Era abitudine napoletana trascorrere la notte fra la Vigilia e il Natale giuocando a tombola. Ciascun convitato al cenone “di magro” (con ricchi piatti di pesce, e l’anguilla fritta detta capitone) aveva una cartella con quindici numeri. Il croupier li estraeva da un panierino. La tombola era vinta da chi avesse conseguito sei punti; a differenza del lotto, onde deriva, nel quale il punteggio massimo è la cinquina; in napoletano, lingua latineggiante, denominata quintina.
La tombola era praticata anche di là dalla santa notte. La riffa (dallo spagnuolo rifar, sorteggiare) si giuocava di continuo nei bassi, i terranei della plebe, dotati d’una sola apertura, la porta. L’animatore del giuoco era per tradizione un femmeniello, un travestito. Nell’antica Napoli i femmenielli erano considerati portatori di buon augurio, e non dovevano mancare, spandenti il loro auspicio, a ogni festa di matrimonio. Arcaicissmo residuo pagano: una delle più venerate divinità trapiantatesi in Italia era Cibele, la Magna Mater d’origine anatolica. Il suo culto era celebrato dai Galli, sacerdoti eunuchi, i quali l’accompagnavano con strepito festivo. I loro strumenti erano il crotalum, che oggi chiamiamo le nacchere, e il sistro, la bacchetta bronzea o lignea alla quale sono attaccati campanelli, che diventerà il tamburello. Sono quelli della Tarantella, e accompagnano le danze della Piedigrotta, altra festa che, prima di essere della Madonna, era dionisiaca e priapica. Allo steso modo le progenitrici della Madonna sono Iside e Cibele.
Il lotto venne istituito a Genova nel Cinquecento, ma dev’essere anch’esso arcaico. Soprattutto per il simbolismo numerico che ne è alla base, risalente alla civiltà babilonese. Ogni numero ha molti significati, ed esprime oggetti materiali, personaggi, concetti. I sogni vanno interpretati; specialisti nell’interpretazione erano gli assistiti, sovente monaci mendicanti, come il Giuseppe Vella, protagonista del Consiglio d’Egitto di Sciascia. Il rapporto fra cosa sognata e numero è in tale mitologia complesso ma effettivo: la Smorfia, il vocabolo napoletano designante l’interpretazione, deriva dal dio dei sogni, Morfeo; e l’arte interpretativa è detta Cabbala: la parola ebraica, indicante una numerologia segreta delle Scritture, significa anche in italiano un imbroglio, una congiura, oltre che la lettura simbolica dei numeri. Lotto deriva dall’etimo germanico Lot, la sorte.
I femmenielli non solo conoscevano profondamente la Smorfia; sapevano tessere complicate storie durante l’estrazione, collegando significato a significato con ponti narrativi. Il numero estratto non veniva mai pronunciato, ma simbolicamente designato. Faccio un esempio, pur traducendolo. “Una donna brutta (49) incontra per strada un bellissimo ragazzo (24) a braccetto di una bella giovane (21), ne prova enorme invidia (89) e lancia loro la malasorte (18)”. Tutto questo alla velocità di una mitragliatrice, e con altri interludî narrativi estemporanei… I partecipanti, intesi della dottrina, dovevano fulmineamente cogliere tutto. I numeri favoriti di quest’epopea sono, ovviamente, quelli attinenti all’eros: il cazzo (29), il culo (16), la vagina (6), le palle (30), nei loro infiniti sinonimi…
Quest’arte è quasi scomparsa. Un attore geniale e intraprendente, Gino Curcione, si veste da donna e recita (al Teatro Sannazaro) La scostumatissima tombola napoletana. Va avanti per ore, canta, fa cantare, e coinvolge fra risate il pubblico per ore. Vivente archeologia.
*Da Il Fatto Quotidiano del 6.1.2019
Che bell’articolo. Una curiosità: sig. Isotta, come mai a Roma il 23 è “bucio de culo”, mentre a Napoli è “‘o Scemo”?