A tre anni di distanza da Vivere o morire e dopo aver stravolto nel 2016 la musica italiana con La fine dei vent’anni (premio Tenco) Francesco Motta torna con un disco nuovo negli intenti così come nel progetto stilistico. E lo fa partendo dalla copertina, in cui lui scompare a favore del titolo, Semplice, da cui si capisce l’intenzione di eliminare il superfluo.
Attenzione però, semplice non vuol dire facile ma va inteso nel senso di essenziale. Ha scelto una produzione internazionale di cui si sente il profumo in ogni singolo pezzo. Ha lavorato in remoto da New York con Mauro Refosco e Bobby Wooten (già al lavoro con David Byrne e Tom Yorke) ed ha affidato gli archi a Carmine Iuvone e si è circondato di grandi musicisti (su tutti Cesare Petulicchio batteria dei Bud Spencer Blues Explosion).
Motta ha cercato di dare importanza alle canzoni più che a chi le canta. Le atmosfere sono molto new wave con The Cure e Radiohead che riecheggiano in “quello che non so di te” o “A te” ma si sente tanto anche la scuola italiana di De Gregori in “qualcosa di normale” o “e poi finisco per amarti” scritta per lui da Pacifico.
L’artista toscano ha imparato la lezione dai grandi autori italiani ma l’ha resa attuale e contemporanea, Semplice è un disco figlio dei nostri tempi pandemici in cui i tanti (troppi) momenti di solitudine ci hanno fatto riscoprire ed apprezzare l’amore per le piccole cose e per i piccoli momenti di felicità.
E questo album pone in maniera inequivocabile Motta al centro della scena musicale italiana odierna.