Caro Direttore,
alcuni commenti pubblicati su Barbadillo mi hanno spinto a buttare giù una rapida riflessione sul percorso di FdI-AN.
Quando insieme ad altri ho scelto di condividere questa lucida follia sognavo una forza politica di cui non vergognarmi, con un leader credibile e non sputtanato, che dicesse cose che potessi essere orgoglioso di rappresentare all’esterno, fatto di gente onesta, capace di rischiare anche a costo di rimetterci ruoli e posizioni, che potesse restituire cittadinanza ai valori e alle idee di una Destra (mi sia permessa la semplificazione terminologica) che aveva tentato il suicidio e che però non sarebbe più potuta tornare uguale a sé stessa.
Dopo un anno e mezzo devo dire che si, questa forza politica esiste e si chiama FdI-AN, ho avuto l’onore di rappresentarla ai massimi livelli, continuerò a farlo senza tregua pur non ricoprendo più incarichi elettivi, perché mi ha restituito la gioia e la voglia di fare politica.
Quella gioia e quella voglia che ci ha portato quest’estate a trovarci una sera al mare in pizzeria con altri validi dirigenti a immaginare la campagna dei fazzoletti bianchi contro il genocidio dei cristiani e poche ore dopo con un mazzo di fiori a rendere omaggio ai quattro piloti dei tornado, gesti forse più significativi di mille riflessioni. Niente di eroico, solo il segno che se privilegiamo l’azione alla parola questa forza politica non potrà che crescere ancora.
E più volgo lo sguardo a vecchi compagni di cordata, decimati nei numeri e ininfluenti nella sostanza, avvolti da un tatticismo imbelle che ancora in qualche caso tentano di ammantare come “il bene della destra”, più mi convinco che è stato giusto fare il grande passo, anche solo per guardarsi allo specchio tutte le mattine senza sputarsi in faccia.
Certamente, il fatto che sia stata la scelta migliore non vuol dire che la sua realizzazione quotidiana sia perfetta e che non ci siano molte cose su cui lavorare per migliorare ancora.
Stiamo ricostruendo su un terreno accidentato pieno di macerie: le macerie non sono soltanto elettorali ( aver disperso buona parte del vecchio voto di AN ), ma anche psicologiche e comportamentali, come quell’innato tasso di personalismo e quella insopprimibile tendenza al tafazzismo che hanno tarpato le ali a intere generazioni della destra italiana.
La pluralità di sensibilità è nel Dna della “destra” italiana e di tutti i partiti organizzati. Non ci serve un’ideologia, intesa come una griglia che piega ai suoi schemi la realtà dell’uomo e quando questa non si piega la stermina. Quello che ci deve contraddistinguere è invece certamente un’identità.
In questo senso però, pur in un percorso in divenire, abbiamo fatto scelte chiare.
Siamo usciti dal Ppe dichiarando guerra all’Eurocrazia che attraverso l’Euro e le sue regole folli ci sta spogliando di quel poco che rimane della nostra sovranità nazionale.
Abbiamo scelto di stare, senza se e senza ma, dalla parte dei produttori, dei non garantiti, contro le rendite (es. pensioni d’oro), la burocrazia, le grandi lobby e la finanza speculativa (per inciso, pensiamo davvero che questo non abbia riflessi sulla scarsa visibilità che i grandi media nazionali ci riservano?). Una moderna “destra di popolo”, né assistenzialista né turbo-liberista.
Abbiamo scelto di stare dalla parte degli italiani, contro l’ideologia immigrazionista che punta a creare nuove masse di diseredati (con qualche infiltrazione jihadista) da asservire alle grandi multinazionali, a scapito del lavoro e dei diritti degli italiani.
Abbiamo avuto il coraggio in politica estera di assumere posizioni non conformiste, impensabili fino a pochi anni fa nei partiti in cui molti di noi hanno militato (penso al no all’intervento in Siria..la storia ci ha già dato ragione.. o alla posizione sulla Russia), in nome dell’interesse nazionale ed europeo.
E potrei andare avanti ancora, ma non credo sia decisivo soffermarmi su tematiche acquisite come droga, famiglia o certezza della pena. I testi (i documenti congressuali come i programmi elettorali come le petizioni) e ancor più i fatti lo confermano.
Nella “politica dei partiti”, abbiamo dimostrato nei fatti di essere pronti a dissociarci da un sedicente centrodestra decotto quando questo sceglie di sostenere più o meno apertamente Letta o Renzi, quando vota Napolitano o quando decide di condannarsi alla sconfitta per non disturbare il manovratore (es. Piemonte).
Su questo patrimonio identitario qualcuno può calcare più su un tema piuttosto che su un altro, ma non ci sono confusioni né defezioni.
Si poteva fare meglio? Essere più rapidi e determinati nell’assumere alcune posizioni? Fare liste più forti? Probabilmente si, ma questo è già il passato e lo abbiamo analizzato in lungo e in largo.
Ora bisogna lavorare (e lo stiamo facendo) per uscire dalla fase emergenziale (due elezioni di importanza epocale e i congressi-primarie in solo un anno e mezzo), legittimando la classe dirigente sul territorio attraverso il voto, strutturando i dipartimenti tematici per valorizzare le enormi competenze che abbiamo in casa e aumentare la nostra capacità di penetrazione nei diversi settori, coordinando i nostri amministratori locali che rappresentano un nerbo fondamentale, strutturando un movimento giovanile che sappia essere avanguardia nella società piuttosto che vedere i suoi militanti impegnati in estenuanti diatribe sul web, decidendo infine su quali temi incentrare la comunicazione esterna che certamente va potenziata.
Il tutto senza dimenticare che un Partito non vive per sé stesso e per le sue strutture ma esiste per dare risposte ai problemi della gente, per diffondere un modello sociale e culturale, e che ci si prospetta un autunno molto duro sul piano economico e sociale e il nostro primo compito sarà stare in mezzo alla gente con campagne e proposte chiare.
Tra poche settimane, grazie a uno sforzo importante che in tanti troppo spesso sottovalutano, ci ritroveremo ad Atreju e rilanceremo.
Giorgia Meloni (permettetemi di dirlo, una delle cose che ha funzionato meglio fino ad oggi), nel suo intervento conclusivo al Congresso di Fiuggi, disse “non lasciatemi sola”, consapevole com’è che la traversata sarà lunga e piena di insidie. Ha scelto di avere al suo fianco dirigenti di lungo corso ma anche la sua generazione, quella “generazione Atreju” che non mi risulta abbia deciso di interrompere la sua guerra contro “il nulla che avanza”.
Carlo Fidanza
Esecutivo nazionale FdI-AN