A OSTIA Lido Si è svolto, dal 25 al 30 settembre (1973 ndr), il terzo «Corso di aggiornamento politico per Dirigenti giovanili del MSI-Destra Nazionale». Moltissimi giornalisti italiani e stranieri hanno ricevuto un telegramma d’invito, e così l’ho ricevuto anch’io. Ma non ho accettato subito. So che i giovani, quando ci si mettono di buon impegno, riescono ad essere più noiosi e più inutili e verbosi dei vecchi. Sembrano tutti laureati in giovinezza, e prendono il tono di chi ha conquistato questa condizione umana con gravi sacrifici e profonda meditazione. Dimenticano che, bene o male, senza colpa e senza merito, è accaduto un po’ a tutti di avere la loro età. E non accettano la dura realtà che questa gloria si smaltisce, col tempo. Ormai, per motivi professionali, ho ascoltato e sofferto decine di «convegni», di «seminari» e di rotture di scatole ad uso e consumo di questa gioventù titillata, vezzeggiata, coccolata da noi che cerchiamo di farci perdonare la colpa di essere nati prima. Ormai sappiamo tutti come si svolgono, in genere, queste riunioni. Qualche tempo fa mi sono trovato ad uno di questi raduni: e un giovanissimo sceriffo marxista cominciò a citare frasi di Fragué, di Chatillam e di Marchstein, incantando l’assemblea.
Anche a me accadde di restare perplesso: pur non essendo un uomo di cultura, i nomi più importanti li ho sentiti, qualche volta. E che cosa significava il lungo elenco di «grandi» a me del tutto sconosciuti che quel ragazzo di sinistra sbatteva in faccia ai suoi ascoltatori? Per questo volli replicargli, e gli dissi che Jan Bagransky, comunista di sicura fede, aveva smentito punto per punto le affermazioni degli autori da lui citati. Il giovane, dopo un attimo di esitazione rispose a me e rivelò all’assemblea che Jan Bagransky non era un autore attendibile, in quanto era stato dimostrato che era un agente al servizio della CIA e si beccava mensilmente un congruo mucchietto di dollari. Allora spiegai che Jan Bagransky non esisteva, come del resto non erano mai esistiti i Fragué, Chatillam e Marchstein da lui citati: e che era idiota e vile cercare di truffare, con citazioni fasulle, i presenti, chiamandoli a testimoni di una cultura che non esisteva.
Ho voluto ricordare questo significativo episodio, per spiegare i motivi della mia diffidenza nei confronti dei «raduni», delle «assemblee», dei «convegni», dei «corsi di studio» in genere, e di quelli giovani in particolare. Eppure, la settimana scorsa mi sono trovato a Ostia Lido, dove si è svolto il «Corso di aggiornamento politico». Mi è venuta la voglia, o la nostalgia, di giovani migliori dei cialtroni, dei furbi, dei manovrieri e degli imbecilli che inquinano le nostre speranze per domani. Sono arrivato da questi giovani di destra quasi senza volerlo. E ho cercato di sapere da loro che cosa vuol dire, e quanto costa, e in quale modo si sconta, il peccato di essere giovani, e non drogati, e non scritturati dagli impresari di regime, e non inquadrati nelle legioni di lungocriniti marmocchi di sinistra che non sanno che cosa vogliono, ma lo vogliono tutto e senza discussioni.
La prima frase che raccolgo è rivolta da un giornalista di un rotocalco a Cesare Pozzo, capo ufficio stampa del MSI. Il giornalista, che ha intervistato alcuni di questi ragazzi ed ha assistito ai lavori, dice soltanto: «Cominciano a diventare pericolosi… ». Egli è, chiaramente, sull’altra sponda politica; e se parla di pericolo, avendo conosciuto questa civilissima gioventù, sa quello che si dice: non è il pericolo della violenza o della rabbia repressa che arriva al confine dell’esplosione: è il «pericolo», gravissimo per un Paese e per un sistema come quelli in cui si vive e si è coinvolti, dell’intelligenza, della consapevolezza e del coraggio. Riesco a parlare con alcuni di questi giovani. Roberto Roggero è un universitario di Torino. Molto alto e robusto, con i baffi e la barba che, intorno ai vent’anni, abbiamo quasi tutti voluto sperimentare, ha l’aspetto dell’uomo saggio e maturo. I suoi vent’anni, però, affiorano completi e incontaminati nel suo sguardo chiaro e nel suo sorriso felice. A beneficio dei presenti, esegue l’imitazione di un altro giovane dirigente nazionale, accusato, a torto, di avere una grande predisposizione alla «vita di partito» e nessuna vocazione «culturale».
Tutti i giovani presenti ridono. Ma Roberto continua: «Noi siamo abituati così. Se dobbiamo farci spaccare la testa (ma, in caso di necessità, è sempre preferibile spaccarla agli avversari, per legittima difesa) per difendere l’Italia, la Patria, la famiglia, eccetera, ci sentiamo pronti. Ma se a qualcuno di noi viene una bella battuta sull’Italia, sulla Patria, sulla famiglia, sullo Stato o sull’eccetera, vogliamo sentirla o raccontarla. Non è il sorriso che può diminuire una fede: è la vigliaccheria, è l’opportunismo, è la resa ai ‘tabù’… ». Gli chiedo se, nel clima sacro ai tabù nel quale si trova a vivere, incontri molte difficoltà. «Sì», dice, «moltissime. Qualche volta, il quotidiano torinese si è occupato di me. Per compiere tutti i misfatti che mi ha attribuito, dovrei avere cinquant’anni e avrei dovuto cominciare la mia attività politica all’età di tre mesi. L’immagine che è stata data di me è quella del nazista-cannibale, che mangia bambini e che magari riceve poi un premio in denaro da Almirante, per ogni scalpo d’innocente che gli faccio pervenire a Roma… Sono balle, si capisce. Ma io cerco di studiare seriamente e in questo, debbo dire, non trovo grandi ostacoli personali. Un po’ più difficile è il rapporto con le ragazze. In un salotto, per esempio, quando si viene a sapere chi sono e si scoprono le mie idee, cominciano a guardarmi come un marziano. I padroni di casa mi osservano con stupore. Forse temono che, d’improvviso, io possa rovinare il ricevimento sfasciando il servizio di bicchieri ‘buono’ o prendendo a calci gli altri ospiti. Qualcuno mi dice anche ‘bravo’, ma sottovoce. E, se ha una figlia, mi fa chiaramente capire che non sarebbe contento se la invitassi a uscire con me… Chi era, mi sembra Rimbaud, quello che disse: ‘Scostatevi da me, ho odore di bruciato…’ lo non so di bruciato, ma quelli lo avvertono egualmente…».
Interviene Ignazio La Russa, milanese, laureato in giurisprudenza, con avo garibaldino. «Non è facile», afferma, «essere giovani ed essere a destra. E non è soltanto questione di ragazze o di salotti. Gli ostacoli e le difficoltà, se non sono già stati organizzati dal regime, vengono costruiti in fretta, all’ultimo momento, sulla nostra misura, in tutti i campi e in tutti i sensi. E allora, perché siamo e restiamo a destra? Non vorrei adoperare il linguaggio degli ‘impegnati’, ma debbo dire che per un giovane il fatto di ‘essere a destra’ costituisce l’ultima possibilità di realizzarsi: e non parlo soltanto di studio, di laurea, di possibilità di lavoro. Voglio dire ‘realizzarsi’ nel senso di sentirsi compiuti, completi, e veramente uomini. Questa spinta ideale fa di tutti noi, con i nostri errori e i nostri inevitabili smarrimenti, giovani ‘diversi’: non ci facciamo incantare dai miti di questa società dei consumi, non cerchiamo paradiso e suicidio nella droga, non cerchiamo surrogati di fede per riempire il grande vuoto interiore che, purtroppo, molti nostri coetanei avvertono. Per questo motivo io sono convinto che ‘fare politica a destra’ sia, certamente, un ‘mestiere’ molto difficile e rischioso: ma è anche un fatto bello, vivo, gioioso, che consente di farci superare le amarezze, i disagi, la persecuzione e la galera che moltissimi tra noi, me compreso, abbiamo conosciuto e patito.».
Gennaro Ruggiero è un giovane insegnante, che sostiene da tempo la necessità di «dare spazio» ai giovani e che proprio dal voto dei giovani è stato eletto al Consiglio comunale di Napoli. Viene da questa città travagliata, contraddittoria, truffata e splendida, e non ha molta voglia di scherzare. Dice: «I giovani, nel Meridione, sono sottoposti dal regime ad un’azione repressiva che si ammanta spesso di paternalismo, ma che ha per obiettivo, sempre, l’imbroglio e la vendetta nei confronti di ‘quelli che non ci stanno’. Il Movimento giovanile di destra, appunto, ‘non ci sta’ e ha saputo porre sul tappeto il problema delle nuove generazioni, il loro diritto di costruire una società migliore, con una lotta aperta, intelligente e senza pregiudizi. Ovviamente; siamo considerati i perturbatori della quiete e i ‘violenti’ per antonomasia. I tribunali sono stati mobilitati contro di noi. In un paio di anni, ci sono piovute addosso circa seicento denunzie all’autorità giudiziaria. Ma quasi tutti i processi a nostro carico si sono conclusi con la piena assoluzione, per l’inconsistenza e la pretestuosità delle accuse. Per questo, i nostri avversari cercano di renderci difficile lo studio e il lavoro con tutti i sotterfugi e le calunnie possibili. L’ultima trovata è quella di stampare e diffondere ‘libri bianchi’, in cui viene romanzata la nostra presunta ‘vocazione alla violenza’. Noi abbiamo un solo modo di difenderci: lavorare o studiare più e meglio degli altri ed esercitare un attivismo politico più intenso, ‘impegnato’ e onesto… ».
«A questo punto», dico, interrompendo i ragazzi, «cominciate ad atteggiarvi un po’ a primi della classe…». Non raccolgono il mio tentativo di provocazione. Rispondono serenamente: «No: anche tra noi puoi trovare il matto, l’imbecille o quello che cerca di fare il furbo. Ma non resta a lungo dalla nostra parte: anche se non siamo noi a scoprire la sua vera natura, è lui a sentirsi fuori posto, a disagio, e se ne va in partiti o in organizzazioni che costano meno sacrifici e, almeno per ora, rendono molto di più… ».
Pietro Lentini di Bologna sta faticosamente cercando di laurearsi in legge. Alcuni professori, a loro volta, cercano di impedirgli di conseguire questa laurea. Ma il giovane non dispera e dice di essere sicuro di farcela, anche se la sua «tesi», di carattere sociale e politico, non è fatta su misura per entusiasmare gli «esperti» comunisti. «A Bologna», dice «la situazione è forse più difficile che in altre città italiane. I comunisti hanno praticamente tutto il potere in mano, Sono i veri ‘conservatori’ della situazione: affidano le loro ultime ‘istanze rivoluzionarie’, a fini propagandistici, ai gruppuscoli extraparlamentari. Ma quando questi ‘cani sciolti’ si illudono di potersi muovere al di fuori o addirittura contro il PCI, il partito stesso mobilita gli attivisti e i picchiatori per ristabilire l’ordine, La Democrazia Cristiana accetta questa situazione e ne divide i vantaggi. Soltanto i giovani di destra conducono un’autentica battaglia di opposizione, e per questo si trovano tutti contro: i partiti, le organizzazioni di regime, le istituzioni locali, gli Enti, la questura, eccetera. Tuttavia, nessuno di noi si sente vittima o avverte la vocazione del martire,- facciamo quello che possiamo e lo facciamo con un morale piuttosto alto. Con noi si trovano moltissimi giovani che appartengono a famiglie legate, per tradizione o per interesse, al PCI o ai socialisti, e debbo dire che sono forse i più attivi e intelligenti… ».
Interviene un altro giovane, Emidio Novi. Ha il viso da ragazzino, ma è laureato da tre anni ed insegna negli istituti parificati. È anche sposato: «La ragazza che oggi è mia moglie», ricorda, «quando fui arrestato a Roma durante alcuni violenti scontri alla Facoltà di giurisprudenza, era con i rossi e gridava contro di noi: ‘Fascisti carogne…’ Ora ci siamo sposati e ha cambiato molte idee e molti pregiudizi, in fatto di ‘fascisti carogne’… Mi occupo del movimento dei ‘disoccupati intellettuali’. Negli anni della contestazione, mi sono trovato praticamente fuori del MSI: ero tra gli esponenti del movimento studentesco, ma di destra, e riuscimmo a impedire che l’Università si trasformasse in un’altra ‘statale rossa’… Ora ho capito che la contestazione più sincera e più profonda si conduce nella Destra Nazionale, e qui ho ritrovato tutti gli amici e tutti i giovani che la pensano come me… ».
Giulio Conti di Ascoli Piceno è un «anziano»: trentenne, è medico, e svolge la sua attività politica a Perugia, come dirigente nazionale delle organizzazioni giovanili del MSI: «All’Università e alle scuole medie i giovani di destra sono presenti a tutte le assemblee e in tutte le istituzioni, e spesso ne determinano l’attività. Per me e per molti amici, la politica è una febbre, una passione: con l’amore per la mia donna è la sola cosa che mi faccia provare un senso di felicità… ».
Anche Marco Cellai, laureando in legge, di Firenze, afferma: «La politica è un fatto vitale, per me. Non potrei fare a meno di essere quello che sono». È un giovane dal viso sveglio, con una notevole preparazione politica e culturale. Infatti è Vice Segretario nazionale del Fronte della Gioventù, responsabile della «Corporazione dei giovani lavoratori», consigliere comunale di Firenze, membro del Comitato Centrale e Presidente regionale per la Toscana. È anche il primo dei non eletti alle elezioni politiche. Lo accuso amichevolmente: «Sei un ‘cumulista’ di cariche!» Sorride: «Può darsi. Quello che ancora mi manca è un solo impiego, e ci terrei molto a ottenerlo, anche perché vorrei potermi sposare presto… » Quando Cellai si allontana, un suo amico, Roberto Benedetti, anche lui di Firenze, mi dice: «Non gli sarà difficile sistemarsi. Nella nostra città, anche gli avversari politici lo ammirano per la sua serietà e la sua intelligenza… ».
«E tu», gli domando, «che fai?». «Studio Scienze politiche, mi piace scrivere e collaboro a qualche giornale della nostra parte. Ho ventitré anni, ma mi sembra di essere in mezzo alla politica da moltissimo tempo. Perché ho scelto la destra? Potrei darti molte ragioni e creare qualche risposta complessa e dal tono profondo e intelligente. Ti dico, più semplicemente, che sono a destra perché amo la verità e la chiarezza, e le ho trovate soltanto qui. Certo, in Toscana può essere pericoloso, a volte, pensarla come me: ma l’ambiente umano nel quale vivo, i giovani amici che ho trovato, le persone di ogni condizione sociale che mi sono accanto rappresentano la consolazione più bella, nei momenti difficili. E questo mi sembra molto più importante e ‘autentico’ dei mille slogans demagogici con cui questo regime tenta di instaurare, lui sì, una nuova dittatura, imprigionando i cervelli … ».
Così sono i ragazzi della Destra Nazionale con i quali ho parlato. Non posso giurare che tutti i loro amici siano della stessa tempra, ma da molto tempo non mi accadeva di ascoltare con tanta attenzione un gruppo di giovani e di avvertire di fronte a loro un vago senso di disagio, o di rimorso, per non essere riuscito, con la mia generazione, a fare qualche cosa di più e di meglio per consegnare loro un’Italia migliore.
* da il Borghese, 7 Ottobre 1973