Il 4 febbraio 1898 nacque a Prato, da genitori fiorentini nella città allora in provincia di Firenze, Aniceto Del Massa.
Il nome dirà probabilmente poco a molti dei lettori di questa effemeride. E’ normale che sia così; una delle caratteristiche dell’uomo fu quella di muoversi dietro le quinte, di non apparire ma di avere importanti missioni da svolgere.
Anche quando, in particolare nella seconda parte della sua vita, si dedicò quasi esclusivamente ad attività culturali come critico d’arte e critico letterario, come direttore della terza pagina di un quotidiano, come poeta, pittore, il suo nome comparve raramente.
Probabilmente fu determinante l’esperienza in un collegio ortodosso dove religiosità non di facciata e meditazione si innestarono su un carattere forte ed una intelligenza non comune.
Fatto sta che a soli 14 anni, nella Firenze dei primi del Novecento, già partecipava ai fermenti del Futurismo respirando l’ariaccia dei caffé fiorentini e le idee che vi circolavano.
Scriverà: “La fortuna mi ha fatto vivere in un’epoca e in una città, accanto a uomini e a idee, capaci di scuotere e animare l’intelligenza. La mia formazione spirituale è stata così favorita da un ambiente propizio; giovanissimo, anche se di riflesso, respirai l’atmosfera intellettuale creatasi in Firenze con “La Voce” prima e poi con “Lacerba”. Imparai molte cose e fui sull’orlo di molti pericoli; frutto di tante tumultuose letture furono entusiasmi e depressioni, dubbi, incertezze, disordini e aspirazioni rivoluzionarie. Il disprezzo per tutto ciò che borghese, filisteo, convenzionale, rettorico, luogo comunismo, è penetrato in me proprio nel periodo più squassato della mia vita quando ogni giorno era la negazione del precedente e mi attiravano irresistibilmente le esperienze più rischiose”.
In quella giovanissima età già iniziava la collaborazione come cronista del quotidiano “La Nazione”, nel quale, con diversi ruoli e incarichi – ma principalmente come critico d’arte – sarebbe rimasto per molti decenni della sua vita.
Lontano dai clamori degli interventisti e niente affatto di spirito militarista, non partecipò alla campagna bellicista per l’entrata in guerra dell’Italia contro gli Imperi centrali ma, arruolato come Sottotenente di complemento ai primi del 1917, fu un ufficiale coraggioso e anomalo, legato alla truppa e scarsamente portato alla cieca obbedienza agli ordini della casta militare. E lo fu con i suoi Alpini nelle trincee del Carso, sul Sabotino, sul Grappa e sul Piave.
Il ritorno a Firenze dopo il Fronte, lo vide studente all’Accademia di Belle Arti ma anche militante squadrista fascista assieme ad altri intellettuali fiorentini e pratesi, gli amici Curzio Malaparte, Ottone Rosai, Ardengo Soffici…. e sodale del pittore Giorgio De Chirico, anche lui uscito dall’Accademia fiorentina.
Partendo proprio dalle visioni dell’amico De Chirico, entrò nell’ambiente dell’esoterismo per il tramite di Arturo Reghini, una delle figure più importanti dell’ambiente spiritualista italiano, neopitagorico e direttore di “Atanòr” (rivista dell’omonima casa editrice) e poi di “Ignis”, nuovo nome della pubblicazione dal 1925 (diretta da Julius Evola, Giulio Parise e dallo stesso Reghini); le due pubblicazioni più importanti nel campo degli studi tradizionali e iniziatici alle quali anche Del Massa collaborò.
Fece parte anche del Gruppo di Ur-Krur, usando il nome iniziatico di Sagittario.
Quando si verificò la dura contrapposizione tra Evola e Reghini che finì addirittura in tribunale, Del Massa, amico di ambedue, non prese posizione, – la ritrattazione di Evola evitò che fosse costretto a testimoniare, citato da Reghini come teste a suo favore – anzi colse l’occasione per allontanarsi dal gruppo di Ur che poco dopo si sciolse.
Nell’ambiente fu tra coloro che si avvicinarono alle teorie di Rudolf Steiner e agli studi di Enrico Caporali, un filosofo e matematico antipositivista morto nel 1918.
Durante il Regime fascista non ebbe incarichi politici; del resto, il gruppo esoterico del quale faceva parte era guardato con sospetto dagli ambienti polizieschi del fascismo (oltre che stimolare scongiuri scaramantici di Mussolini in proposito).
A Firenze poi, nel giro degli amici intellettuali frequentava quel Berto Ricci, professore di matematica a Prato, passato dal movimento anarchico a quello fascista che andrà a morire sul fronte libico nel 1941.
A proposito degli “intellettuali” e di come li considerava Evola, scrisse sul suo diario: “nuove puntate contro gli intellettuali. D’accordo, ma anche noi siamo intellettuali. Occorrerebbe distinguere, fino alla pedanteria, per non contribuire ad aumentare, se possibile, la confusione”.
Quando Roberto Farinacci, nel 1937, affidò ad Evola la cura della terza pagina del suo quotidiano cremonese, “Il Regime Fascista”, questi per quasi un decennio nella rubrica quindicinale “Diorama Filosofico” ospitò le collaborazioni di esponenti del mosaico culturale della Tradizione in Europa, da quelle del tradizionalismo di René Guénon, ad esponenti della Rivoluzione Conservatrice (Gottfried Benn, Wilhelm Stapel, ….), dall’organicismo della Scuola di Vienna (Othmar Spann, Walter Heinrich), al pensiero conservatore aristocratico di Gonzague De Reynold, Paul Valéry, Charles Petrie, ai tradizionalisti fascisti Domenico Rudatis, Guido De Giorgio, Massimo Scaligero e allo stesso Aniceto Del Massa.
Nel 1942, quando Julius Evola (dopo aver ricevuto nel settembre dell’anno precedente l’autorizzazione di Mussolini nel corso di un colloquio a Palazzo Venezia) lavorò tra Italia e Germania al progetto del lancio della rivista italo-tedesca “Sangue e Spirito”, nella lista dei collaboratori italiani scelti dal filosofo, assieme a Massimo Scaligero, Guido De Giorgio, Carlo Costamagna e Roberto Pavese, figurò anche Del Massa.
Nella Seconda guerra mondiale non accettò di essere parcheggiato nell’IGM, l’Istituto Geografico Militare di Firenze e chiese di riprendere il suo posto di Capitano degli Alpini.
Accontentato, fu combattente sul fronte dell’Est e il dramma dell’8 settembre 1943 lo colse in Polonia.
Rastrellato dai tedeschi finì in un campo di concentramento.
Con la nascita della RSI si impose la scelta e per Del Massa non ci furono dubbi, c’era di mezzo la fedeltà e l’onore, la guerra la si poteva combattere solo a fianco di quelli con i quali la si era iniziata.
Rientrato in Italia gli furono affidati compiti delicatissimi, che ben si addicevano al suo carattere, operò nel campo dei servizi segreti, dirigendo una sezione del controspionaggio nell’ambito del Partito Fascista Repubblicano ormai militarizzato.
Operò con la copertura dell’attività giornalistica e culturale svolta soprattutto a Firenze dove tra l’altro nella primavera del 1944 fu uno dei relatori ad un ciclo di conferenze sui Santi italiani organizzato dall’Accademia d’Italia, tenendone una sull’architettura cristiana. Un ciclo di conferenze che vide impegnate personalità come i filosofi Paolo Lamanna ed Eugenio Garin, ma anche don Giulio Facibeni, il prof. Adolfo Oxilia e Guido Manacorda docente di Letteratura tedesca all’Università di Firenze, tanto per citarne solo alcuni.
In una Firenze “città aperta” da un punto di vista militare, cioè dove gli stessi tedeschi avevano il divieto di entrare armati entro la cerchia dei viali, dove Podestà era un intellettuale, Giotto Dainelli, un docente universitario che accettò di presiedere l’Accademia d’Italia – la cui sede fu anche simbolicamente portata a Firenze – dopo l’uccisione da parte dei partigiani del filosofo Giovanni Gentile; una Firenze dove teatri, gallerie d’arte, sale concertistiche, cinema e caffé erano aperti e funzionanti, dove la Dante Alighieri organizzava un seminario di letture di poesie di guerra con Ugo Betti, dove Barna Occhini (genero di Papini e padre della futura attrice Ilaria) pubblicava la rivista “Italia e Civiltà” raccogliendo l’élite della cultura fiorentina schierata con la Repubblica e dove nel maggio di quel 1944, nonostante i bombardamenti angloamericani (con le opere d’arte messe in sicurezza, protette o nascoste per quanto possibile) si riuscì a tenere una manifestazione di importanza internazionale come il Maggio musicale fiorentino durante il quale lo stesso Aniceto Del Massa tenne una relazione.
L’agosto fiorentino del ’44 fu segnato dalla resistenza dei franchi tiratori fascisti e di un reparto tedesco di paracadutisti che contrastarono l’avanzata del nemico nella città che oltre ad essere quella dell'”ultimo poeta armato”, Alessandro Pavolini, era stata una delle tre importanti capitali del fascismo italiano (con Milano e Roma), quella della cultura e della raffinatezza, quella che non poteva essere abbandonata senza l’onore di un combattimento casa per casa, o meglio, tetto per tetto.
Dopo la caduta di Firenze, l’ufficio di controspionaggio di Del Massa si spostò al terzo piano di un appartamento del centro di Milano dove ebbe tra i collaboratori l’unica figlia, Nadia, frutto del suo grande amore per la compagna di studi della sua giovinezza, conosciuta all’Accademia di Belle Arti fiorentina.
L’incarico di “agente segreto” a Milano ebbe una sigla di copertura: PDM; un acronimo che gli stessi Alleati cercarono di decrittare azzardando addirittura trattarsi di “Partito della Morte” mentre invece, banalmente, stava per Protocollo Del Massa o Pucci-Del Massa.
L’ultimo incarico gli fu affidato dal suo conterraneo Pavolini. Lo ricevette nel corso della riunione del Direttivo del PFR del 3 aprile 1945 a Maderno, quando ormai tutto era chiaramente e irrimediabilmente perduto e Alessandro Pavolini pensava al dopo….
Un dopo nel quale Pavolini era sicuro che lui non ci sarebbe stato, destinato per certo a cadere prima della fine come imponeva la sua estetica e la sua etica.
Da una parte, ma ormai troppo tardi – e tra mille resistenze di altri ambienti del fascismo, a partire da quelli militari di Rodolfo Graziani -, il Pavolini Segretario del PFR e comandante delle Brigate Nere cercò di organizzare le Termopili del fascismo in Valtellina dove i fedelissimi avrebbero dovuto raccogliersi per l’ultima battaglia, attorno alle ceneri di Dante Alighieri – altro fiorentino – portate da Ravenna, simbolo fortissimo che richiamava il Veltro della Divina Commedia, simbolo della salvezza dell’Italia, di un’Italia nella topografia dantesca situabile tra Feltre e il Montefeltro, ovvero proprio nel territorio della Repubblica Sociale.
Pavolini affidò quindi in quella riunione dell’aprile 1945 ai fedelissimi – e concittadini – Aniceto Del Massa e Puccio Pucci, l’incarico di seminare le “uova del drago” (per usare l’espressione scelta di recente da Pietrangelo Buttafuoco per il suo bel romanzo sulla resistenza agli angloamericani in Sicilia).
Il compito affidato fu quello di organizzare il neofascismo, di raccogliere le disperse fila degli sconfitti e ricostituire il movimento proiettato verso il futuro.
La missione fu affidata da Pavolini al Del Massa e al fiorentino Puccio Pucci, marchese e avvocato, ufficialmente Presidente del CONI e in realtà come Del Massa, operante nella struttura dei servizi speciali del PFR come abbiamo accennato a proposito della sigla PDM.
Il ruolo politico della missione nell’Italia postfascista sarebbe stato svolto – come in effetti avvenne – da Pino Romualdi che nella RSI era stato vice Segretario nazionale del Partito, l’uomo che sfuggito alle stragi del dopoguerra a Nord, dalla clandestinità a Roma, fu tra coloro che svolsero un ruolo di primo piano nella fondazione del MSI del quale sarebbe stato poi, fino alla morte, uno dei maggiori dirigenti.
Dopo la disfatta, Del Massa fu catturato dagli americani, dapprima recluso in un campo di concentramento, poi nel carcere di Ancona dove riuscì ad evadere.
Poi furono mesi di clandestinità, passati in parte a fare l’insegnante in una scuola di Rieti e infine, a Roma la ripresa dell’attività, quella ufficiale e quella delle “uova del drago”assieme a Puccio Pucci.
Impossibile rientrare a “La Nazione”, divenuta dall’agosto ’44 “La Nazione del popolo” (la vecchia testata – che era datata 1859 – fu recuperata solo nel luglio 1959), fondò assieme ad Ardengo Soffici, Emilio Settimelli, Marcello Gallian, Franz Maria d’Asaro e altri, il settimanale “Cronache Nuove”.
Fu redattore anche di altre riviste neofasciste che spuntavano come funghi in una fungaia negli anni ’50, in particolare il settimanale “Domani”, diretto da Enzo Erra e “Azione, d’iniziativa rivoluzionaria” diretta da Adalberto Baldoni.
Ma svolse anche un ruolo particolare nell’ambiente neofascista, partecipando all’avventura dei “fascisti di sinistra” che, riuniti attorno a Stanis Ruinas nella collaborazione al suo “Pensiero Nazionale” cercarono di trovare un raccordo tra le istanze social-rivoluzionarie della RSI e alcune correnti socialcomuniste dell’immediato dopoguerra.
In particolare i rapporti furono con Gian Carlo Pajetta e il Segretario giovanile comunista Enrico Berlinguer, intrattenuti oltre che da Ruinas da un gruppo di giovani ex combattenti della RSI, principalmente provenienti dai ranghi della X MAS come Lando Dell’Amico, che aveva combattuto ad Anzio nel Battaglione “Barbarigo”, dirigente giovanile missino e figlio di Ugo Dell’Amico, federale fascista di Carrara e collaboratore di Renato Ricci; come il futuro regista cinematografico Piero Vivarelli e il futuro sceneggiatore Lucio Mandarà, o l’ausiliaria torinese Alda Chiaffrino, tutti che dalla Decima finirianno iscritti al Partito Comunista (Vivarelli addirittura a quello cubano!).
Un ambiente nel quale spiccavano anche i nomi di altri che passarono dalla RSI al lavorio per la fondazione del MSI a ben altri lidi, come Ruggero Ravenna, dalla Brigata Nera di Bologna a fondatore della UIL della quale sarà Segretario Generale prima di presiedere l’INPS; o come Enrico Landolfi, Camillo Benevento: o gente di primo piano nella Repubblica come l’Ammiraglio Ferruccio Ferrini, da sottosegretario della Marina repubblicana a uomo vicino al PCI o lo scrittore e Generale Emilio Canevari che era stato addirittura nello Stato Maggiore della Divisione Waffen-SS “Italia”.
Ma anche uomini della sinistra fascista che avevano visto le loro famiglie vittime di delitti partigiani, come Ezio Daquanno, figlio di Ernesto Daquanno, il giornalista direttore dell’Agenzia Stefani fucilato a Dongo il 28 aprile 1945, o Alvise Gigante marò della X, figlio di Riccardo, legionario fiumano con d’Annunzio, ultimo podestà di Fiume e senatore ucciso dai partigiani; o Giorgio Pini, sottosegretario del Ministero dell’Interno della RSI il cui figlio diciassettenne, bloccato da un gruppo di ex partigiani alla periferia di Bologna, dopo la guerra, mentre stava tornando da una visita al padre nel carcere di San Giovanni in Monte, fu soppresso e il cadavere fatto sparire.
Del resto anche i nipoti di Alessandro Pavolini, saranno nel campo comunista, sia lo storico del cinema Francesco (che preferì chiamarsi Francesco Savio anziché Pavolini) che Luca che invece continuò a firmarsi Luca Pavolini come direttore per decenni de “l’Unità”.
Del Massa, partecipe del lavorìo, rischiò anche di finire al confino di polizia del ministro dell’Interno democristiano Mario Scelba, assieme a Stanis Ruinas, non per neofascismo ma per …. comunismo.
Poi, lentamente, tra 1948 e 1950 le strade si separarono per le migliaia di persone (pare 20-30mila) che si erano mosse nell’ambiente del dialogo con i socialcomunisti.
Per moltissimi ci fu il passaggio toutcourt nelle fila del PCI o del Partito Socialista, per altri ci fu il rientro nel MSI – perlopiù travagliato e destinato a scissioni come quelle del prof. Ernesto Massi con il gruppo di “Nazione Sociale” o quella di Rutilio Sermonti (uno dei fratelli Sermonti, i più noti dei quali sono il genetista Giuseppe e lo scrittore Vittorio) con il Centro Studi Ordine Nuovo nel 1956.
Aniceto Del Massa, dal 1952 al 1961 diresse la terza pagina culturale de “Il Secolo d’Italia”, il quotidiano del Movimento Sociale al quale procurò le preziose collaborazioni di Julius Evola, Attilio Mordini e molti altri. In quegli anni ebbe anche la fortuna di poter frequentare assiduamente Ezra Pound a Rapallo, una conoscenza iniziata durante la guerra.
Non furono le uniche imprese giornalistiche del dopoguerra di Del Massa, firmò con pseudonimi (Egisto Mistri, Cosma Ruggeri, Pietro Gasti, Il Fastidito, etc.) articoli su “Settimana Incom”, “Rassegna delle Arti”, “Il Poliedro”, “Ulisse” e molte altre riviste. In esse si occupò principalmente di critica d’arte.
Negli ultimi anni di vita la sua firma comparve, finalmente in chiaro, su riviste della destra vicina al neofascismo come il settimanale “Lo Specchio” e il mensile “Il Conciliatore”, la rivista politico-letteraria con la copertina azzurra, supplemento mensile de “Il Borghese”, testata ereditata dalla famosa omonima pubblicazione (il “foglio azzurro”) fondata nel 1818 da Carlo Peverelli.
Ma ormai i suoi interessi erano lontani dalla politica, tutti concentrati sull’arte (i suoi ultimi volumi pubblicati furono su Rembrant e Dürer) e soprattutto nella ricerca interiore, nello studio del Taoismo, di Dante e dell’Antroposofia steineriana.
Aniceto Del Massa morì il 7 dicembre 1975.