“Anima vagabonda”, con sottotitolo Appunti per una biografia (edizioni Tabula fati, pp. 136), di Daniele Giancane è davvero un’opera originale ed inusuale, perché riunisce in un solo volume prosa e poesia, un abbozzo di autobiografia intellettuale e una silloge di versi senza soluzione di continuità. Infatti, l’intento dell’autore è di avviare una riflessione su di sé, sulla propria vita, sulla propria opera, dialogando con i lettori, gli amici e i sodali, che magari, per la sua natura schiva e riservata, non conoscono a fondo le sue intricanti peregrinazioni culturali.
Come egli stesso dichiara senza fronzoli nella premessa, “ciò che è interessante – nella mia vita – è il percorso culturale, l’ininterrotta ricerca di verità, gli approcci a esperienze diverse (letterarie, politiche, religiose) che, tutte insieme, hanno contribuito a fare l’uomo che sono oggi.” Il dialogo con gli altri diventa fondamentale per un intellettuale che non voglia chiudersi nel solipsismo, nel narcisismo e, diciamolo pure, nella sterilità. Non a caso Giancane ci ricorda che la parola più bella del vocabolario, come scrisse una volta Gianni Rodari, è insieme.
Vivere, diceva elegantemente Ortega y Gasset, è incontrare sé stessi nel mondo. Nella poesia Io non sono solo io così si esprime Giancane: “Queste poesie, lettore, non sono solo mie. / Sono anche tue e di tutti coloro che ho incontrato. / Sono i sogni che ho sognato, / i pensieri che ho pensato, / i viaggi le utopie le contraddizioni, / le tue distratte parole in un pomeriggio di sole. / (…) / Queste poesie sono in parte mie / e in parte di quella donna / che intravidi sul terrazzo / in un mattino di primavera / e del gatto che correva / come un acrobata sui muri. / Le abbiamo scritte insieme, / parola dopo parola, a letto, per la strada, in treno, / con la pioggia e il tuono, sotto la pensilina in attesa del bus. / perché io non sono solo io, (…) / Io sono il braccio / che sparge l’inchiostro sulla pagina, / la mente che crea la poetica struttura, / il cuore che ascolta i ritmi segreti della vita.” Ma c’è un’altra ragione più sottile che rende questo libro prezioso come un frutto maturo colto al punto giusto (“all’alba dei settant’ anni”): ed è che l’autore ci svela un piccolo grande segreto, che costituisce un po’ il filo verde che lega le due parti di questo libro: si può essere felici, se si è fedeli alla propria vocazione, se coincidono biografia e vocazione, se le circostanze (la famiglia, la scuola, i maestri, il mestiere) favoriscono la vocazione di ciascuno. Scrive il filosofo spagnolo nelle sue Meditazioni sulla felicità: “si può essere più o meno fedeli alla nostra vocazione e di conseguenza la nostra vita può essere più o meno autentica”.
Ma come si scopre la propria vocazione? Certamente, “nelle occupazioni che danno la felicità si rivela la vocazione dell’uomo.” Ora per Giancane la vocazione di tutta la sua vita, come traspare dai succosi, gustosi capitoletti della sua Autobiografia, nonché dalle liriche contenute nella silloge (non a caso intitolata La felicità ed altre storie), è senz’alcun dubbio la poesia. Ma da dove scaturisce la poesia? Sicuramente dal confronto tra la brevità della vita e la speranza che l’arte possa durare più a lungo: “Tu dici: breve è la vita, come un passaggio di / fulmine nel cielo. / Come un rapido sbattere di ciglia. Un pensiero / fugace nel tramonto. / E sento un che di malinconico nella tua / incrinata voce. // Eppure, è il nostro essere comete che diventa / poesia. / Sapere che oggi t’amo domani finirà fa disperato / e stridulo il mio canto.” (in Breve è la vita, lunga la poesia). E’ la poesia che rende duraturo e struggente il ricordo delle vecchie zie e di un mondo che con loro scompare: “Quando muoiono le vecchie zie, finiscono per sempre / le fettine di pane e marmellata che ci preparavano / nei pomeriggi estivi, / scompaiono le mute complicità che / scambiavamo / con un sorriso e un cenno furbo degli occhi. / (…) / Quando muoiono loro, si fa più lunga l’ombra / del pino dietro casa / e piange l’iris variopinto. / Non passa più il venditore di tintinnanti / bambole / e pure l’uomo dei cocomeri sembra essersi / dissolto nel nulla.” (in Quando muoiono le vecchie zie). E’ la poesia che ci incita ad amare, senza riserve, senza rimandare a più tardi, sulla scorta del carpe diem oraziano: “Ama adesso, non dire: lo farò domani, / oggi sono troppo stanco per regalarmi un po’. / Ama adesso, non rinviare a tempi migliori, / quando sarai più sereno e il cielo finalmente ti sarà amico / e le nubi si scioglieranno al sole. / (…) / Ama adesso: non programmare il sentimento: /ora – pensi – c’è il lavoro, l’impegno sociale, / l’uscita con gli amici, / la partita di pallone. C’è la corsa in automobile, / la sveglia mattutina, / il cartellino da timbrare. / (…) Ascoltami: ama adesso, non procrastinare.” (in Ama adesso!). E’ la poesia che ci fa amare la vita e forse può donarci la felicità: “Forse è questa atarassia la felicità. / Il desiderio di non fare nulla / che porti a qualche fine / (ci sarà una fine, un principio?) // Forse è questa suprema noluntas, / una forma di pigrizia della mente / o l’acme della filosofia. / Trovare che una partita di canasta / non è meno importante / della ricerca metafisica. // Si tratta – alla fine – di due modi di giocare. / di riempire il vuoto / che da ogni parte ci preme, inascoltato.” (Atarassia).
Ma non dimentichiamo: dietro la poesia, c’è sempre un poeta che pone domande, per quanto lungo e fecondo sia il cammino già fatto e che è da farsi: “Sarà la democrazia il fine dell’umana società? / Sarà il ritorno a un impossibile passato? / La decrescita felice? / La devastazione del pianeta ci condurrà dritti all’estinzione’ / Scopriremo altre vite oltre la nostra? // Il poeta non sa, chiedete al futurologo, al sociologo, / al neurobiologo, forse. // Il poeta pone solo domande nel suo incerto cammino.” (in Il poeta pone domande).