Quanto è accaduto, il giorno di Pasquetta, all’Ipercoop della Spezia mette finalmente fine alla retorica dell’azienda “diversa”, attenta alla filosofia “slow” della qualità e dei tempi della vita e quindi rispettosa dei diritti dei dipendenti e delle loro famiglie. Sarà colpa del tramonto delle ideologie. Sarà il nuovo corso della sinistra renziana. Sarà che i conti sono i conti e quindi, in nome dei bilanci (della Coop), anche i diritti dei lavoratori possono passare in secondo piano. Sta di fatto che lo sciopero indetto dalla Filcams Cgil spezzina contro l’apertura festiva dell’Ipermercato “Le Terrazze”, decisa dalla Coop Liguria, ha scatenato una guerra tra azienda e sindacato, dal forte valore simbolico. Si rompe uno storico “patto” tra soggetti gravitanti nella stessa area politica e, nel contempo, si rendono palesi le contraddizioni di certa sinistra, buonista e tollerante solo a parole.
“E’ grave che l’azienda abbia deciso unilateralmente l’apertura il giorno di Pasquetta” – hanno dichiarato dalle parti della segreteria della Filcams Cgil della Spezia, denunciando il mancato rispetto del contratto integrativo e proclamando uno sciopero, per l’intero turno di lavoro, il lunedì dell’Angelo. Ancor più grave è che, di fronte alla partecipazione quasi totale dei lavoratori (90% di adesioni secondo la Filcams Cgil), la Coop Liguria abbia risposto chiamando al lavoro propri capi da altre strutture per far funzionare l’ipermercato.
A sinistra qualcuno si è chiesto: “E’ ancora giusto e logico trattare, anche ideologicamente, questa importantissima realtà come una cooperativa e non come una delle principali aziende italiane attiva anche nel settore immobiliare, finanziario e bancario? La Cgil manifesta, attacca i “crumiri” ma forse dovrebbe allargare i suoi orizzonti. Ad esempio chiedere a Eataly che di Coop Liguria è partner commerciale come si abbinano filosofie di qualità e crescita non solo commerciale ma anche sociale con politiche aziendali così drastiche? Oppure chiedere ai filosofi di Slow Food e ai loro rappresentanti sul territorio (che sono anche rappresentanti di importanti aziende guarda caso partner di coop in molte iniziative) come si conciliano alcune collaborazioni sociali con lo spirito manageriale”.
Da parte nostra – per andare al fondo delle ragioni di uno sciopero in difesa del “diritto alla festa” – chiediamo: come può una famiglia condurre serenamente la propria vita se, quando il marito è a casa dal lavoro, la moglie è a lavorare, o viceversa? E se quando i figli sono a casa da scuola, uno o entrambi i genitori sono al lavoro? Per di più, avere il tempo libero dal lavoro in giorni diversi gli uni dagli altri non consente che esso venga vissuto come tempo di festa, perché non è possibile far festa da soli; così come limita fortemente le relazioni amicali e la libera partecipazione alla vita di gruppi, associazioni e comunità.
E’ così “drammatico” , nel nome dei bilanci aziendali, chiudere un supermercato nei giorno canonici della festa ?
Come indica la Dottrina Cattolica “la dimensione cristiana della festa come tempo di comunione e attesa porta a maturazione la nostalgia di un tempo dove l’uomo non serve solo la produzione, ma dove il lavoro ridoni speranza all’uomo. Tocca alle comunità cristiane predisporre le condizioni antropologiche, educative e comunitarie perché la domenica sia vissuta come tempo della festa, tempo “sacro”, cioè un tempo in cui l’uomo si lascia sorprendere (prendere-come-da-sopra) dal fatto che la vita personale, familiare e sociale è più di quanto egli misura, calcola, produce e costruisce, ma è dono che deve essere ricevuto e vissuto nel cerchio familiare e nello scambio sociale”.
Visto lo sciopero spezzino contro la Coop, quella della “festa” si conferma essere non una battaglia clericale, ma una sfida antropologica e sociale, in grado di coinvolgere l’essere stesso delle persone. E allora, se il commercio è indubbio che debba essere favorito, è anche vero che esistono “bilanci culturali” con cui bisogna sapere fare i conti, a cominciare dalla piena consapevolezza del proprio “tempo”, dal riconoscersi in culture condivise, quali quelle che vengono da un ceppo comune, dagli esempi di una religione che si intreccia con la società, che si fa bandiera, rito civile, segno distintivo, festa nel suo significato di evento gioioso e coinvolgente il singolo e la comunità, laddove invece a vincere sembrano essere le logiche del mercato, dell’individualismo, dello sradicamento culturale, della perdita della memoria.
Per queste diverse ragioni i giorni “festivi” vanno difesi e riconsegnati al loro destino di giornate straordinarie e di “condivisione sociale”, anche a costo di scontentare qualcuno. Coop comprese.