Se ne è andato Giampiero Rubei. Se ne è andato all’improvviso, lasciandoci – lasciandomi – a bocca aperta e con il cuore a pezzi.
E’ davvero un pezzo di storia che se ne va (e un pezzo di me stesso, anche se questo è un fatto privato e giustamente non interessa agli altri).
Un pezzo di storia di Roma, prima di tutto, sia per chi lo ricorda fra gli scaffali pieni di libri di via degli Scipioni, dove mi convinse 40 anni fa a comperare il libro di Dumezìl sulla tripartizione funzionale dei popoli Indoeuropei, sia per la straordinaria avventura – culturale e imprenditoriale – dell’Alexander Platz e del Festival di Villa Celimontana che ne fu naturale spin off, diventando un appuntamento storico dell’Estate Romana.
Ricordo ancora come fosse ieri le appassionate discussioni al primo Campo Hobbit, nel ’77, dove io e Marzio Tremaglia (che rispetto a loro eravamo ragazzini) ragionavamo di tradizione e modernità, di valori fondanti e di strategie politiche con lui e Rutilio Sermonti.
Poi ci siamo persi di vista per parecchio tempo, fino a quando – proprio insieme a Marzio Tremaglia, che era diventato nel frattempo assessore alla Cultura della Regione Lombardia – comincai nel ’95 a occuparmi, dalla parte della Pubblica Amministrazione, di politiche culturali.
Fu l’inizio di una straordinaria avventura quasi quotidiana e durata oltre 15 anni, intensificatasi anzi a partire dal 2002, quando passai alla Regione Lazio e con Giampiero ci inventavamo una cosa al giorno: Celimontana on the road, i concerti jazz sulle isole, Buon Anno Jazz, Jazz&Books e chi più ne ha più ne metta. Una straordinaria avventura e – suprattutto – una avventura irripetibile e non solo perché Giampiero non c’è più, ma perché tutto un mondo a cui aveva dato così tanto (in termini di energia, di passione, di intelligenza, di coraggio fisico e intellettuale, di esempio) gli è naufragato intorno in questi ultimi anni, mettendo miseramente fine a una stagione che i pochi uomini come lui avevano reso eroica, ma che tanti altri hanno invece vanificato e condannato a una fine miserabile.
Chissà se Giampiero continuerà a guardare ogni tanto alle nostre cose terrene o se questo trapasso – per noi così tremendamente precoce – lo ha invece preservato da ulteriori e ancora più grandi delusioni.
Conoscendolo continuerà ad arrabbiarsi, ma senza mollare mai, anche nella sua nuova forma di esistenza.
Giampiero Rubei, presente! Mi manchi già da morire.