Scriveva il filosofo Erich Fromm: “L’uomo si è trasformato in homo consumens. E’ vorace, passivo,, tenta di compensare il proprio vuoto interiore con consumi continui e sempre crescenti… appare attivo, eccitato, ma nel profondo è ansioso, solitario, depresso, annoiato.” (in La disobbedienza e altri saggi). La sua analisi sul tipo d’uomo oggi dominante può considerarsi ormai classica: quanti di noi non si riconoscerebbero in essa?
Il vizio d’origine della nostra civiltà è l’imperativo della crescita (il benedetto PIL!) che comporta i seguenti corollari: lavorare sempre più per consumare sempre più e produrre sempre più. I costi esistenziali, ambientali e spirituali di questa follia sono sotto gli occhi di tutti. Si può sperare di passare dall’homo consumens all’homo ecologicus? Sì, purché si punti sulla decrescita felice, cioè sul meno e meglio, su un nuovo modo di produrre e di consumare più attento all’utilità sociale e al rispetto dell’ambiente piuttosto che al profitto. E, in aggiunta, si arresti l’insensata esplosione demografica. Utopia? Allora teniamoci la terra dei fuochi, la discarica di Malagrotta e una devastante disperazione!