Pare, dunque, confermato: si nasce incendiari e si muore pompieri. Gira da qualche giorno, infatti, un intervento di Fausto Bertinotti a dir poco rilevante. Un cronista calcistico lo classificherebbe fra i clamorosi al Massimino della politica italiana. L’ex guru di Rifondazione, in un’intervista rilasciata al direttore di Radio Radicale, Alessio Falconio, in occasione della 28esima edizione del Todi Festival, si spinge ben oltre la semplice autocritica nei confronti della propria appartenenza culturale. Poche frasi, secche e dirette per affermare una svolta tanto clamorosa quanto definitiva: per ripartire – dice l’ex presidente della Camera – bisogna far propria la cultura liberale che ha scoperto, sviluppato e difeso i diritti dell’individuo. Non c’è altra prospettiva di liberazione, di fronte al fallimento storico del comunismo e del sindacalismo. Questo, in sostanza, il succo della svolta bertinottiana: qualcosa che va ben oltre la solita critica al comunismo storico. Se infatti, i progetti di Rifondazione prima e SeL poi nascevano entrambi dai fuochi intellettuali di una sinistra francofortese, una sinistra già da tempo emancipata dall’ortodossia marxista-leninista, questa ulteriore presa di posizione così dura e profonda, assomiglia davvero ad una resa totale ed incondizionata ai canoni del pensiero unico.
Bertinotti sembra suggerire, senza troppi giri di parole, che al di fuori della cultura pienamente liberale non esistono gli strumenti per comprendere la realtà della globalizzazione e il futuro della nostra società. In questo senso va inquadrato il finale dell’intervista, dedicato con passione alla figura di Papa Francesco, al quale Bertinotti sembra affidare con speranza la propria scelta umanitarista ed il senso del proprio impegno civile. Messaggi davvero molto chiari che lasciano intravedere per la sinistra italiana un futuro di dissolvimento nella grande famiglia del Pd, quale corrente protestante e filantropica del pensoso radicalismo chic. Addio conflitti, addio fatti e addio realtà: la tradizione del pensiero critico, quella su cui si è fondata l’egemonia gramsciana del dopoguerra, resta infine senza erede. E forse, è bene così.
@barbadilloit