E scusate per l’originalità. Ma ho ritenuto doveroso che a inaugurare questa rubrica – che ancora non abbiamo ben definito cosa voglia essere, ma grosso modo dovrebbe somigliare molto a un mix fra ‘’Il matrimonio del mio migliore amico”, con tanto di bagaglio di rimpianti e qualche speranza di un happy end nel quale in fondo crediamo un po’ tutte, e ‘’Sex & the City”, più city (abiti e scarpe) che sex – dicevo, ho scelto di rendere omaggio al giorno più inflazionato della storia.
E siccome tutto quello che c’era da dire su questa ricorrenza s’è detto e molto di più (e Dio me ne scampi dall’assomigliare un po’ a quelli che “faccio un post su Sanremo per spiegarvi che non avrei voluto guardare Sanremo ma l’ho guardato solo per capire i motivi per cui non valga la pena guardarlo”), proverò a stare sul pezzo tentando di illuminare quanti ritengono che chi non la festeggia sia mediamente una/o sfigata/o.
Mi spiace deludere gli accaniti sostenitori del più idiota degli stereotipi sessisti, ma quella nutrita schiera di donne che detestano questa giornata diabetica non è poi detto che corrisponda sempre a zitelle che segnano con tondini neri il quattordici febbraio, si rinchiudono in casa a immergersi in barattoli di nutella e costruiscano bambole woodoo per indirizzare fatture a malcapitati o, peggio ancora, a rimurginare su trascorsi pseudo-sentimentali più o meno malamente naufragati davanti a una soap opera strappalacrime coi kleenex a portata di mano.
Donne moderne, no grazie
È che semplicemente, a essere donne moderne ci vuol molto poco. Ma essere donne al tempo moderno, è ben altra cosa. Significa soffrire di quella sindrome da inconsolabile insoddisfazione latente e perenne che ti porta a considerare la maggior quantità degli uomini esistenti sulla faccia di questa terra dei perfetti decaduti. Decaduti, non decadenti. Perché ad aver vissuto al tempo del decadentismo avrebbero almeno imparato da Baudelaire o da Prévert qualcosa sul concetto di ‘amor fou’, tipo l’esaltazione travolgente e passionale, la follia irrazionale e cieca d’amore che no, miei cari maschietti (e femminucce) del ventiduesimo secolo, tradotta in italiano non suona assolutamente come “sveltina”, ve lo assicuro.
E non è che questo mio piglio di crociata anti-san valentino abbia niente a che vedere col cinismo da quattro soldi, per cui mi spiace pure deludere quelli che tifano perché più o meno a metà di questo articolo spunti fuori la ricorrente sentenza a tema: “ma cosa festeggiate che siete tutti cornuti”. Una sortita che, lasciatemelo dire, oltre ad assomigliare molto allo sfogo di frustrati che non hanno la fortuna di ritrovarsi accoppiati tutto l’anno ma chissà perché ne sentono la soltanto a febbraio, è anche una delle frasi più discriminatorie della storia delle frasi banali, perché poi le corna uno mica se le sceglie. E francamente di discriminatorio in questa ricorrenza c’è già abbastanza: basta pensare a tutte le Valentine e i Valentini felicemente non fidanzati che più o meno da secoli perpetrano la loro battaglia, indomiti e fieri, sperando che un qualunque quattordici febbraio di chissà quale anno potranno finalmente svegliarsi e non sentirsi in colpa per ricevere auguri di buon onomastico a cui dovranno rispondere ‘’no grazie, sono single’’.
È che, vedete, io sono assolutamente certa che non sia quella dei nostri tempi, l’idea di amore alla cui causa quel santo martire di Valentino si immaginava d’esser stato votato. E sono anche del tutto certa che da qualche parte, lassù, ci stia guardando e rida di noi. Di questa umanità fatta di diminuitivi alla “amò” e “patatì”, di cuoricini su whatsapp, di inviti a cena prenotati in fretta e furia su Trip Advisor badando bene che il prezzo non oscilli fra i due e i tre zeri e di richieste vagamente ironico-erotiche, come se san valentino fosse il 31 di dicembre e le donne dovessero rispolverare improbabili completini di pizzo rosso.
Ecco, un paio di cose voglio dirle a tutti quegli uomini che in queste ore sono alle prese con una corsa affannata alla ricerca del profumo perfetto che finirà per essere quello consigliato dalla commessa – come se poi la professionalità di un’estranea potesse mai sostituirsi alla rarità di un uomo che saprebbe distinguere il tuo odore (odore, non profumo, e questa è un’altra storia) fra mille altre donne nello scompartimento di un vagone del metrò. Voglio dire un paio di cose pure a quelli che brillano ancor meno di originalità e si ridurranno ad acquistare un orsacchiotto da Lidl e delle rose mezze plastificate in numero stock di dieci-più-una-in-omaggio dal venditore ambulante all’angolo, perché va bene la cementificazione, la desertificazione e la diminuzione delle aree verdi delle città ma signori miei, un tempo, col ”mazzolin di fiori che vien dalla montagna da regalare alla morosa”, ci hanno fatto pure una canzone.
A loro, a tutti coloro che hanno deciso di consacrare questa giornata, questa serata, questa sopravvalutata ricorrenza come l’unica occasione per dimostrare vagamente una qualche forma di affetto, vorrei dire che non è il giorno. È il tempo. E i due concetti non si equivalgono. Perciò smettetela di prendere giorni – che sia il quattordici febbraio, l’anniversario del primo bacio o quello del primo spazzolino a casa sua. Prendetevi piuttosto il tempo di stupire (e stupirvi) ogni giorno. Come se ogni giorno fosse quello giusta per concedersi un calice di vino, mettere su della musica e ballare a piedi scalzi sul pavimento, per prenotare un viaggio di dodici ore solo per andare a far l’amore in qualche posto lontano dalla civiltà evoluta dove non c’è campo per i cellulari, ma solo spazio per l’intimità, di un abbraccio e di uno sguardo.
Pensieri reali, di inchiostro. Abbasso sms e websospiri
Il tempo per le parole. Quelle vere che sanno di tutte le spezie e i sogni e i sorrisi e gli istanti messi assieme. Perché nessun messaggino potrà mai sostituire due righe scritte a mano: che sia una dichiarazione vecchio stile con tanto di cuore disegnato a fianco, la lista della spesa per una cena solo per due, un ‘’ci vediamo stasera’’ lasciato accanto al cuscino o un ‘’eri bellissima’’ di qualche sconosciuto trovato sul parabrezza dell’auto, le parole contano. Che il romanticismo è altra cosa dalle citazioni dei baci perugina. E se persino Re Enrico VIII ha trovato l’ispirazione per epistole di struggente dolcezza dedicate ad Anna Bolena, la quale, diciamocelo, non è che brillasse di dolcezza e di affabilità, direi che una lettera ce la meriteremmo tutte.
@Silvia_Cocuzza