In un articolo intitolato Festina lente (ora in La Vita Culturale dell’America Moderna edizioni Arianna) scritto nel 1928, poco prima della grande crisi e del secondo conflitto mondiale, Knut Hamsun, lo scrittore norvegese premio Nobel per la letteratura nel 1920, propugnatore di un naturalismo mistico legato alla terra, faceva una profezia, che si sarebbe dimostrata fondata: “Tutti barcollano mentre procedono a tentoni, nessuno trova pace. Dio è stato dimenticato, i dollari non sono in grado di sostituirlo, la meccanica non allevia le sofferenze dell’anima. In una simile situazione l’America si limita ad aumentare la velocità…. centuplica la velocità, giocherà a fare l’uragano sulla terra…”.
Da allora l’americanismo ha rovesciato ogni stile di vita che non fosse improntato a velocità o a consumo frettoloso delle risorse e della vita. Il mito della velocità, d’una corsa folle e insensata, sarebbe stato poi magistralmente descritto nel romanzo di Jack Kerouac Sulla strada.
La velocità ci impedisce di cogliere il senso delle cose, l’accelerazione del tempo nei rapporti umani, nella fruizione dei paesaggi o delle opere d’arte, nel vivere la vita, brucia lo spazio e contraddice il tempo biologico, che invece è fatto di pause, di ritorni, di ozio. Scrive Christoph Baker: “la lentezza permette di riscoprire gesti, odori e suoni che l’accelerazione e la velocità ci avevano rubato. Come si fa a sentire il profumo di un fiore se uno passa a cento chilometri all’ora?” (in Ozio, lentezza e nostalgia). All’americanismo Hamsun contrapponeva il motto che fu dell’antichità: Festìna lente. Festìna lente significa “affrettati lentamente”. La frase, attribuita all’Imperatore Augusto dallo scrittore latino Svetonio nel suo testo Vita di Augusto, sta ad indicare un modo di agire senza indugi, ma con cautela. Un consiglio che oggi suona di grande attualità, dal momento che la fretta, lo stress, la cultura del produttivismo non ci permettono più di vivere serenamente.