Non crederò mai che Veltroni e Alemanno siano stati davvero collusi con la Cupola. Magari col Cupolone, ma non con la Cupola mafiosa. Qualunque giudizio si abbia su ciascuno dei due, e su queste colonne siamo stati alla fine severi con ambedue, è surreale immaginare Veltroni e Alemanno affiliati a una cosca. Credo che la stessa cosa valga per Marino, anche se è pessimo il giudizio sul suo ruolo di sindaco. Possiamo fare un processo politico ai tre sindaci di Roma, denunciare il dissesto finanziario della Capitale lasciato da Veltroni, Alemanno che deluse i suoi elettori e la città, anche se Marino poi è riuscito a farlo persino rimpiangere. Ma la mafia no, non è cosa loro.
Parto da una premessa e poi mi soffermo su due nodi, uno che riguarda la politica in generale, l’altro che riguarda la destra di governo, a Roma e non solo. La premessa è: con le infiltrazioni mafiose che imperversano a Milano e a Nord fino in Germania, si poteva davvero pensare che Roma ne fosse immune? Non c’è sorpresa, l’intreccio tra politica e malaffare è un network nazionale e le associazioni criminali si sono infiltrate nei gangli vitali del Paese. Qual è allora la colpa vera della politica? Di essere inconsistente, psicolabile, inerme, senza rispetto di sé, mendicante di consensi e favori senza verificarne la provenienza, connivente per via indiretta per paura, incapacità, fragilità, ottusità, meschine convenienze. Un tessuto permeabile, la politica, soprattutto quando diventa una collazione di casi personali e di carriere individuali a scapito del resto. La mafia penetra perché offre alla politica, per vie indirette, piccoli vantaggi e immediate utilità; e la politica non si chiede la provenienza, non indaga, non denuncia, non respinge; lascia crescere quella zona grigia tra la politica e il malaffare dove avvengono gli scambi e dove portatori di voti sono anche portatori d’interessi loschi. Lo scandalo romano, subito romanzato per rendere la realtà un’imitazione della fiction, tocca tutti, da sinistra a destra, e questo dimostra prima che la corruzione della politica, la sua fradicia permeabilità. Sembra la rappresentazione del nostro territorio e della sua precaria friabilità. I sindaci passano, la malavita resta.
Ma a noi colpisce vedere nomi e biografie che provengono dal mondo di destra, e da quello più estremo e cazzuto. La memoria risale all’infausto caso della Regione Lazio riassunto plasticamente nella figura di Fiorito e nei festini di grottesca romanità. Perché una destra che per anni si è vantata della sua diversità, che propugnava l’alternativa al sistema e ripeteva con Almirante che dalle tasche di Mussolini appeso in piazzale Loreto non è caduto un soldo, è finita poi così in basso? Molte ragioni, ma le riassumo in una: quella destra aveva a volte coraggio fisico, ma non coraggio civile né intellettuale. Non ha saputo rischiare, tentare davvero di cambiare le cose, lasciare un segno vero sulla città, essere popolare e non chiusa in un cameratismo di setta de’ noantri , selezionare i migliori e non gratificare i comparuzzi. Non ha osato. Per carità, non sono stati peggio degli altri, dei loro avversari e dei loro alleati, sono rimasti nella media scadente, con l’alibi o l’aggravante dell’inesperienza.
Ora gran parte di loro merita di rimpiangere il tempo in cui era all’opposizione radicale, con viva preghiera di non diventare mai più forza di governo. Fate comizi, cortei e striscioni, non fate più gli assessori, i sindaci e i presidenti. Non è cosa vostra.