La scomparsa di Claudio Quarantotto, figura importante, quanto purtroppo sottovalutata, nella storia della cultura e del giornalismo “di destra”, offre l’occasione per puntualizzare il ruolo che ebbe la rivista della quale Quarantotto fu il direttore e la mente organizzativa, dandoci, nel contempo, uno squarcio significativo del “clima culturale” in cui l’Italia si trovò a vivere nel decennio Settanta.
Come ebbe a testimoniare, in seguito, lo stesso Quarantotto (“Una cultura che osava dire il suo nome”, “L’Italia Settimanale”, 8 marzo 1995) “Gli amici più cari avevano affettuosamente sconsigliato l’editore Mario Tedeschi di rischiare soldi in una rivista di cultura, e il direttore, ossia il sottoscritto, di cimentarsi nel classico e disperato tentativo di fare un buco nell’acqua. Quando poi seppero che la rivista di cultura si sarebbe intitolata “La Destra”, il coro divenne generale: in Italia l’organizzazione della cultura era in mano a comunisti e cattocomunisti, la parola destra era diventata sinonimo di fascismo, sicché nessuno avrebbe accettato di collaborare a “La Destra”, per non rischiare carriere, stipendi, poltrone, fama, diritti d’autore e rendite da antifascismo vero o presunto”.
All’iniziativa editoriale, appena nata, Umberto Eco, uno dei soloni dell’establishment culturale “progressista”, dedicò (su “L’Espresso”) un “articolo rivoltella”, con cui bollava come “disonesta” e “puerile” la rivista, collegando la rinascita del “pensiero reazionario” con il Grande Capitale e il terrorismo.
Evidentemente, la rivista, diretta da Quarantotto, dava fastidio, per il livello delle collaborazioni (con un comitato di cui facevano parte, Michel De Saint Pierre,Mircea Eliade, Vintila Horia, Thomas Molnar, Ernst Junger, Giuseppe Prezzolini,Caspar Schrenk-Notzing) e per l’impegno anticonformista nel dare voce ad una destra culturale di livello internazionale, che rifiutava l’assimilazione con la destra economica e si teneva ben libera dai condizionamenti di quella politica.
Come veniva specificato nelle note di apertura (“Questa rivista”, “La Destra”, N. 1, dicembre 1971) “la prima è stata sempre alleata del potere e, essendo oggi al potere la sinistra, è alleata della sinistra. La seconda costituisce soltanto una parte della destra internazionale; e non comprende nemmeno, in campo nazionale, tutti gli uomini di destra, ancora dispersi, o divisi, in vari raggruppamenti e formazioni”. Semplificando il messaggio, ma con l’ambizione di rappresentare trasversalmente, “in tutte le sue tendenze e diversità, ideali e geografiche, la più vasta destra culturale”, il ruolo della, rivista veniva sintetizzato provocatoriamente nel trinomio reazione, conservazione e costruzione: “reazione contro il male, conservazione del bene e costruzione del meglio”.
Preso atto della crisi culturale, ideologica e politica della sinistra (nel momento in cui le utopie del marxismo avevano reso palesi i loro limiti congeniti) e constatato che “il ‘senso della, storia non esiste” la rivista diretta da Quarantotto manifestava la volontà di allargare gli orizzonti culturali di una destra che non si limitasse a contemplare le opere del passato, “soltanto perché appartengono al passato”, né a rifiutare “le opere del presente soltanto perché sono figlie del presente”, ma che dal passato volesse “raccogliere, come eredità, l’eterno” e dal presente intendesse “fugare tutto ciò che contrasta con l’eterno, ovvero con i valori permanenti, negando i quali l’uomo nega se stesso e senza i quali non esiste una libera nazione, ma soltanto anarchia o tirannide”.
La collezione de “La Destra”, che uscì dal 1971 al 1976, testimonia la sensibilità culturale e la capacità “di sintesi” dell’impegno di Quarantotto, che riuscì a pubblicare gli autori delle diverse “scuole” che componevano e – di fatto – continuano a comporre il variegato mondo della cultura anticonformista (dal “disubbidiente per ubbidienza” Monsignor Marcel Lefèfvre ad un allora giovane “innovatore” come Alain de Benoist) , evitando le ricorrenti “polemiche d’ambiente”.
In questo senso Quarantotto guidò con sicurezza quel ricco bastimento culturale, lavorando “per inclusione”. Un esempio che, a destra, non solo in ambito culturale, dovrebbe, oggi, fare scuola.