«Siamo qui per la dipartita del Pdl un nome che potrà essere usato per la coalizione di centrodestra. Si ritorna a Forza Italia». Doveva essere “una festa” tutto questo. E invece la rinascita di Forza è avvenuta come Silvio Berlusconi non si sarebbe mai aspettato: senza Angelino Alfano, ma anche senza Renato Schifani, Roberto Formigoni, Beatrice Lorenzin e così via, tutta una classe dirigente cresciuta all’interno della sua creatura. Alla fine, dopo più di un’ora e mezza di intervento, Berlusconi si è anche sentito male: non solo per la fatica di tenere un discorso così lungo.
«Potete immaginare, visto che la missione dal ‘94 ad oggi era quella di unire, il dolore con cui ho appreso la comunicazione e questa notte non ho dormito», ha spiegato il Cavaliere riferendosi alla decisione degli alfaniani di far nascere il nuovo gruppo. Ed è questa la nota dolente che sovrasta l’assise: l’unità infranta, rispetto alla quale lo stesso Berlusconi non ha potuto far nulla. Certo è felice il leader perché «siamo ritornati a questo nome che abbiamo ancora tutti nel cuore: Forza Italia». Ma la rottura pesa. «Ci sono state delle differenze non su programmi e valori, ma delle distanze tra singole persone, si è creata un’atmosfera grigia si sono ricorse le agenzie dell’uno e dell’altro schieramento, si è formata una situazione che non rendeva, a loro giudizio, di poter continuare pacificamente in un lavoro comune, ho passato del tempo per evitare questo». Alla fine – dopo un’ultima drammatica giornata – si è dovuto arrendere.
Con il Nuovo centrodestra – avverte però il leader – «non dobbiamo scavare un solco che poi sarà difficile da rimuovere. Questo gruppo, anche se adesso apparirà come un sostegno alla sinistra, al Pd, dovrà poi necessariamente far parte della coalizione dei moderati, dobbiamo comportarci con loro come con Lega e Fdi». Nessun trattamento “alla Fini”, insomma. Allo stesso tempo, però, Berlusconi si toglie più di un sassolino dalle scarpe. «Il nome Nuovo centrodestra mi sembra non particolarmente efficace, pensando a chi lo compone. Avevo suggerito per scherzo nei giorni passati un altro nome: visto che ci sono i Fratelli d’Italia, fate i Cugini d’Italia così siamo tutti una famiglia». Ma lui è l’unico che può ironizzare: «Vorrei raccomandarvi di non fare alcuna dichiarazione contro il Nuovo centrodestra. Questo gruppo anche se adesso apparirà come un sostegno alla sinistra, al Pd, dovrà poi necessariamente far parte della coalizione dei moderati: dobbiamo comportarci con loro come adesso facciamo con Lega e Fratelli d’Italia».
Ampio spazio nel suo intervento è stato concesso all’economia: segno che sarà questo uno dei temi della campagna elettorale in vista delle Europee. Prima una critica a tutto piano della legge di Stabilità. Poi un ragionamento strutturale: «Per quanto riguarda la nostra economia, da 20 anni non cresce. L’ultimo bilancio senza perdite è quello di Quintino Sella. Non è detto che gli Stati non possano avere un bilancio positivo, pensiamo al Giappone, voi conoscete dati sulla nostra produzione e disoccupazione e sappiamo che siamo su un piano inclinato come anche lo sono molti altri paesi europei ad eccezione della Germania». E poi ancora polemica serrata sul ruolo della Bce («deve diventare prestatore di ultima istanza») e sullo storico disaccordo con la Merkel.
Per ciò che riguarda il futuro delle larghe intese, infine, non c’è stato l’ultimatum al governo. Anche se «è molto difficile essere alleati in Parlamento e sedere allo stesso tavolo in Cdm con chi vuole uccidere politicamente il leader di un partito». Segno che è spostato al 27 di novembre – salvo “sorprese positive” dall’Europa – l’appuntamento decisivo per l’annuncio tanto atteso: si passa all’opposizione o no?