Tra palazzo Chigi e il Quirinale le stanno provando tutte per fargli andare bene questo governo: rimpasto, vertici, Letta-bis con nuovo incarico. Ma Matteo non ci sta: davanti alle sirene che stanziano tra i palazzi romani ha scelto di incerarsi le orecchie a differenza di Ulisse. Non vuole sentire ragioni Renzi: chiede fatti, ossia le riforme che ha imposto all’agenda di un governo che reputa bloccato. Poco importa che nel giro di qualche giorno abbia rilanciato su legge elettorale, abolizione del Senato, mercato del lavoro e così via: il segretario del Pd vuole tutto e subito. E se tutto ciò è impossibile tanto meglio: sarà più facile scaricare la colpa.
Letta e Napolitano non ci credevano che tolto Berlusconi sarebbe sbarcato “un altro Berlusconi” a rischiare di far saltare il tavolo di una maggioranza che credevano «più compatta» dopo l’uscita del Cavaliere. E invece l’arrivo del sindaco di Firenze in una posizione scomoda (per lui) come quella alla guida del Pd non poteva che portare a questo: a una campagna elettorale permanente dato che l’accordo con Enrico Letta significherebbe inevitabilmente rafforzare un governo – e quindi un potenziale avversario alle primarie per la premiership – nato senza la sua impronta.
Per questo motivo la trappola del rimpasto offerta dal premier per sancire la tregua Renzi intende evitarla a tutti i costi. Anzi rispetto a «dieci mesi di fallimenti» targati Letta e Alfano “l’alleato” del rottamatore si chiama Silvio Berlusconi. È con il Cavaliere che Renzi intende dialogare per una legge elettorale che smonti i desiderata neoproporzionalisti ma soprattutto è grazie al Cavaliere che il leader del Pd intende far saltare i nervi ad Angelino Alfano che, messo così nell’angolo da un sistema iper-maggioritario, potrebbe a questo punto essere lui a far cadere il governo.
Non è solo Alfano ad opporsi all’intesa tra Renzi e Berlusconi sulla legge elettorale. Il fatto che sia la minoranza della “sinistra Pd” a condannare (ipocritamente) la visita del “pregiudicato” Berlusconi a Renzi dimostra come sul sistema di voto si stia disegnando la prima esperienza politica della Terza repubblica. Il motivo è semplice: il sistema spagnolo concentrerebbe nelle mani del segretario di ogni grande partito un ampio margine di manovra sulle candidature. Un affare per Renzi, l’ennesima rinascita per Berlusconi.