La Consulta cancella il divieto alla fecondazione eterologa. E dopo dieci anni di paralisi, la politica deve tornare a occuparsi della legge 40 e dei suoi riflessi sulla vita dei cittadini
Arriva nuovamente davanti alla Corte Costituzionale e nuovamente viene bocciata in una delle sue parti. La sorte della legge 40, la normativa sulla fecondazione assistita, è ormai segnata: censurata dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, appare come una normativa alla deriva, abbandonata a se stessa dal legislatore, che ha rinunciato a intervenire, abbandonata dalla politica italiana che si è lasciata alle spalle la stagione dello scontro sui temi etici, facendo sì che a occuparsene siano movimenti, associazioni o singoli cittadini.
La sentenza della Consulta
La Corte Costituzionale oggi è stata chiamata a esprimersi su uno degli elementi più delicati della legge 40: la fecondazione eterologa, la possibilità cioè di ricorrere a gameti di soggetti esterni alla coppia. Il caso è stato sollevato dai Tribunali di Firenze, Catania e Milano, cui si erano rivolti tre coppie. I legali delle parti hanno sostenuto nel corso dell’udienza pubblica che si è tenuta ieri la “discriminazione totale e assoluta” creata dal divieto di procedure eterologhe rispetto alla fecondazione omologa prevista, seppure con restrizioni, dalla legge. Dall’altra parte l’Avvocatura dello Stato ha fatto presente che “serve un intervento del legislatore”. I giudici della Consulta hanno alla fine rilevato l’incostituzionalità del divieto e di tutte le conseguenze che questo comporta (compresa le sanzioni amministrative pecuniarie). A questo punto il legislatore è messo alle strette. La legge va riformata e non con semplici decreti, come ha spiegato il ministro della Salute Beatrice Lorenzin.
La paralisi della politica
La legge numero 40 compie quest’anno dieci anni e in tutto questo tempo è già passata dal vaglio dei giudici per ben trenta volte. Tutto ciò senza che si sentisse l’urgenza di ridisegnarla. Certo, le pressioni bilaterali (da parte di movimenti e associazioni laiche come di movimenti e associazioni cattoliche) sono state in questi anni fortissime e la politica si è sentita forse strattonata, forse schiacciata. Ma può essere questo un alibi legittimo per l’inazione? Per il centrodestra italiano la legge 40 rappresenta un vero punto di non-ritorno. E’ una frantumazione senza fine quella che comincia proprio con la discussione su questa normativa e con la presa di posizione minoritaria di Gianfranco Fini, allora leader dell’allora partito di Alleanza nazionale, che al referendum del 2005 sulla legge si dichiarò pronto a votare sì per tre dei quattro quesiti mentre il partito s’impegnava in una campagna per il non-voto, aprendo così la strada a “metastasi” e lacerazioni che poi – si disse – furono ricucite ma di certo non sono mai state sanate. Sul fronte opposto, anche il centrosinistra ha avuto e ha il suo bel da fare a tenere insieme le sue varie anime, lontane anni luce le une dalle altre proprio rispetto a questi temi.
La road map del ministro
Al di là della valutazione tecnica e poi ancora sociale dei risultati che questa legge ha portato nel nostro Paese, a un’analisi politica oggettiva non può sfuggire quanto questa normativa sia il simbolo della fine di un’idea: quella di una politica libera da pressioni, capace di avere una visione degli effetti reali che ogni decisione – anche quella di non decidere – produce sulla vita quotidiana delle persone. Perché, comunque la si pensi, quella della fecondazione assistita è una materia che ha a che fare con la vita di migliaia di coppie italiane. Ma con quest’ultima sentenza, che cancella il divieto posto alla fecondazione eterologa, si apre un vero e proprio varco nella normativa, che difficilmente si potrà evitare di affrontare, tanto che il ministro della Salute Beatrice Lorenzin si è subito affrettato ad annunciare l’avvio di una road map per attuare il dettato della sentenza e per definire una serie di aspetti sicuramente complessi che a questo punto emergono, come per esempio l’anonimato del donatore/donatrice di seme o ovulo utilizzati nella procedura.
Una battaglia aperta
La battaglia resta aperta. Ma a confrontarsi è stata finora una società civile divisa fra chi la ha vissuta come una questione etica e chi invece la ha intesa come una guerra per i diritti civili. E mentre il fronte laico con la pronuncia dei giudici costituzionali ha segnato un avanzamento nella propria battaglia, domani, seguendo le nuove procedure dettate dal Trattato di Lisbona, il Parlamento europeo ascolterà le ragioni della petizione “Uno di Noi”, che in pochi mesi ha raccolto in tutta Europa due milioni di firme contro le sperimentazioni sugli embrioni: più di 530mila firme vengono da cittadini italiani.
Oggi la Consulta si è espressa, mettendo un punto fermo che carica di responsabilità la politica italiana, chiamata a riprendere in mano una materia sì scottante ma troppo vicina alla vita di tutti i giorni degli italiani per essere semplicemente ignorata.