Se sentite puzza di bruciato, sfogliando le pagine de “La vita sessuale delle gemelle siamesi”, l’ultima fatica letteraria di Irvine Welsh, state tranquilli. È l’autore di Trainspotting che dà fuoco alla faccia dell’America per mostrare il volto vecchio e stanco di un’Europa che ha creduto nell’identificazione con quel modello occidentale. È la plastica dell’ipocrisia a stelle e strisce, che fa più fumo che fuoco, senza calore, che annebbia e non riscalda. Puzza di plastica bruciata. Che Welsh, tra i più autentici e corrosivi interpreti della narrativa europea, fa sentire a tutti, per poi lavarla con secchiate di un cinismo ghiacciato. Un freddo disincanto in cui non manca mai un’ironia caustica, un ritmo nella scrittura che non allenta mai. Frustate sul dorso di una storia emblematica dei tic della società moderna.
Il romanzo racconta le vite parallele – e l’ambiguo rapporto che le regola – di due donne apparentemente agli antipodi. Una, la voce narrante del libro, è Lucy Brennan, personal trainer di Miami Beach impegnata nella sua personale crociata contro grassi e calorie, un’autentica eroina della forzata scalata al successo sociale partorita da un ambiente patinato e finto. L’altra, Lena Sorenson, è un’artista bulimica perennemente in sovrappeso, timida e insicura, che scarica sulle porcherie alimentari la propria insoddisfazione. Le due vengono a contatto per puro caso e Lucy finisce, per un video girato da Lena in cui disarma un uomo armato di pistola, nel vortice di una notorietà effimera. Da qui in avanti il loro rapporto diventerà sempre più morboso e farà il paio con l’argomento principale dei media, la vita sessuale di due gemelle dell’Arkansas: una vuole fare sesso con il proprio fidanzato, l’altra no. Il pubblico americano fa finta di seguire le vicende delle gemelle con compassione ma in realtà spia dal buco della serratura i risvolti voyeuristico del “caso” mediatico di turno.
Inutile raccontare di più. Welsh è un maestro nel capovolgere situazioni e giudizi, lasciando aperta ogni possibilità. Lo scrittore scozzese sceglie una nuova angolatura da cui osservare il reale, spiattellando la morbosa curiosità dell’occidentale medio verso ogni forma di “diverso” che sia evasione dal grigiore stantio di vite tutte uguali, passate a inseguire un successo che non arriva e a invidiare chi l’ottiene. Ma è una diversità che è solo normalità imposta da quel modello, deformata per la logica dello spettacolo di un moloch che deve autoalimentarsi anche di ciò che vomita in hd. Non ci sono peli sulla lingua di Welsh, ed è il contrario delle ciglia depilate della finzione di sistema e sistematica che denuncia nei suoi romanzi.
Le vittime diventano carnefici, i deboli sono i veri forti e il capovolgimento dei ruoli, anche grazie all’alternanza di schemi, registri e perfino soluzioni grafiche, è una costante nella prosa del romanziere di Leith. La finzione e il cinismo che regola i rapporti umani, le armi di distrazione di massa con cui il gregge continua a impecorirsi, il crollo del mito calvinista del successo come unica strada al divino, sono gli ingredienti con cui Welsh cucina un romanzo ch’è l’ennesimo pugno nello stomaco a chi ha ancora fiducia in un modello le cui contraddizioni emergono sempre più, come rughe che nessun lifting potrà mai nascondere.
È la crisi americana, quella rappresentata dall’autore di Trainspotting. Perché è lì che il c’è, da tempo, il laboratorio del pensiero unico elevato a sistema. Ma Welsh è scozzese. Conosce l’America perché si è trasferito negli States da qualche anno. Fratello, pur con soluzioni formali ed esiti diversi, del Palanhiuk di Fight Club e Soffocare, rappresenta la critica di un europeo consapevole del processo di occidentalizzazione che ha unito, spesso forzatamente, i destini di due popoli i cui interessi si dà troppo scontato che non divergano. Criticando gli Usa, Welsh sferza i popoli invecchiati del Vecchio continente. Un pirata, all’arrembaggio della flotta yankee e dei suoi stanchi epigoni. Anche solo per questo, vale la pena leggerlo.