Che noia il bignamino storico di Mamma Rai. Che noia l’ennesima favola morale democristiana. Chi scrive ammette di aver visto solo a tratti le prime due puntate de “Gli anni spezzati”, vinto dall’avversione per i dialoghi scritti male e recitati peggio, per le scenografie artefatte da film peplum, ma soprattutto per quella pedagogia sovrabbondante che, quando c’è di mezzo la Rai, trasuda da ogni poro di sceneggiatura.
In tanti si sono già esercitati nel cogliere incongruenze grottesche, come il manifesto contro CasaPound (fondata, per chi non lo sapesse, il 26 dicembre 2003) che fa capolino in un’inquadratura. Christian Raimo su “Minima et Moralia” ne ha deplorato, a ragione, le battute da verbale di polizia, gli spiegoni e la mancanza di visione politica. Ma in fondo sono tutte conseguenze di quell’ossessione per l’allegoria che è la cifra delle grandi produzioni televisive italiane, fatta salva la perla di “Romanzo Criminale” (la serie).
A dare alla storia il tono della macchietta non è l’intreccio da Romeo e Giulietta tra il poliziotto e la militante, immancabile strizzata d’occhio al cliché pasoliniano di Valle Giulia. Non è nemmeno l’aura agiografica che circonda la figura di Calabresi più di quanto già non accadesse nel recente – e più apprezzabile – “Romanzo di una strage”. È piuttosto l’ansia di mostrarci i personaggi intenti a fare e a dire tutto ciò che devono dire e fare il Poliziotto ligio al dovere ma comprensivo, il Commissario integerrimo dal volto umano, la Militante idealista e di buon cuore, il Terrorista fanatico e allucinato. Personaggi monodimensionali messi lì per non offendere nessuno, per non attirarsi l’accusa di aver giustificato l’ingiustificabile.
Un’ossessione tutta nostra, quella delle “giustificazioni”: altrove non ci si domanda se e quanto “Dexter” sia un’apologia dell’omicidio seriale, se “Breaking Bad” istighi i professori di chimica a diventare spacciatori, se ogni deputato sia un potenziale assassino come l’immenso Kevin Spacey di “House of Cards”. Altrove si giudicano e si criticano le scelte estetiche, non le intenzioni morali vere e presunte. Quelle, se ci sono, restano sullo sfondo della trama, lungi dall’esaurirne il senso e la portata.
Certo, si può obiettare che gli eventi storici, specie se controversi quanto la strage di piazza Fontana o le morti di Pinelli e Calabresi, non sono opere di fantasia. Ma allora sarebbe meglio guardarli in faccia fino in fondo, senza rifugiarsi nel macchiettismo ammantato da volontà di “pacificazione nazionale”, senza disprezzare o disconoscere nemmeno gli esiti più nefasti della Storia.
Se “Gli anni spezzati” ha un merito, è di averci mostrato una volta di più quanto il nostro Paese abbia un rapporto irrisolto con gli anni Settanta e il loro lascito ideale. Ce l’ha la destra ex aennina che ha dimenticato le provocazioni più feconde di quell’epoca, ridotte a riferimenti iconografici per i quindicenni di oggi. Ce l’ha la sinistra che li ha rimossi dal suo immaginario, cercando il più lontano possibile da lì le fonti di ispirazione del nuovo corso “neolaburista”. Ce l’hanno i giornali e la cultura, che inorridirebbero nel vedere sul piccolo schermo qualcosa di più e di diverso dalle favole morali di Mamma Rai. Magari qualcosa di più somigliante alla complessità dei personaggi reali, quelli che, fossero buoni o cattivi, un “volto umano” ce l’hanno avuto per davvero.