Che a Redipuglia, ricordando – e, non a caso, nella vigilia della festa dell’Esaltazione della Croce – quell’enorme ecatombe d’innocenti che fu la prima guerra mondiale, papa Francesco avrebbe lanciato un ennesimo vibrante e commosso appello alla pace, se lo aspettavano tutti. Tutti sono, o dicono o credono di essere, “per” la pace e “contro” la guerra: e l’abuso stesso del consumo mediatico fa sì che i richiami a valori nei confronti dei quali il consenso sembra unanime, ma che nella realtà di tutti i giorni e di tutto il mondo vengono calpestati, appaiano invece ovvi ed inutili. Il pontefice parla di pace? E che cos’altro mai potrebbe dire e fare?, si chiedono tutti. E poi in fondo è la solita solfa “buonista”, commentano da destra gli scettici scafati che conoscono bene l’andar del mondo. E perché il papa dice queste cose mentre la Chiesa continua a difendere il concetto di “guerra giusta”?, si chiedono le anime belle della sinistra.
Il fatto è che non è andata per nulla così. La cerimonia di ieri si può anche interpretare in questo modo, se la si è seguita – in TV o sui giornali – con scarsa e superficiale attenzione. Ma se si dà alle parole il loro giusto valore e il loro corretto significato, tutto cambia. La premessa dalla quale papa Francesco è partito è che noi stiamo ricordando la prima guerra mondiale nell’auspicio che nulla di simile si ripeta più in futuro, mentre in realtà forse la terza guerra mondiale è già cominciata. “La guerra è una follia, distrugge tutto… – ha incalzato il pontefice -…crimini e distruzioni, ormai oggi si può parlare di una nuova guerra mondiale combattuta a pezzi”.
Non è una denunzia accorata ma generica: sbaglia chi l’ha intesa in questo modo. Anzitutto perché quella di oggi è una guerra di tipo nuovo, che magari stentiamo a riconoscere come tale. Dopo la prima, tutti gli eserciti europei si dotarono di maschere antigas, che furono del tutto inutili nella seconda. Dopo la seconda, tutti corsero a dotarsi di armi nucleari al tempo steso pensando che il loro possesso generalizzato sarebbe servito da reciproco deterrente: e invece non è affatto andata così, e oggi ci troviamo paradossalmente ancora sotto la minaccia nucleare ma circondati da una “guerra selvaggia” che si combatte – tra guerriglie e controguerriglie – con armi potentissime e sofisticatissime (e costosissime) che in teoria sarebbero “convenzionali”, ma hanno un potere distruttivo micidiale.
Pensate al paradosso del ragazzino africano che non ha nemmeno di che procurarsi acqua da bere e non va a scuola, ma al quale addestrandolo si affida un’arma che costa più del danaro che tutto il suo villaggio potrebbe mettere insieme in un mese.
E papa Francesco è andato giù dritto nelle denunzie. Addebitare i pericoli che la pace sta correndo nel mondo di oggi al fanatismo e al terrorismo è giusto e logico: ma fermarsi lì equivarrebbe a scambiare dei sintomi per la malattia reale: in quanto, appunto, fanatismo e terrorismo sono effetti sia pur terribili della guerra che sempre più sta dilagando nel mondo, ma non ne sono la causa.
Rintracciare e denunziare la causa, che del resto è ben nota a chiunque abbia un po’ di competenza e di esperienza riguardo gli attuali rapporti di forza e le dinamiche della distribuzione della ricchezza, è tanto semplice quanto inevitabile. Già alcune settimane fa, parlando a Seul a giovani orientali affascinati dal mito dell’opulenza dell’Occidente, inveì con forza contro l’”economia disumana” che concentra la ricchezza e crea di continuo nuove povertà. Ieri, dal sacrario di Redipuglia, ha additato la radice delle guerre sempre più dilaganti in due forze entrambe perverse: quella attiva dei “mercanti di guerra” e quella passiva dell’”indifferenza”.
I “mercanti di guerra”: che hanno bisogno dei conflitti per creare e distribuire ricchezze, che hanno bisogno di pretesti per svuotare gli arsenali e quindi di commesse pubbliche per riempirli di nuovo e tornarli quindi a svuotare. Ma per questo gioco è necessaria una manovalanza sottoproletaria che renda plausibili – con la sua ignoranza, il suo fanatismo, la sua disperazione – quei pretesti. Sarà un caso se, dall’Iraq al delta del Niger, parole d’ordine jihadiste e finanziamenti alla guerriglia jihadista partono entrambi dagli opulenti emirati dell’Arabia saudita, tra l’altro inossidabili alleati dell’Occidente? “La libertà non è gratis”, ama ripetere Obama. D’accordo: ma chi e che cosa dobbiamo finanziare, e perché?, ci chiediamo noi. E l’allusione agli F-35 che dovremmo acquistare, badate, non è casuale.
L’”indifferenza”, quella di noialtri popolo delle TV, degli stati, dei centri commerciali; quella di chi vivacchia ancora nel suo semibenessere che pur di giorno in giorno si riduce e che davvero crede che tutte le minacce contro la pace provengano dal “fanatismo”, e che magari per metter fine al fenomeno delle migrazioni basterebbe difendere in armi i propri confini, senza rendersi conto che c’è un nesso profondo tra lo sfruttamento del continente africano, la miseria dei popoli che ci vivono e il fenomeno della concentrazione della ricchezza e del progressivo impoverimento dello stesso Occidente. Ho detto or ora del delta del Niger, dove come tutti sanno combattono i biechi jihadisti: ma che ne dite della faccenda della “presunta” corruzione in Nigeria e di quanto sta emergendo a proposito di Descalzi, di Scaroni e della “politica delle mance”? Vi rimando a quanto ne scrive Davide Corbetta, Nuove tangenti Eni: effetti del neoliberismo sul mercato mondiale di gas e petrolio, “Paginauno”, 33, giugno-settembre 2013).
Papa Francesco sta ormai costantemente, con serena lucidità, chiedendoci di risvegliarci dal nostro letargo. Non è un illuso chi sogna un domani di pace conseguita attraverso la giustizia e la concordia ritrovate. E’ un illuso chi si ostina ad accettare come irreversibile un sistema mondiale fondato sulla sperequazione e sullo sfruttamento, che altro non può produrre se non nuove guerre.
Ma è poi proprio vero che sia cominciata la terza guerra mondiale? La riflessione del papa durante la visita al sacrario di Redipuglia si riallaccia alle dense e purtroppo concordi dichiarazioni di molti, troppi qualificati osservatori un po’ di ogni paese e di tutte le tendenze politiche. Siamo dinanzi a un conflitto che ha abbandonato gli antichi schemi del diritto internazionale e fa a meno delle dichiarazioni di guerra; addirittura a un conflitto generalizzato nel quale tuttavia i fronti sono tutt’altro che chiari. Se tra Stati Uniti e Iran si stabiliscono relazioni nuove che fanno quasi pensare al disgelo mentre, d’altra parte, Assad scrive a Obama a proposito dei loro “nemici comuni” e Israele lancia dei segnali alla Russia di Putin mentre si fa sempre più strada la convinzione che l’attuale “nemico pubblico Numero Uno”, il califfo dell’ISIS, sia finanziato e sostenuto dagli stessi petroemiri della penisola arabica che sono i principali e più “sicuri” amici e partners economico-finanziari dell’Occidente, ciò significa che la dinamica d’una guerra i focolai della quale esplodono l’uno dopo l’altro nel mondo si va sviluppando in modo fluido e imprevedibile: e difenda difficile dire da che parte stiamo, chi sono i nostri nemici.
Del resto, come dicevo poco sopra, quest’imprevedibilità si è già presentata in passato, sia pure in modi e aspetti diversi. La prima guerra mondiale cominciò come un’altra qualunque delle “guerre balcaniche” combattute negli anni precedenti; quando si avviò la seconda, tutti gli eserciti belligeranti si provvidero di maschere antigas e i soldati pensarono di dover tornare in trincea, mentre in sei anni di conflitto non si aspirò nemmeno una boccata di gas (non i combattenti, almeno…) né si scavò una trincea. La terza guerra mondiale, tutti se l’aspettavano e l’immaginavano nucleare: per cui confidavano nella non-proliferazione, visto che di disarmo atomico in realtà le potenze più grandi non volevano sentir parlare. Il nucleare però – questa era la dottrina prevalente – è bene averlo come deterrente: ciò scongiurerà lo scoppio del prossimo conflitto.
Era una dottrina duramente idiota, o sommamente ipocrita. Le armi, se uno ce le ha prima o poi le usa: ma il business dell’uranio, della ricerca nucleare e di tutto quel che vi è collegato è troppo appetibile perché chi lo gestisce ci rinunzi. Quanto al fatto che le armi nucleari finiscano con il costituire un deterrente contro al guerra in generale, è ovvio che non è così. Intanto, però, è svanito anche il concetto di “armi” e di “guerre” convenzionali. Lo sviluppo delle forze che noi chiamiamo “terroristiche”, la guerriglia e la controguerriglia, hanno ben poco di convenzionale; come ormai ben poco di convenzionale hanno i droni e i vari tipi di missili di ultima generazione.
Obama promette di distruggere lo “stato islamico” senza impegnare un soldato a terra, usando solo bombardamenti dal cielo: è una prospettiva terrificante ancor prima che tatticamente improponibile. Ci hanno provato, gli americani, a distruggere la resistenza afghana senza perdere dal canto loro uomini, usando solo i droni: il risultato è sotto gli occhi di tutti, e ancor più lo sarebbe se i media non avessero steso sulle vicende afghane il solito velo protettore della disinformazione democratica. I promessi bombardamenti sullo “stato islamico”, auspicati dal governo irakeno (che è un governo-fantoccio: ma ormai non si capisce più nemmeno fantoccio di chi) e anche da un disperato Assad che giunge a dire che ora lui e gli americani hanno “gli stessi nemici”, otterranno bensì esattamente quello che vogliono sia alcuni islamofoni forsennati da noi e i jihadisti nel mondo islamico: finiranno con il diffondere tra i musulmani l’idea che la guerra contro l’IS è in realtà contro una guerra contro i musulmani in blocco.
E’ proprio quello che vogliono da noi i “fallacisti” cefalofallici che hanno già rispolverato le idiozie sull’”Eurabia” e stanno dilatando i casi sporadici e patologici dei pochi jihadisti trovati in Occidente per convincerci che ormai il nemico è alle porte, anzi che ormai siamo invasi dagli alieni; e che nel mondo musulmano vogliono i propagandisti del jihad non contro il neocolonialismo sostenuto dalle lobbies multinazionali, bensì contro l’”Occidente” globalmente e astrattamente inteso.
Ma quel che va capito è che, ora, la guerra è dappertutto anche perché, a provocarla e ad alimentarla, non c’è (o non c’è soltanto) il fanatismo di alcuni “jihadisti”, bensì l’interesse di autentici colossi della produzione tecnologica dietro i quali si nasconde un immenso giro economico-finanziario.
E papa Francesco, difatti, è stato chiarissimo. Chi si aspettava il solito ammonimento appassionato ma astratto, le solite indicazioni teologicamente ineccepibili ma sociopoliticamente generica sulla “violenza che nasce dal cuore dell’uomo” e cose del genere – quelle che certa destra qualifica ormai come “buoniste” -, se si era illuso è stato subito deluso. Il pontefice ha parlato, al suo solito, in modo molto diretto. La guerra c’è, è dappertutto: ed essa non solo si aggiunge ai disagi e alle tragedie che c’erano prima – la fame, la miseria, le migrazioni disperate – ma le alimenta in un tragico circolo di fuoco e di sangue. Il terrorismo, ammesso (e non concesso) che fosse mai stato battuto, si è ripresentato ancor più minaccioso: ma chi lo alimenta? Il fanatismo? Ma esso, a sua volta, più che una causa è un effetto: dell’ignoranza, della paura, dell’ingiustizia. Esattamente in quelle realtà che ormai dilagano tra Africa, Asia e America latina, che stanno lambendo la stessa Europa ma dinanzi alla quale sono in troppi a fra la politica dello struzzo.
A proposito dello “stato islamico” – contro il quale Obama & Co., che farneticano di fargli la guerra usando la NATO (qualora avreste dimenticato che cosa sia questa bieca organizzazione a delinquere della quale noi italiani siamo purtroppo membri v’invito a dare un’occhiata a Mahdi Darius Nazemroaya, La globalizzazione della NATO, Bologna, Arianna, 2014), si guardano bene dall’accordarsi con l’unico interlocutore cointeressato sul serio a combatterlo, la repubblica islamica iraniana (anche se, l’ho accennato sopra, un certo disgelo tra Washington e Teheran negli ultimi mesi c’è stato), ci siamo sempre posti un sacco di domande: ma i politici e i media hanno più o meno elegantemente eluso quella fondamentale. Chi gli dà i mezzi per armarsi in modo tanto aggiornato ed efficace? Il papa punta sicuro il dito contro “i mercanti di guerra”: che non sono solo le lobbies che fabbricano ed esportano le armi, ma anche tutte le forze che, dai conflitti, si aspettano mutamenti nell’equilibrio geopolitico suscettibili di recar loro vantaggi e guadagni. Le guerre, ma anche le operazioni di “polizia umanitaria”, svuotano gli arsenali: che se restano pieni bloccano il mercato e magari fanno perdere posti di lavoro. E allora bisogna appunto svuotarli, magari scaricandoli su un po’ di malcapitati.
Quando poi le conseguenze congiunte della guerra della sistematica rapina delle ricchezze di paesi dal sottosuolo ricchissimo ma abitati da gente miserabile che di esse sono state espropriate si materializzano sotto forma di migrazioni, noi ci risvegliamo dalla nostra sonnolenta indifferenza e chiediamo di esser tutelati da quell’assalto. Magari anche con l’uso delle armi, sostiene qualcuno. La nostra indifferenza per quello che succede nel mondo, quando si risveglia dinanzi al dramma di gente che annega giornalmente nel mare per fuggire alla guerra e alla miseria, si trasforma in ottusa ferocia. Siamo come il cane che, percosso dal padrone, morde rabbiosamente il bastone ma poi continua a leccare la mano di chi lo ha colpito. E papa Francesco, puntuale, denunzia appunto l’indifferenza come l’altra grande responsabile delle guerre. I padroni della finanza e dell’economia si spartiscono il mondo e provocano le guerre per proseguire il loro disegno criminoso, la gente comune dei paesi opulenti – abituata a sua volta a vivacchiare dei cascami di quell’opulenza – vegeta nell’indifferenza godendosi come e finché può i suoi Centri Commerciali, non si pone domande sull’assetto del mondo, è convinta che a minacciarla siano soltanto il terrorismo e la disperazione altrui ed evita di chiedersi chi sia a provocare l’uno e l’altra. Per questo il discorso del papa a Redipuglia si riallaccia a quello pronunziato alcune settimane fa a Seul, durante il quale egli denunziò “l’economia disumana” che ormai ci domina. FC
A PROPOSITO DELLA SEQUELA CHRISTI –
Qualcuno sta accusando papa Bergoglio d’immanentismo nihilista: questo sarebbe il pericolo che si nasconderebbe dietro al suo “pauperismo”. E qualcun altro, più dotto, ha insinuato che il suo nudus nudum Christum sequi sarebbe indizio di kenotismo. Cerchiamo d’intenderci. Inutile ricapitolare che cos’ha significato la kenosis, non solo nella mistica ortodossa, e a quali letture abbia condotto. Tutti abbiamo presente quello splendido e terribile libro che è La croce e il Nulla di Sergio Quinzio e la sconvolgente requisitoria di Maurizio Blondet, Gli Adelphi della distruzione. Parliamo dunque di questo silenzioso compagno ateo del cristianesimo, l’esistenzialismo nihilista.
Il nihilismo è una tentazione sempre in agguato nella cultura occidentale, la quale considera il “Nulla” in termini ben diversi – e, diciamo così, “secolarizzati”: cfr. il grande Heidegger e l’infausto Sartre – rispetto alla tradizione cristiana (e del resto anche greca) del “Vuoto” (kenos) che in Oriente si è mantenuta più pura rispetto all’Occidente (e non addentriamoci in questioni relative al buddhismo o allo zen). Consiglierei di non lasciarsi troppo influenzare, in questo, dal parere del pur carissimo Blondet (in questo senso io sono forse un po’ cacciariano: ma la prudenza non è mai troppa). E’ evidente che gli “Adelphi della distruzione” entrano molto in questo discorso e in queste preoccupazioni, ma d’altra parte mi chiedo (e anche qui, attenti, io sono forse anche un pochino nietzscheano) se un nihilismo storico-funzionale non sia utile al tradizionalismo cattolico serio come strumento – rischioso finché si voglia – per demolire proprio la lettura modernizzante del cristianesimo che è una reazione (ma una reazione a sua volta inquinata) alla Grande Apostasia che si è impadronita della Modernità dal Settecento a oggi, che è anzi essa stessa (la catena individualismo-volontà di potenza-materialismo) quel che io amo definire “Occidente-Modernità”. In altri termini – e questo dovrebbe distinguere noi antimoderni (e in quanto tali conservatori) dai conservatori di tutte le risme -, con tutto il rispetto e perfino l’affetto e la gratitudine per quanto di bello, di grande e perfino di santo è stato prodotto dalla cosiddetta “cultura occidentale” dalla Riforma in poi (da Michelangelo a Mozart a Tolkien e magari oltre…), la cultura occidentale non è “tutto quello che resta della Tradizione, che va difeso perché è meglio di niente” (la tesi di Giovanni Cantoni), bensì l’Antitradizione sic et simpliciter. In altri termini, la tesi storica di Rodney Stark, The victory of Reason. How christianity led to freedom, capitalism, and western success (New York 2005) va esattamente rovesciata. Ma proprio questo è il punto. Si può anche sospettare che papa Francesco sia l’Anticristo o un servo del demonio: ma personalmente preferisco ipotizzare che questo gesuita (!?) peronista (?!) che sfidando la profezia di Malachia si denomina non Petrus Romanus, bensìFranciscus, stia inviandoci un messaggio molto preciso. La Chiesa, nata con Pietro e sviluppatasi all’interno di un mondo barbaro e violento ma segnato dall’Ordine cosmico del quale l’impero romano pur con tutte le sue infamie era espressione e garanzia, finirà (nel senso apocalittico: trionferà) con Francesco, proprio seguendo il SUO Christum nudum nudus sequi, che alla fine della Modernità è un messaggio radicale. Francesco, che in una società terribile eppure ben ordinata poteva proporre la sua scelta di rinunzia a qualunque forma di potenza (quindi di paupertas, che al suo tempo aveva un significato politico prima che economico) come “una” delle vie per arrivare al Cristo, non la sola, aveva comunque – questa è un’idea mia – individuato bene proprio sul nascere, e proprio perché era il figlio di un mercante-banchiere dell’Italia del primo Duecento, il primo nucleo di quella “Civiltà dell’Avere” e di quella “Sacra auri fames” (che ne è un aspetto) che avrebbe ucciso la Cristianità; non si era ribellato alla Chiesa, che di lì a poco avrebbe difatti(e proprio grazie anche ad alcuni personaggi del minoritismo osservante, come Bernardino da Siena) legittimato entro certi limiti e in certi modi il nascente capitalismo, per quanto Bernardino non sia Calvino – eppure Sombart, contro Weber, qualche ragione ce l’aveva -: ma, dopo lo scatenamento dell’individualismo e del capitalismo successivi alla conquista dei continenti da parte dell’Europa e all’avvio del processo di globalizzazione (intrinseco a quello “di secolarizzazione”, e parte quindi della Grande Apostasia che consiste nell’aver messo l’Uomo, e non Dio, al posto del cosmo e nell’aver negato un senso al cosmo stesso e alla vita umana), l’unica via percorribile dal cristiano è quella della sequela Christi come rinunzia alla Civiltà dell’Avere e alla Volontà di Potenza. Il papa sa tuttavia di essere uomo dell’istituzione (la Chiesa), non del càrisma, e sa anche che la malattia cronica è ormai in uno stato tanto avanzato, e quindi l’organismo dell’umanità è ormai tanto compromesso dalla malattia, che le terapìe d’urto non sono più possibili. Occorre gradualità e prudenza, in un mondo nel quale la Chiesa cattolica trionfa mediaticamente ma è sola nel deserto e i veri cristiani sono solo una minoranza che può essere esclusivamente “sale della terra”. La Chiesa trionfa nel suo splendore, ma è nuda nei suoi poveri, come diceva Bernardo di Clairvaux: è verissimo soprattutto oggi, e i suoi poveri non sono più soltanto i poveri cristiani, sono i poveri di tutto il mondo. Per questo, nel nome di questo gradualismo inflessibilmente perseguibile, la prima lotta di Francesco è quella contro quella che nel discorso di Seul egli ha qualificato “economia disumana”. La “nudità” della sequela Christi è il “vuoto” dell’oro che splende nei mosaici da Monreale a Costantinopoli: è il Tutto-Essenza-Pienezza, un “Nulla” che è il contrario di quello che pensano i kenotisti secolarizzati.
Non attacchiamo insomma brandelli di esegesi, di teologia e tantomeno di mistica alle pareti per fare il gioco dei nemici della Chiesa – tra i quali ce ne sono tanti che sono tali perché convinti di esser loro i depositari della Verità cattolica – che oggi si travestono da nemici di papa Bergoglio. La verità è che da parte di certi “cattolici” e dei loro sostenitori/finanziatori si teme non il “progressismo” di papa Bergoglio e la sua supposta indifferenza nei confronti delle questioni liturgiche, bensì il suo pensiero in materia sociale, che non si discosta dalla dottrina sociale della Chiesa ma la precisa e l’attualizza. Teniamo presente quel testo prezioso e risplendente che è l’esortazione apostolica del 24 novembre 2013, Evangelii gaudium, con la sua critica radicale contro il “liberismo che uccide” e “le teorie che suppongono che ogni crescita economica, favorita dal libero mercato, riesca a produrre in sé una maggior equità e giustizia nel mondo. Questa opinione, che non è mai stata confermata dai fatti, esprime una fiducia grossolana e ingenua nella bontà di coloro che detengono il potere economico e nei meccanismi sacralizzati dal sistema economico dominante”. Ma, continua implacabile, “per poter entusiasmarsi con questo ideale egoistico, si è sviluppata una globalizzazione dell’indifferenza”. Essa è correlata al “feticismo del danaro” e alla “dittatura dell’economia senza volto”. Denunziando le “ideologie che difendono l’autonomia dei mercati e la speculazione finanziaria” (alle quali oggi difatti la politica è asservita, e delle quali i politici si sono fatti “comitato d’affari”), egli aggiunge che “non si può più ricorrere a rimedi che sono un nuovo veleno, come quando si pretende di aumentare la redditività riducendo il mercato del lavoro, ma creando in questo modo nuovi esclusi…una simile economia uccide”.
E’ l’esplicita opzione preferenziale a favore di poveri e la denunzia delle infamie del turbocapitalismo che disturba certi cattolici. Altro che il sospetto di simpatie kenotiste…