Èlia Porta era una delle ultime ausiliarie della Repubblica Sociale Italiana. Se n’è andata qualche giorno fa, l’11 dicembre, all’età di 101 anni. Una vita lunga e piena, la sua. Quasi uno sberleffo, per quei pezzi di una storia che il passare del tempo, con il suo lavorìo silenzioso e la complicità dei popoli, troppo spesso prova a dimenticare. L’ultimo saluto, Èlia lo ha ricevuto nella Chiesa di San Leone Magno al Prenestino, il quartiere dove ha sempre abitato e dove, al fianco del fratello Delfo (anch’egli combattente dell’Rsi) ha frequentato la storica sezione del Movimento Sociale Italiano della zona.
Era il 1932 quando Èlia, comandante del reparto Giovani fasciste, conobbe per la prima volta il Duce all’inaugurazione del Foro Mussolini. Nel 1941, si diploma con pieni voti presso la scuola di specializzazione per marconisti dell’Aeronautica ed è destinata subito dopo all’aeroporto militare di Centocelle. Una scelta forte, per quei tempi. Come forte era lei, che non esitò un attimo, dopo i fatti dell’8 settembre del ’43, a rispondere all’invito rivolto alle forze armate, dal ministro Rodolfo Graziani, a riprendere il proprio posto negli uffici di competenza. Èlia, il fratello Delfo ed il fratello Eraldo (imbarcato come marconista su un aereo) si ripresentarono al ministero. La giovane ausiliaria fu trasferita prima a Como, poi al Lido di Venezia, bersaglio di un bombardamento anglo-americano che – come ricorderà Èlia tempo dopo – fu indirizzato agli imbarcaderi civili, più che gli obiettivi militari. In quel periodo in laguna, la Porta conobbe e sodalizzò anche con i due attori Osvaldo Valenti e Luisa Ferida, in seguito trucidati a Milano dai partigiani per aver aderito alla Rsi.
Verso la fine della guerra, Èlia proseguì il suo lavoro come marconista-meteorologista spostandosi nuovamente, sul confine orientale, a Tarvisio. Ma vennero gli ultimi giorni della Repubblica Sociale, quelli più violenti e più feroci, soprattutto per le donne in camicia nera. E forse la sua vita, scampata alla fine drammatica di tante commilitone, l’ausiliaria la dovette anche al suo comandante, che per preservarla dagli orrori delle persecuzioni partigiane le fece indossare la divisa azzurra dell’Aeronautica nazionale repubblicana rispedendola a Como. Di lì a poco i reparti decisero di trasferire tutte le ausiliarie a Milano, facendole passare per soldatesse americane nei posti di blocco partigiani. Liberate dagli americani circa un mese dopo, Èlia e le sue colleghe marconiste riuscirono a prendere il treno per Roma.
Ma è proprio qui, tornata alla sua casa della via Prenestina, che la giovane pagherà il tributo più alto alle sue idee: arrestata per l’appartenenza alla Rsi nel giugno del 1946 (appena dopo il referendum), fu in seguito rilasciata. Ma l’ondata di repulisti che avrebbe investito, di lì in poi, tutti gli ambienti sociali riconducibili al recente Ventennio, non la risparmiò. A causa del suo passato fascista, nessuna domanda di lavoro, né come marconista né come personale di terra o di volo, trovò accoglienza. Impiegata come sarta di un atelier per una decina d’anni, alla fine Èlia vinse infine un concorso per dattilografa al ministero dei Trasporti, fino a quando il nuovo datore di lavoro, esponente del Partito Comunista, appreso del suo passato le impedì di rinnovare il contratto. Di nuovo disoccupata, eppure, per nulla scoraggiata. Anzi, nella sua autobiografia (Una storia vera, Edizioni Settimo Sigillo, 2012) Èlia racconta di aver ripreso i contatti con il fascismo clandestino e con tutti i camerati della Repubblica Sociale.
Nel 1949, una delle prime sezioni cittadine del neonato Msi ad essere aperte a Roma fu proprio quella del Prenestino: Èlia iniziò a frequentarla partecipando attivamente alla vita del movimento, ai campi estivi e alle attività, occupandosi dei poveri del quartiere e della mensa del popolo.
Alla fine degli anni Cinquanta, una svolta ed una nuova sfida: assieme a una decina di ex camerati, tra cui il fratello Delfo, Èlia risponde al reclutamento di specialisti marconisti e telescriventisti italiani utili all’edificazione del giovane stato latino-americano di Santo Domingo e si trasferisce sull’isola, dove conoscerà anche il generale Peròn. Una esperienza durata soltanto due anni, perché tutti i consulenti, nel 1961, furono rispediti in Italia, presagendo l’imminente colpo di stato da parte delle forze comuniste.
Tornata a Roma, tenace e determinata, Èlia ha ricominciato da capo, aprendo un’attività di libreria. Ed è qui, fra le strade e le case del Prenestino, che ha proseguito e concluso la sua vita, sempre dedita alle attività del Msi e intrattenendo rapporti con i reduci fascisti repubblicali, alle cui iniziative culturali e politiche ha dedicato ferventemente tutti i suoi ultimi anni, con l’entusiasmo che l’ha sempre contraddistinta.In una cultura sospesa tra l’ipocrisia dell’anticonformismo e la lotta al pensiero unico, che troppo spesso impone, silenziosamente, l’associazione univoca tra la femminilità stereotipata ed una emancipazione irrazionale, rendere omaggio alla scomparsa dell’ausiliaria Èlia Porta è, oggi, un atto dovuto.
Per ricordare, con lei e a tutti noi, quel tempo in cui l’idea di indipendenza femminile non faceva a pugni con la devozione, quando servire la causa della nazione, nel rispetto dei valori, era anche cosa da donne.