In fondo, sembra solo ieri. Il 1 giugno 2018 era presentato a Balocco il Piano Industriale quadriennale della FCA, l’ ‘ultimo piano di Marchionne’, come titolarono un po’ sinistramente, verrebbe da dire col senno di poi, i media. Scriveva allora Bianca Carretto sul Corriere: ‘FCA. Spinta sui brand di lusso’
Il passaggio di timone per il manager che ha presentato l’ultimo piano industriale della sua gestione. Maggiore attenzione ai marchi di lusso, quell’Alfa Romeo e quella Maserati che ancora non sono decollate nel mondo. Sergio Marchionne oggi annuncia l’ ultimo piano industriale della «sua» Fiat Chrysler Automobiles. La maggiore attenzione dovrebbe essere focalizzata sui marchi Alfa Romeo e Maserati. Tim Kuniskis, il capo dei due brand, spiegherà quanto sarà indispensabile l’interscambio delle piattaforme, per cui è probabile che vedremo, tra poco più di 12 mesi, un suv del Biscione simile al Levante di Maserati che, a sua volta, avrà un suv derivato dallo Stelvio. Nessun polo del lusso, ma priorità ai ‘contenitori’ di alta qualità, i cosiddetti “prodotti premium”. La Fiat, oltre a non ritirarsi dagli Usa, punterà su quelli di maggior successo. Più 500 dunque, seguita da Panda, che troverà nuova energia nelle varianti elettrificate, ossia elettrica pura o ibrida. Alla diffusione del brand Fiat contribuirà l’arrivo anche in Europa della 500 elettrica, questo è il processo di vera trasformazione di FCA. Proprio ieri il gruppo ha consegnato 62 mila auto a Google, con cui avvia una nuova collaborazione per sperimentare la guida autonoma su propri veicoli’.
Nella sua giocata finale, destinata a trasformare Fiat Chrysler, Marchionne tornava a focalizzare l’attenzione sull’Italia, almeno a parole. L’impresa avrebbe abbandonato la produzione di utilitarie come la Fiat Punto e l’Alfa Mito per modelli di alta gamma. Destinato stabilimenti come Melfi, Cassino, Mirafiori per le nuove Maserati e Jeep, mentre la Fiat Panda avrebbe traslocato in Polonia, privando l’Italia di ogni produzione del marchio Fiat. Un programma strategico per portare la produzione europea del Gruppo ad un livello superiore, privilegiando la vendita delle Jeep in tutto il mondo. Marchionne lascerà infatti nei cassetti idee (ma non progetti) di auto destinate a viaggiare in modalità elettrica come la Maserati Alfieri, o le Jeep Wrangler e Renegade ad alimentazioni ibride plug-in.
Ma il successivo 21 luglio un colpo di scena. Viene convocato un CdA straordinario, d’urgenza, al Lingotto (anzi tre CdA), mentre si diffondono tesi giornalistiche sullo stato di “coma irreversibile” del manager. A fine pomeriggio viene diramato un comunicato stampa ufficiale di FCA: “Il Dr. Marchionne non potrà riprendere la sua attività lavorativa. Il Consiglio ha deciso di accelerare il processo di transizione per la carica di CEO, in atto ormai da mesi, e ha nominato Mike Manley, Amministratore Delegato”. Il britannico Mike Manley, già CEO di Jeep. Morirà Marchionne il 25 luglio a Zurigo, dopo una operazione alla spalla, l’embolia cerebrale e la caduta in coma. Aveva 66 anni e súbito vari organi di stampa scrissero di un sarcoma che aveva debellato il suo fisico d’incallito fumatore. Già avvocato, commercialista ed esperto nell’area fiscale, in servizi di ispezione, verifica e certificazione di società multinazionali, prima di approdare alla Fiat alla fine del 2003.
Già, la FCA di Marchionne. Il titolo in borsa andava bene e tutti intonavano peana. In realtà i Piani Industriali si susseguivano, lasciavano intravvedere mare e monti, eppur erano stati essenzialmente chiacchiere, i modelli nuovi e validi quasi inesistenti, nessuna programmazione vera della produzione, tutta finanza e ricerca di sostegni governativi. E tante promesse… All’indomani della morte di Marchionne quasi tutto il Gruppo apparve subito in difficoltà; della Fiat 500 polacco-serba esperti e mercati si facevano beffe, come delle tamarre Maserati a bocca di squalo e della Alfona Giulia, non precisamente discreta ed elegante e neppure a buon prezzo. E le vendite di Fiat negli Stati Uniti segnavano un calo allarmante. Rispetto all’anno precedente, la casa di Torino aveva immatricolato il 44 per cento di automobili in meno. A giugno, il marchio aveva venduto appena 1.426 veicoli in tutti gli Stati Uniti, sorpassato anche da Alfa Romeo. Nei soli stabilimenti brasiliani di Betim e Goiana FCA-Fiat produce annualmente circa 500 mila e 250 mila autovetture… Il crollo delle vendite faceva così ipotizzare nuovamente e con forza il possibile disimpegno del brand dal mercato degli States. Sopravvivevano i prodotti di Fiat Brasil e l’americana Jeep. Non è l’avanguardia tecnologica (in Sud America è ancora venduta la UNO, di appena 36 anni, con restyling Way!), ma ancora reggono. Tra un vecchio prodotto made by Ghidella (Lancia Thema e Fiat Uno, ad esempio) ed uno made by Marchionne la distanza appariva siderale. L’ultimo buono soprattutto a riciclare i pesanti scassoni statunitensi, il cui ricordo aveva probabilmente inciso sulla sua psiche adolescente d’immigrato in Canada povero, poco colto.
E il ritorno dell’ipotesi più inquietante: dopo la prematura scomparsa dell’uomo che in 14 anni avava risanato il gruppo Fiat Chrysler, cambiandogli i connotati, tornava a prendere quota un’ipotesi di cui si parlava da tempo: la graduale uscita della famiglia Agnelli dal capitale del colosso automobilistico. La fine, in pratica, della tradizione automobilistica italiana.
L’auto elettrica è una ‘minchiata solenne’, diciamolo pure senza fronzoli, e lì aveva visto giusto il povero Marchionne, l’uomo del pullover. Poi tutte le Case si son buttate sull’elettrico e lui aveva finito per promettere di seguirli. Essa presuppone enormi problemi logistici per la ricarica delle pile (che faranno, ad esempio, coloro che lasciano l’auto in strada per necessità?), la generazione di energia supplementare (essenzialmente usando idrocarburi fossili inquinanti, giacchè l’energia nucleare continua a sopravvivere a stento, dove ancora non è stata “sradicata” dall’ostracismo post-Chernobyl di 35 anni fa), lo stoccaggio delle contaminanti pile al litio usate. È però diventata una moda, un dogma anzi, come il “politicamente corretto” a 360 gradi, i “diritti gender”, l’estremismo pseudo-ambientalista, l’animalismo talebano, l’Open Society, il veganismo ecc. Sergio Marchionne era non solo scettico, ma contrario. Prima di morire lasciò a malicuore detto nell’ultimo Piano Industriale: “i mercati ce lo chiedono” (cioè il grande investimento per una tecnologia antiquata e poco evolutiva, farlocca, ingombrante, non miniaturizzabile). Certo, per molti costruttori automobilistici appare un’opportunità, un affare, almeno nel breve periodo (e che darà altri grandi guadagni ai produttori delle pile), ma chi provvederà alla produzione e distribuzione del nuovo “carburante” (lento da caricare e rapidissimo nell’esaurirsi?). Le pile, una volta ricaricate, se non si usano subito si esauriscono, infatti, da sole.
Esiste una verità che molti riconoscono, ma che hanno paura di proclamare per non essere tacciati di anacronisti, inquinatori, fascisti ecc.: l’auto elettrica è un balzano giocattolo per ricchi! La solita sinistra (i liberal scemi globalizzati, secondo alcuni), ama follemente le “auto elettriche” – come la Jaguar E del cafonesco, ancorchè Royal, matrimonio di Harry d’Inghilterra con Meghan Markle – per sentirsi “buoni” e… nascondere la spazzatura sotto il tappeto! Come qualcuno ha scritto: “To promote the idea of electric vehicle motors is the principal goal of the anti-diesel car campaign; this is a typical Greenpeace idiotism”. Una campagna contro il cosiddetto “clean diesel” (Euro 6 del 2014), guidata da forze ed opinioni non tecniche, portatrici di falsi concetti che produrranno inimmaginabili disagi e problemi oltre a non risolvere alcun problema ambientale.
L’estinzione dei motori a benzina e gasolio è, in effetti, caldeggiata da vari Paesi europei, alcuni dei quali avrebbero già fissato le date. Il primo ministro svedese Stefan Löfven ha annunciato che a partire dal 2030 sarà introdotto il divieto di vendita di nuovi veicoli a combustione in Svezia. Nel frattempo, la Svezia prevede di stanziare ingenti risorse per espandere la rete di infrastrutture di ricarica dei veicoli elettrici, per raggiungere gli obiettivi fissati nell’accordo sul clima siglato durante la Conferenza di Parigi. Anche l’Islanda e la Danimarca avrebbero previsto il taglio netto alle vendite di auto a propulsione tradizione nel 2030; la Danimarca, addirittura, punterebbe a rinunciare definitivamente e totalmente all’impiego e vendita dei combustibili fossili entro il 2050. In Norvegia è stata ventilata l’ipotesi di uno stop ai motori a benzina e gasolio nel 2025. Grazie ai generosi incentivi statali, in Norvegia circa il 31% delle auto immatricolate nel 2018 erano equipaggiate con un motore elettrico; se si prendono in considerazione anche i propulsori ibridi, il numero aumenterebbe fino a raggiungere il 49% circa. La Francia e la Gran Bretagna si dovrebbero concedere qualche anno in più per dire addio ai motori a combustione, fino al 2040. La Germania è in controtendenza, non avrebbe ancora fissato alcuna data ufficiale poiché la diffusione dei veicoli a propulsione elettrica continua ad andare a rilento.
Tutto ciò venne innescato, oltre 20 anni fa, dal Protocollo di Kyoto del 1997:
Un trattato internazionale in materia ambientale riguardante il surriscaldamento globale, redatto nella città giapponese di Kyoto dai delegati di oltre 180 Paesi in occasione della Conferenza delle Parti “COP3” della Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (UNFCCC). Il trattato è entrato in vigore il 16 febbraio 2005, dopo la ratifica da parte della Russia. A maggio 2013 gli Stati che hanno aderito e ratificato il protocollo sono 192. Esso ha per obiettivo la riduzione di sei gas con “effetto serra”, ritenuti la causa principale del “riscaldamento globale”. I gas in questione sono il diossido di carbonio (CO2), il metano (CH4), l’ossido nitroso(N2O) ed altri tre gas industriali fluorati.
Successivamente venne convocata la Conferenza internazionale sul clima di Parigi:
‘Dal 30 novembre all’11 dicembre 2015, 195 Paesi hanno discusso un nuovo accordo per ridurre le emissioni, in modo da rallentare il riscaldamento globale. Il segretario generale dell’Onu Ban Ki-moon, il ministro degli esteri francese Laurent Fabius e il presidente francese François Hollande applaudono per l’approvazione dell’accordo sul clima, il 12 dicembre 2015, sottoscritto a Le Bourget, vicino a Parigi. Esso parte da un presupposto fondamentale: “Il cambiamento climatico rappresenta una minaccia urgente e potenzialmente irreversibile per le società umane e per il pianeta”. Richiede pertanto “la massima cooperazione di tutti i Paesi” con l’obiettivo di “accelerare la riduzione delle emissioni dei gas a effetto serra’.
Alle critiche di ambientalisti, da un lato, e di scienziati (alcuni negarono sempre la rilevanza dei gas e dell’ ‘effetto serra’ sui cambi climatici, attribuendoli alle macchie e tempeste magnetiche solari) si sommava ora il presidente statunitense Donald Trump: “L’accordo di Parigi sul clima? Rientrerei solo con modifiche sostanziali”, diceva lo scorso 28 gennaio 2018, affermando di essere disposto a rifirmare l’accordo di Parigi sul clima, ma solo se avesse contenuto modifiche sostanziali, perché a suo avviso si trattava di “un pessimo accordo” per gli Usa, firmato con leggerezza dal predecessore Barack Obama per compiacere i liberal. Opposizione non da poco.
Di fatto, oggi le istituzioni, dopo il ‘Dieselgate’ di Volkswagen del 2015 ed altri casi sembrano ancora più intransigenti verso la tecnologia diesel. La chiusura al traffico nelle grandi città è arrivata anche in Italia – a Milano ed a Roma il blocco sarà operativo a partire dal 2019 – mentre in Germania è addirittura vigente in piccoli comuni. L’unica via d’uscita per il diesel per gli automobilisti, appare la propulsione ibrida: stanno nascendo anche le ibride diesel (gasolio ed elettrica), che potrebbero dare una seconda vita a queste unità complesse. Anche se molte Case hanno deciso di accelerare sull’auto elettrica, conclamata unica via per un lontano futuro green, l’ibrido rimane, per molti, la migliore scelta per il presente ed il prossimo futuro, anche per la duttilità che consente questa tecnologia di propulsione. Le auto mild-hybrid prevedono un piccolo motore elettrico che si ricarica automaticamente, recuperando energia durante le decelerazioni, e che consente di muoversi a zero emissioni sotto certe soglie di velocità. Le plug-in hybrid invece sono dotate di un’unità elettrica di maggiori proporzioni, ricaricabile sia automaticamente, sia tramite la spina esterna presso le apposite colonnine: queste auto hanno un’autonomia per circolare esclusivamente in modalità ‘elettrico’.
Ma a giudizio di alcuni il motore diesel non sarebbe invece affatto defunto e potrebbe rinascere.
La battaglia contro il motore inventato da Rudolph Diesel, nel 1892, è cominciata con il ricordato “Dieselgate”, quando Volkswagen è stata beccata truccando i date delle emissioni delle auto a gasolio negli Stati Uniti. Poi altre Case han dovuto pagare pesanti multe (compresa la FCA), per falsificazioni più o meno analoghe. Adesso, però, Bosch sembra avere in tasca la soluzione per non far inquinare il motore Diesel. Come? Riducendo drasticamente gli ossidi di azoto:
Il nemico è l’azoto. Essendo strettamente correlata ai consumi, l’anidride carbonica emessa dal diesel è minima rispetto ai motori a benzina di pari cubatura mentre, grazie ad appositi filtri, le emissioni di particolato sono state ridotte notevolmente negli ultimi anni. Rimangono, quindi, da eliminare gli ossidi di azoto. Quali contromisure, gli ingegneri Bosch si sono messi al lavoro su di un motore Volkswagen Golf, modificando il turbocompressore, il sistema di iniezione del carburante ed il trattamento dei gas di scarico, con filtro anti-particolato e catalizzatore, con tecnologie già presenti sul mercato. Dopo anni di prove, i tecnici sono riusciti ad abbattere drasticamente le emissioni avvicinando il filtro al motore, per raggiungere più in fretta la temperatura d’esercizio. Poi, hanno adottato una girante del turbo più reattiva mentre il ricircolo dei gas di scarico è stato utilizzato in modo più mirato. Risultato, le emissioni di ossidi di azoto di questa Golf speciale sono scese fino a 40 mg/km. nel ciclo di omologazione RDE, quando dal 2017 le nuove auto non possono emettere più di 168 mg/km (120 mg/km dal 2020). Il tutto senza sacrificare prestazioni e consumi. Il diesel non è morto, né in via d’estinzione, ma resterebbe un’alternativa reale alle auto “verdi”. Anzi, continuerà a dire la sua fino a che le auto elettriche non conquisteranno il mercato di massa. Perché rimane uno dei più efficienti motori in assoluto. ( Giacomo Morrisoni, Diesel morto?Ecco come invece potrebbe rinascere, in https://www.msn.com/it-it/motori/notizie/diesel-morto).
A fine 2017, Riccardo Ruggeri (Torino, 1934), entrato alla Fiat con la stessa qualifica del padre operaio scomparso prematuramente, all’Officina 5 di Mirafiori, raggiunse i livelli più elevati nel Gruppo, come Amministratore Delegato di New Holland, che rilevò in grande difficoltà e portò, in pochi anni, alla quotazione a Wall Street. Manager di assoluto livello, grande conoscitore degli USA, Ruggeri si è infine proposto come scrittore, opinionista, commentatore di eventi di politica e finanza, nazionali ed internazionali. Ha scritto su Italia Oggi del 21.11.2017, a proposito dell’osannata Tesla, vera Electric Cult Car, senza peli sulla lingua :
‘L’auto elettrica è una bufala. Si basa su ipotesi che generano leggi e finanziamenti’
‘Il caso Tesla ha assunto ormai una valenza che va molto al di là della strategia prodotto-mercato di una casa automobilistica di nicchia, inventata da un markettaro (i colti preferiscono visionario) come Elon Musk. Da tempo, la rivista Zero Hedge ha cercato di capire perché Wall Street continui a ignorare le perdite (mostruose) di Tesla… Che cosa dovrà succedere affinché Musk diventi winner-take-all (chi vince prende tutto) dell’intero comparto? Banalmente, costruire un monopolio (ci sta provando), facendo imporre ai singoli governi norme di circolazione automobilistica privata limitata alle sole auto elettriche, se possibile alle sue. La filosofia è quella della smart mobility (nel linguaggio liberal, e pure politicamente corretto: «Muoversi meno e meglio per vivere meglio»). Il solito giochino delle ‘felpe californiane’: fissare un obiettivo di grande fascino come «Salvare il pianeta, visto che presto supereremo i 10 miliardi». Come? Con l’auto elettrica a guida autonoma. In che modo? Limitando l’auto a solo quelli che se la possono permettere. Pochi? Ovvio, una percentuale di quel 10 per cento dell’unica classe sociale che avrà un lavoro ben retribuito (il 90 per cento farà lavori o idioti, o insalubri, o part-time, tutti mal pagati: con reddito di cittadinanza integrativo, per sopravvivere da cittadino zombie)’.
Come si vede l’opposto dell’idea di Henry Ford, d’inizio ‘900, di retribuire i suoi dipendenti più del mercato, affinché fossero pure clienti… quando l’auto era sinonimo di libertà.
‘Come si muoveranno i cittadini zombie? Con mezzi pubblici gestiti da Uber a prezzi prefissati dal loro algoritmo. A proposito, tre quarti dei cittadini dichiarano di rifiutare le auto a guida autonoma: tranquilli, essendo tutti o precari o zombie non potrete permettervelo, accontentatevi di passare il tanto tempo libero che avrete sui social e su internet (gratuiti)… Quand’ero giovane, e lavoravo nell’automotive (componenti) le batterie erano al piombo acido, ora sono al litio-cobalto. Quelle erano inquinanti (noi non lo sapevamo), queste lo sono di più, e lo sappiamo, ma sappiamo pure che sono estratte con metodi inquinanti e vengono da Paesi che calpestano i diritti umani. Nel frattempo la speculazione finanziaria si è scatenata, i prezzi sono scattati verso l’alto: un chilo di carbonato di litio è passato da 7 a 26 dollari, e nessuno scrive che su una Tesla ce ne vogliono almeno 60 chili. Per non parlare del cobalto, per il 60% estratto nella Repubblica del Congo, anche da minatori bambini. I giganti svizzeri (Glencore) e cinesi (China Moly) stanno investendo miliardi di dollari in Congo dopo essersi accaparrati i giacimenti più importanti’.
Quindi, più produciamo auto elettriche, più inquiniamo il pianeta, deduce razionalmente Ruggeri:
‘Ci rendiamo conto di cosa parliamo e delle grandezze in gioco? Abbiamo forse una massa di studi coerente con i problemi posti? No. Eppure governi idioti decidono date cervellotiche di fine corsa di tecnologie sicure senza avere testato quelle nuove, oltretutto nate vecchie, messe a punto da aziende canaglia. Nel ceo capitalism e nel linguaggio dei politici attuali c’è una totale confusione fra i desideri e i fatti, gli obiettivi e l’execution. Il passaggio dalla trazione benzina-diesel-ibrido a quella full electric non ha nulla a che fare con il passaggio dalla carrozza con i cavalli alla Ford T, di cui blaterano intellò, sociologi, economisti, politici d’accatto. Finalmente il presidente di Toyota, Takeshi Uchiyamada ha detto ciò che tutti noi, non di regime, sapevamo: «Questa tecnologia avrà un futuro, ma prima di andare in produzione ci vorrà tempo, Tesla non è un nostro concorrente, e non è neppure un esempio da seguire». Possibile che nessuno capisca il giochino delle ‘felpe californiane’? Vogliono smantellare un business di altissima strategicità (industrial-socio-politica), i veicoli essenzialmente mossi da motori a combustione, con una trazione (elettrica) non competitiva con l’attuale (ibrida), solo per impossessarsene e sostituire il loro cuore con una piattaforma digitale e con un app idiota. Ma non hanno alcun know how specifico, solo slide di obiettivi e prototipi presentati a media osannanti, stile presentazioni Apple e Alibaba. Null’altro che ballon d’essai. Modo elegante per non dire arlecchinate’.
Due mesi prima l’economista e storico Giulio Sapelli aveva dichiarato al Giornale:
‘L’auto elettrica è il futuro? Una bufala per ricchi. Settore di nicchia. E per rifornirle di energia servono enormi quantità di gasolio’
Sapelli li chiama «neo naturisti», gente così inebriata dal frinire dei grilli da mal sopportare il rumore molesto del traffico e il logorio della vita moderna. «Ecco, l’auto elettrica è perfetta per loro, per quelli che vanno in giro in bici, per le donne col tacco 16. È ad immagine e somiglianza degli sfaccendati: purché ricchi, sia chiaro».
Professore, eppure pile di report stimano una crescita esponenziale delle vendite di auto verdi entro pochi decenni grazie al crollo dei prezzi delle batterie…
«Sono solo grandi bufale: trattasi di un segmento di nicchia, tale – ripeto – da interessare solo la popolazione ricchissima. Dico: come fa a essere di massa un’auto che ha bisogno di colonnine ogni 50 chilometri per essere ricaricata? C’è un problema – tutt’altro che marginale – che riguarda la produzione di energia elettrica: non è un derivato da fonti rinnovabili, bensì da gas, gasolio e in parte acqua. E per le auto cosiddette ecologiche occorre produrre enormi quantità di energia, anche in ore di punta».
Quindi è d’accordo con Sergio Marchionne, che ha addirittura paventato la distruzione del pianeta se l’elettrica sarà introdotta su scala globale senza sciogliere i nodi legati a come produrre l’energia da fonti pulite e rinnovabili?
«C’è anche un altro problema, ed è quello dello smaltimento delle batterie al litio, veleno puro, peggio del mercurio. Che facciamo, le lanciamo nello spazio come residui nucleari?»
Quanto FCA verrà coinvolta nell’elettrico?
«Senza quella fusione con un’altra big che rincorre ormai da 10 anni e che consentirebbe di produrre 6-7 milioni di auto, FCA avrà soprattutto un problema di break-even. Se deciderà di entrare nell’elettrico lo farà non per motivi industriali, ma solo per ragioni borsistiche».
Gli farà in qualche modo eco Helmut Marko, consigliere esecutivo di Red Bull Racing di F1, nel gennaio 2019, parlando della Formula E:
‘Red Bull non entrerà nella Formula E “perchè siamo corridori puri”, afferma Helmut Marko ad Autosport. “Dal punto di vista del marketing, la Formula E è per noi solo una scusa dell’industria automotrice per distrarci dallo scandalo del diesel”, assicura il consigliere esecutivo di Red Bull. “La conclusione è che il diesel è il motore più efficiente in assoluto. Le auto di Formula E sono come delle F3 con una batteria di 400 kg. Quindi molto lente e con poca autonomia. Non appassionano. Il vantaggio è che la Formula E è un evento di marketing super, nel centro di grandi città’.
Allo sbigottimento ed alle incertezze del dopo-Marchionne si univano, verso la fine dello scorso anno, l’accentuata caduta delle vendite di quasi tutti i marchi, la crisi politica italiana con le sue conflittualità interne ed esterne, da “opera buffa” o pagliaccesca, soprattutto verso l’UE, le decisioni dell’Unione Europea stessa in materia di accelerazione sull’ “Auto Pulita”, per quanto anzidetto e relativi incentivi/penalizzazioni.
Il 28 novembre 2018 l’italiano Pietro Gorlier, capo dell’Area Emea (Europe, the Middle East and Africa) di FCA illustrava ai sindacati la realizzazione del Piano Industriale in Italia per il periodo 2019-2021 (già delineato da Marchionne il primo giugno):
‘Lancio di 4 nuovi modelli ed il restyling di esistenti, per un totale di 13 interventi, oltre a nuove motorizzazioni con impiego diffuso di tecnologia ibrida o elettrica. Piano per 5 miliardi di euro, dal 2019 al 2021, per investimenti comprendenti la produzione della nuova Fiat 500 elettrica a Torino e la versione europea della Jeep Compass a Melfi, sulla stessa piattaforma e con la stessa tecnologia Phev utilizzati per la Jeep Renegade. Quindi un nuovo modulo produttivo a Termoli per i propulsori Benzina FireFly 1.0 e 1.3, aspirati e ibridi, facendo leva sulla capacità produttiva esistente, garantendo una solida missione produttiva a tutti i siti italiani ed il raggiungimento dell’obiettivo della piena occupazione’.
Quindi l’Amministratore Delegato Mike Manley specificava che Mirafiori avrebbe rappresentato la prima installazione della piattaforma full Bev da applicarsi per la nuova Fiat 500 elettrica – la prima full electric del gruppo – da utilizzarsi per altri modelli a livello globale ed annunciando l’annullamento dell’uscita dal diesel, già frettolosamente prevista per il 2022.
Felici i sindacati, ma ciò che Manley non ha ricordato nell’occasione è che la Fiat 500e (elettrica), discendente della Panda Elettra del lontano 1990, mai veramente vista in circolazione, è un modello già presentato al Salone dell’Automobile di Los Angeles nel 2012, con il motto “stop global warming, start global hotness”. Fabbricata in Messico nello stabilimento Chrysler di Toluca era peraltro già stata presentata fin dal 2010 al Salone di Detroit.
Il motore elettrico denominato eDrive, è del tipo trifasico e sviluppa 111 CV. Il propulsore, fabbricato da Bosch, è situato sull’asse anteriore. Accelera da 0 a 100 km/h. in 9 secondi e la sua velocità massima è di 137 km/h. Le batterie, situate nella parte bassa del veicolo, sono agli ‘ioni di litio’ ed ognuna ha 97 celle individuali, per una capacità totale di 24 KWh. Le batterie sono fabbricate da Samsung e da Bosch e la carica è di 4 ore ad una presa da 240 Volts. Per massimizzare l’energia durante la decelerazione esiste un sistema di recupero dell’energia in frenata. L’autonomia della FIAT 500e è di 128 kilometri.
Scarsissimo, sinora, il suo successo commerciale.
Senza accennare alla circostanza che l’Italia non è minimamente preparata per l’auto elettrica, al di là dei dubbi già accennati.
Ha scritto sul Giornale Pierluigi Bonora lo scorso 19 dicembre:
‘Prezzi alti e batterie poco green. E per ora di colonnine in autostrada ce n’è solo una’
‘Elettrificare è la parola d’ordine all’interno dei gruppi automobilistici. Gli investimenti sono in corso da anni. E anche i più recalcitranti, come FCA, alla fine si sono dovuti allineare. Sul mercato, le auto elettriche e soprattutto ibride (anche quelle plug-in, cioè dotate di cavo per la ricarica della batteria, utili soprattutto nei percorsi urbani) sono in aumento (…) Ma i problemi affinché l’auto elettrica, quella che funziona solo con la batteria e, quindi, nel caso esaurisca la carica, si ferma, sono ancora tanti. Eccone alcuni: queste auto sono ancora care; l’autonomia è migliorata (ideale è solo l’utilizzo in città), ma per affrontare percorsi lunghi bisogna studiare attentamente l’ubicazione dei punti di ricarica, sperando che funzionino; il numero delle infrastrutture dev’essere potenziato rapidamente, non solo lungo le reti stradali e soprattutto autostradali, ma anche presso i condomini, i centri commerciali e le aziende private (…) C’è poi l’aspetto etico sul quale le stesse istituzioni che hanno deciso di condannare a morte il diesel, senza dare spazio alla difesa, tendono sempre a glissare. La produzione di energia, per «pulire» veramente l’aria, deve provenire da fonti rinnovabili. Oggi, invece, l’origine resta soprattutto fossile. È il caso della Cina, ma anche della Germania e di alcuni Paesi dell’Est e del Centro Europa. E così l’auto elettrica ha emissioni zero a valle, ma a monte rischia di inquinare di più. Un controsenso (…) E sempre la Cina, con i suoi giacimenti e le «colonie», sta facendo man bassa di litio, cobalto e cadmio, necessari per la realizzazione delle batterie. AlixPartners evidenzia come il prezzo del cobalto per auto elettriche sia aumentato di quasi il 180% tra il 2016 e il 2017. Dal 2022, inoltre, la domanda di cobalto supererà ampiamente la produzione globale (…) Alla voce elettrificazione, dunque, corrisponde anche un enorme business insieme allo sfruttamento di minori nei luoghi di estrazione. In Italia, intanto, Enel X, con il suo piano di diffusione delle colonnine a due punti di ricarica, tra cui quelle «Ultra Fast», sta accelerando allo scopo di dotare il Paese di una rete capillare di infrastrutture, pare’.
Già, domani, vedremo, poi, si farà in un prossimo futuro… come sempre in Italia!
E qui inizia il balletto tragicomico, ma assai poco divertente, dell’Ecotassa (alla prossima puntata).