Prosegue con questo importante incontro il ciclo delle Giornate Culturali dell’Acqui Storia, la cui cerimonia della 47° edizione ha avuto luogo sabato 18 ottobre presso il Teatro Ariston di Acqui Terme con un grande successo di pubblico, di stampa e televisioni. Il più importante e longevo premio storico-letterario italiano ed europeo, dedicato alla memoria della Divisione Acqui ha in programma l’incontro con Massimo Filippini, figlio di un ufficiale fucilato il 25 settembre 1943 dai tedeschi a Cefalonia, per la presentazione del suo libro “I caduti di Cefalonia: fine di un mito”, edito da IBN Editore, domenica 30 novembre alle ore 16,30 ad Acqui Terme presso la Sala Conferenze di Palazzo Robellini. Introdurrà l’autore il responsabile esecutivo del Premio Acqui Storia Carlo Sburlati, presenteranno il libro lo storico Aldo A. Mola e il professor Carlo Prosperi.
Massimo Filippini ha pubblicato tre volumi su i caduti di Cefalonia (i precedenti hanno titolo La vera storia dell’eccidio di Cefalonia, 1998; e La tragedia di Cefalonia: una verità scomoda, 2004). Il libro ricostruisce nella sua prima parte le operazioni militari sull’isola e, soprattutto, offre ulteriori probanti riscontri documentari. Già operando sull’elenco Onore ai Caduti, approntato su impulso dell’Associazione nazionale superstiti e reduci e familiari dei caduti della Divisione Acqui, e del genleer Sapielli (3860 nomi, da ridurre a 3842 per alcune duplicazioni), Filippini era giunto ad una cifra approssimata di 1629 militari morti in combattimento, sotto i bombardamenti o per fucilazione. Ad essi si potrebbero aggiungere – ma con opportuna distinzione – i 1300 soldati italiani (anche qui la “vulgata” sale a 3000) periti nell’affondamento delle navi trasporto-prigionieri nella baia di Argostoli, silurati dagli angloamericani, che avrebbero dovuto essere nostri alleati.
Il ritrovamento, presso l’ufficio storico dello Stato maggiore dell’Esercito, di una documentazione completa relativa ai caduti e dispersi, inquadrati nella Divisione Acqui e relativi reparti (4666 nominativi, che si riferiscono a deceduti prima e dopo l’8 settembre) ha permesso al ricercatore, effettuati i vari scorpori (c’è chi morì lontano dalle isole Jonie, chi deportato dei campi; chi passò nelle fila della resistenza greca…) di giungere alla cifra di 1647 militari morti in combattimento, sotto i bombardamenti aerei, dell’artiglieria o per fucilazione. Questi ultimi non sono migliaia, ma un numero che potrebbe essere compreso al massimo tra le 350 e le 550 unità, cifra in ogni caso terribile come terribili, paradossali e quasi sempre tenute nascoste sono le morti di 1300 soldati dell’Acqui, silurati nella baia di Argostoli dagli angloamericani, che avrebbero invece dovuto proteggerli ed aiutarli nel ribaltamento di alleanze operato da Pietro Badoglio dopo l’8 settembre 1943.
Ma questa non è l’unica “scoperta” di Filippini, che ha rintracciato anche la relazione vergata nel 1948 dal colonnello Livio Picozzi – e diretta al governo De Gasperi – in cui si evidenzia la coscienza di una “verità” assai diversa dal mito che in Italia si stava costruendo. All’interrogativo “cosa conviene fare”, l’alto ufficiale risponde così: “Occorre lasciare che il sacrificio della Divisione Acqui sia sempre circonfuso da una luce di gloria; molti per fortuna sono gli episodi di valore, sia più individuali che collettivi […] insistere sul ‘movente ideale’ che spinse i migliori alla lotta…; non modificare ‘la storia già fatta’, non perseguire i responsabili di erronee iniziative (e qui è facile riscontrare l’allusione ai comportamenti difficili da inquadrare e perciò controversi di Renzo Apollonio e del capitano Pampaloni) per non incorrere nel rischio che il ‘processo’ a qualche singolo diventi il processo a Cefalonia; spogliare la tragedia del suo carattere compassionevole”.
Insomma: per quasi 70 anni fonti militari e politiche hanno calcolato in 10mila gli ufficiali e i soldati della Divisione Acqui fucilati dai nazisti a Cefalonia (e tutto ciò risultava da una semplice sottrazione: circa 11 uomini d’organico meno i 1286 rimpatriati nel novembre 1944) e ciò risulta ancora oggi da targhe marmoree in Italia e a Cefalonia e in monumenti sparsi per l’Italia.
Non è questo il solo valore del volume, che riapre nuove ferite analizzando il comportamento – criminoso, o leggero, o poco attento – degli alleati che silurarono il 18 ottobre 1943 le navi “Sinfra” e “Petrella” cariche di prigionieri italiani imbarcati dai tedeschi a Creta.
Ma interessante è anche la difesa dell’operato del generale Antonio Gandin e l’analisi del comportamento delle Forze armate rispetto al “caso Cefalonia”, con una cronistoria che inizia nel novembre 1944 e termina di fatto ai nostri giorni. Con poca trasparenza e correzione degli errori e delle gravi imprecisioni per le autorità militari di ieri e di oggi.
@MarioBocchio