Dolore è un romanzo nel solco dell’heroic fantasy con elementi tipici della mitologia greco latina, che pur presentando qualche pecca di poco conto, si fa apprezzare per l’originalità del soggetto e l’efficacia dello stile.
* “Il Dio del Dolore” di Brandoli, Tabula Fati, edizionitabulafati.it