E sono prossimi i settanta anni dall’assassinio di Giovani Gentile (1944/2014). Settanta anni da una tragedia italiana. E’ questo il momento per affrontare un’analisi del pensiero del filosofo di Castelvetrano. Sul Corriere della Sera del 6 Gennaio, Emanuele Severino ribadisce, a tutta la filosofia italiana, la ‘centralità’ del pensiero gentiliano. E da qui si può partire, trascurando che, solo pochi anni fa, un intellettuale come Mario Pirani scriveva – con brutale semplicità – che l’assassinio di Gentile non suscitava in lui alcuna indignazione. La storia ha risposto alla spregevolezza di queste frasi. La storia ha dimostrato che le tragedie del Novecento non hanno offuscato la filosofia di Gentile. Ecco il punto di partenza; sia liberata la volontà critica per rileggere un patrimonio di idee, per farlo fuori dalle passioni del Novecento.
“L’attualismo è l’autentica filosofia della civiltà della tecnica.” (E. Severino, Corriere della Sera, cit.) Tale frase risulta fondamentale per riflettere sul presente tecnologico, un presente leggibile in una prospettiva gentiliana: una prospettiva che osserva la relazione tra soggetto e oggetto, tra uomo e tecnica, “La vita del soggetto è nella sua relazione intrinseca con l’oggetto; e viceversa. Scindete questa relazione, e non avrete più la vita, ma la morte.” (Opere filosofiche, Garzanti, 1991)
In Gentile vive l’idea di poter ‘governare’ la relazione soggetto/oggetto e di non poter mai ‘congelare’ il divenire di tale relazione. Egli così rappresenta una guida per le civiltà tecnologiche in trasformazione. La sua Teoria generale dello spirito come atto puro (1916) indica a tutte le culture – in particolare a quella di destra – la possibilità di gestire il divenire delle relazioni, senza scappare in un passato a-storico.
C’è quindi un intenso interesse per riconoscere la potenza di questo sistema filosofico, come spiega E.Severino; il quale è coinvolto direttamente dalla pubblicazione di Biagio de Giovanni, Disputa sul divenire. Gentile e Severino (Editoriale Scientifica, 2013). E’ anche avviato un ricco confronto che indica in Marcello Veneziani un attento interprete dell’attualità gentiliana. Veneziani – curatore del testo Pensare l’Italia (Le Lettere, 2013) – consegna al lettore un’antologia di scritti del grande pensatore. Questa pubblicazione esprime una forte attenzione all’idea della comunità generata dal filosofo dell’attualismo.
E’ sempre coinvolgente ripetere che “In fondo all’Io c’è un Noi”– Genesi e struttura della società, op. post. 1946 -; un Noi comunitario, un Noi gentiliano che parla ad un’idea di decoro nazionale; che istruisce un rifiuto storico dell’individualismo italiano; che fonda una filosofia comunitaristica contro chi “ama non compromettersi, non riscaldarsi mai (…) e mette volentieri da parte ogni questione che possa mettere in pericolo il suo quieto vivere, e si compiace di scherzare con tutti e su tutti…” (Pagine fasciste, vol.I,1926) Gentile, il grande fustigatore dell’individualismo nazionale! Ed è facile scriverlo; per questo il mite professore di Castelvetrano oggi sarebbe il primo a denunciare il bieco ragionamento del Pensa a te stesso! Al tuo giardino! Scatena pure la ‘terra dei fuochi!’ Salva solo il tuo clan! Gli altri non esistono! Lo ha spiegato, per altro, Gennaro Sangiuliano, con il suo ultimo libro Una repubblica senza patria (Mondadori, 2013) dimostrando il deficit cronico di valori unitari in Italia.
Serve un grande impegno critico per proporre una diffusione di pensiero comunitario. Dopo Mazzini, il ‘sacerdote della comunità’ resta Giovanni Gentile. Paradossalmente, se il fascismo fosse finito dopo il delitto Matteotti, il ‘Gentile comunitario’ avrebbe avuto una posizione unica nel panorama intellettuale mondiale. E’ sufficiente leggere i teorici anti-liberali del communitarianism inglese per essere convinti di riscoprire una matrice gentiliana in pensatori come Charles Taylor. Che cos’è l’ obbligo di appartenenza di Taylor? Questo è un obbligo alle origini o alla nazione; ed è una matrice, anti-individualistica e anti-universalistica, propriamente gentiliana.
Allora, questo ritorno a Giovanni Gentile cosa significa? E’ un mero revival? E’ un’opportunità editoriale? E’ un’occasione per sfogarsi contro i ‘partigiani di sempre’ convinti che un filosofo, un uomo solo.., con i suoi pensieri generò lo Stato fascista, partorì il Leviatano? Di sicuro, mentre si faceva di tutto per dimenticare il filosofo dell’attualismo, la dimensione internazionale di Gentile cresceva; e parlatene pure con Emanuele Severino che ribadisce l’incapacità della ‘cultura ufficiale’ di riconoscere la potenza di questa filosofia “…la cultura filosofica oggi dominante, che mai riconoscerebbe ad un italiano un così alto rilievo (Corriere della Sera, cit.)
Una domanda infine. Nella grave decomposizione sociale contemporanea, chi non approverebbe di spiegare, nelle scuole, il concetto di autorità coincidente con quello di società? “Chi dice società, dice autorità…” (Sommario di pedagogia, 1915) A chi non sta bene questo concetto gentiliano? Per caso ai figliastri del laisser faire? O ai giovanotti anti-Tav? O a quei ‘democratici patentati’ che si svincolano da ogni concetto di autorità, perché, pregiudizialmente, legati alla gestione del particulare?
Si liberi il pensiero gentiliano dalla faziosità novecentesca. Si approfondisca l’attualismo come filosofia della civiltà della tecnica o delle relazioni del divenire. E tra le sue pagine si respiri un’aria di valori patriottici post-risorgimentali, a favore dell’unificazione culturale del popolo italiano. Resta tristemente esemplare questo: dopo che scrisse il Discorso sulla nuova unificazione degli italiani, egli fu ammazzato. Quando elaborò il Discorso agli italiani, nel 1943, si riferiva fortemente all’unificazione di “…tutti gli italiani, fascisti e non fascisti. Qualcuno non era d’accodo con lui e lo dimostrò con i roventi proiettili di una pistola; nel freddo 15 Aprile del 1944.