A proposito delle Linee guida per una informazione rispettosa delle persone LGBT, sul Corriere della Sera del 4 e 5 gennaio sono apparsi due interventi sulla questione che è d’obbligo commentare nei particolari.
Il primo è di Piero Ostellino, ex direttore del quotidiano e liberale doc, che ha da par suo sbeffeggiato le Linee guida ritenendo il testo un ridicolo parto della “ossessione regolamentatrice di ogni burocrazia” (qui del governo Letta) e facendone una analisi semantica e contenutistica che ne mete in risalto l’illiberalità e la sostanziale incapacità di rispecchiare la realtà che, viceversa, si vuol adattare ad un punto di vista ideologico.
Il secondo è un intervento che vorrebbe essere “chiarificatore”, ma come si sul dire è peggio il tacòn del buso, dato che la pezza conferma, anzi ben spiega, la mentalità che sta dietro l’opuscolo e le intenzioni nemmeno tanto nascoste che l’hanno promosso. Il lungo intervento è del viceministro del Lavoro e delle Politiche Sociali con delega alle Pari Opportunità dopo le dimissioni di Josefa Idem per il noto scandalo della sua palestra. Maria Cecilia Guerra, che è una economista (insegna scienza delle finanze alla Università di Modena) ed esponente del PD (ha partecipato alle primarie) dispiega una dialettica buonista ma in sé ipocrita. Afferma infatti che le Linee guida (“forse il none è fuorviante”: no, cara signora, è chiarissimo degli scopi dei suoi estensori) sono “uno strumento destinato al mondo dell’informazione per riflettere sulle discriminazioni basate sull’orientamento sessuale e sulla identità di genere”, e “non vogliono né potrebbero imporre rispetto nei confronti delle persone lgbt, laddove questo rispetto non vi fosse. Vogliono invece fornire conoscenze per chi desidera essere rispettoso”. Alt! Chi decide cosa è “rispettoso” e cosa non è “rispettoso”, e in nome di che?
Il primo punto fondamentale della questione è proprio questo: una lobby intellettuale internazionale ha deciso che alcuni termini siano considerati all’improvviso “irrispettosi” nei confronti di alcune minoranze sessuali, quindi fuori della “norma” comunemente accettata. Fino ad ora definizioni come “famiglia gay” o “utero in affitto” o “trans” ad esempio, sono state delle semplici definizioni o non degli insulti che sono, come tutti sanno benissimo compreso il viceministro, ben altri. Improvvisamente qualcuno, una élite culturale e sessuale, ha deciso che sono invece termini “irrispettosi” e denigratori, quindi da mettere al bando, e prepara delle linee guida per modificare il lessico comune attraverso il condizionamento della casta giornalistica che a sua volta condizionerà la gente tramite giornali e televisione, radio e internet. Un vero e proprio lavaggio del cervello della popolazione come nelle migliori dittature, nel nostro caso in nome di una pseudo etica creata a tavolino con la scusa che certi termini sono mal sopportati dagli omosessuali & affini. Sicché, impostosi questo nuovo glossario statale tutti coloro i quali non lo adotteranno, pur se il viceministro afferma che non si vuole imporre nulla, saranno considerati come degli “irrispettosi” a priori pur se non scendono al livello di insulti e volgarità, ma solo perché continuano a usare parole sempre fino ad oggi usate. E quindi considerati dei reprobi e messi in un angolo con una operazione guidata dall’alto, dal governo di Letta e Alfano.
E’ l’identico processo avvenuto, ad esempio, per la parola “negro”. Deriva dal latino niger ed era un termine descrittivo, e non dal termine americano nigger che è un termine dispregiativo. Lo prova il suo uso sino agli anni Settanta/Ottanta quando esistevano (e dovrebbero ancora esistere) seri libri intitolati Canti dei negri americani, Letteratura negro-americana e addirittura il famoso romanzo di Conrad Il negro del “Narcissus”. Una prova eloquente. Poi all’improvviso le lobby intellettuali radicali italiane, avendo come sponda quelle americane, decisero che era un insulto e sono riuscite ad imporlo, con una martellante campagna massmediatica, alla gente comune ed oggi se usi la parola“negro ti guada storto, come un razzista. Evidentemente dire “sporco nero” viene considerato meno offensivo di ”sporco negro”! E’ l’aggettivo che fa la differenza non il sostantivo, però.
L’intento quindi è questo. Con tono buonista si dice che chi vuole essere “irrispettoso” (secondo i nuovi criteri indicati nelle Linee guida) può sempre farlo… ma guarda un po’! Però dopo, quando sarà minoranza, se la dovrà vedere con la communis opinio indotta nelle persone dal lavaggio del cervello massmediatico.
Lo conferma il Viceministro Guerra nella sua “chiarificazione” quando illustra il peso delle “parole che ci definiscono davanti agli altri” e aggiunge: “Credo che chiunque abbia il diritto di scegliere le parole che lo riguardano, o almeno di suggerle” dato che “le parole se usate in nodo improprio possono avere conseguenze molto gravi”, facendo ovviamente riferimento ai suicidi di giovani omosessuali (che non sempre però derivano, come si è poi accertato, da insulti pesanti e offensivi). Magari fosse possibile questa scelta, cara signora, e magari tutti potessero farla oltre i lgbt di cui lei tanto si preoccupa! Cose queste che si sanno benissimo (“parole come pietre” risale se non erro a Danilo Dolci) e ne hanno fatto le speso tantissimi non solo omosessuali o lesbiche: quanta gente si è suicidata o è caduta in depressione o ha avuto la vita stravolta perché gli sono stati affibbiati dalla stampa o dai politici o dai giudici o in Rete etichette come “ladro”, “assassino”, “stupratore”, “pedofilo” e magari anche “fascista” e così via, senza alcun fondamento se non ipotesi, supposizioni, dicerie, accuse non provate, magari esiti giudiziari poi rubaltati? nessuno se ne è mai preoccupato più di tanto. Anch’essi hanno provato il peso delle parole e anch’essi avrebbero voluto essere definiti in modo diverso. I “suggerimenti” dell’opuscolo confermati dal viceministro, vanno appunto nella direzione di classificare e bollare come epiteti denigratori e insultanti termini che non soni certo i dialettali frocio o busòn o culattone, che nessuno utilizzerebbe sulla stampa non fosse altro che per buona educazione, creando nuovi tabù verbali definiti d’autorità, un codice da seguire che nessun governo occidentale mi pare avesse sino ad oggi mai realizzato concretamente (ma grazie all’Unione Europea, chissà…).
Sicché dire, ripeto con ipocrisia buonista, che le Linee guida sono strumenti “assolutamente non lesivi di alcuna libertà di opinione” fa nascere un senso di scoramento e di indignazione contemporaneamente, perché non è vero in prospettiva. Tanto più che la signora Guerra auspica che “le nuove generazioni di operatori dell’informazione sapranno oltrepassare queste linee guida e proporne di ancora più avanzate e aperte”. Vale a dire sempre più regolative dell’opinione altrui e sempre più restrittive al punto che anche “famiglia omogenitoriale” proposta nel testo in questione diventerà qualcosa di poco corretto… Una corsa demenziale al sempre più linguisticamente astratto per l’ossessione di non “offendere”,proprio come è avvenuto per handicappato > disabile > diversaente abile, e via ridicolizzando.
E i cosiddetti “operatori dell’informazione”, vale a dire in temine meno proletario i giornalisti, già si stanno attrezzando mentalmente alla bisogna predisposti come sono al conformismo in genere e a quello progressista in particolare. Ci informa infatti a conclusione della sua aringa il viceministro, che Giovanni Rossi, presidente della Federazione Nazionale della Stampa, ha coraggiosamente affermato, a proposito dell’opuscolo delle Pari Opportunità, che “saper trattare questo tema con la necessaria delicatezza e responsabilità, rifuggendo dai luoghi comuni, non è una limitazione al libero esercizio della attività giornalistica, ma espressione di una più alta qualità professionale”. Tiè! Quindi, se le cose stanno così, è aperta la strada da parte della casta degli “operatori dell’informazione” sia all’accettazione di nuove Linee guida, sia ad un nuovo conformismo governativo.
Che vieterà, come ha scritto Pero Ostellino, affermare che un matrimonio normale fra uomo è donna è diverso da una unione omosessuale fra persone dello stesso sesso perché quest’ultimo è “sterile” e il primo no, il che sarebbe “discriminatorio”, pur se verissimo. Dunque (e giù si era visto con la polemica sulle parole di Guido Barilla, quello della pubblicità della pasta), tutti sullo stesso piano, tutti omologati, tutti uguali, tutti senza più alcuna identità,e non si potrà più usare l’aggettivo “normale” per indicare una famiglia naturale con maschio e femmina dato che tutte le famiglie, anche quelle omosessuali,secondo le intenzioni del nostro opuscolo, sarebbero da considerate tali. E, come corollario si imporrà anche in questo disgraziato Paese, come hanno fatto già alcune amministrazioni locali, il termine “Genitore 1” e “Genitore 2” invece di padre e madre, secondo quanto ha auspicato in un suo “cinguettio” mai smentito il ministro per l’integrazione Kyenge.
*Questo articolo sarà pubblicato su “Il Borghese” di febbraio