Cinquecentomila firme per il referendum contro la legge Fornero. Un secondo balzo in avanti della Lega Nord guidata da Matteo Salvini, dopo il convincente risultato alle elezioni europee e il flop (amaro) della mancata costituzione del gruppo europeo nel parlamento con il Front National.
In un centrodestra davvero alla canna del gas, Matteo Salvini indica una strada controtendenza, mentre Toti e Fitto studiano come prendere lo scettro del postberlusconismo, intrappolati in ritualità partitocratiche senza nessun appeal.
Con un impegno militante, in tutta Italia, anche al Sud, il leader della Lega ha raccolto le firme per cinque referendum su temi nazionalpopolari (dall’abrogazione della Legge Fornero a quella della Legge Mancino). Il risultato è il frutto di una buona organizzazione e di fiuto politico nell’interpretare gli umori del blocco sociale che si è riconosciuto nelle posizioni delle destre italiane.
La Lega non è solo Salvini, ma il segretario la sta spingendo in avanti (oltre il monotematismo settentrionalista e i temi dell’immigrazione), su territori che non aveva mai battuto, con soluzioni economiche (consigliato da Claudio Borghi Aquilini) e pratiche che spiazzano i ripetitori liberisti presenti nelle fila della destra borghese.
L’affondo contro la Fornero è il profilo più apprezzabile: la difesa del lavoro deve essere una priorità per il fronte antirenziano, con soluzioni che pongano la socialità come fulcro dei futuri programmi politici. Ed è ora, davvero, che i partiti politici del centrodestra scoprano quanti giuslavoristi “anticonformisti” ci sono nelle università e nei tribunali: raccordandosi con questo mondo che maneggia quotidianamente i codici del lavoro, potranno essere messe in campo soluzioni concrete per allargare lo spettro dei diritti di generazioni senza tutele.
Come scriviamo da tempo, la riscrittura delle garanzie di un welfare moderno rimane per noi il nodo cruciale della politica dei prossimi anni. Se gli esodati costituiscono un fronte di lavoratori penalizzati e cannibalizzati dalla insipienza del governo tecnico, c’è una intera generazione di precari (intellettuali e non) senza garanzie sociali e senza l’orizzonte di una pensione.
Renzi, con la mancia di ottanta euro, ha conquistato le fascia di lavoratori dipendenti con stipendi appena dignitosi. Accanto a questi ci sono milioni di giovani che sopravvivono, sfruttati, con poche centinaia di euro al mese, frutto di contratti atipici, da sfruttamento legalizzato sotto forma di stage…
Una forza politica, con le radici nel popolo, non può non ripartire dalla restituzione della dignità sociale, della dignità di lavoratore retribuito con civiltà a centinaia di migliaia di italiani costretti sulla soglia dell’indigenza da un manipolo di governanti incapaci e asserviti alle logiche del capitalismo apolide.