Tra l’immediato primo dopoguerra e l’ascesa al potere del Nazionalsocialismo, in quella informe Babele che fu la Repubblica di Weimar, ebbe a registrarsi il sorgere di idee in netta controtendenza rispetto allo spirito del tempo, che almeno dal Rinascimento faceva della storia il campo di conquista di concezioni della vita di stampo progressista e rivoluzionario rispetto a ciò che sino ad allora era inteso come lo stato normale delle cose.
Per designare questo fiorire di idee in rivolta venne coniato il termine “rivoluzione conservatrice” (Konservative Revolution), utilizzato per la prima volta il 10 gennaio 1927 dallo scrittore tedesco di origine ebraica Hugo von Hofmannsthal, durante una conferenza a Monaco di Baviera dal titolo La letteratura come spazio spirituale della nazione, ma che incontrerà fortuna grazie all’opera La rivoluzione conservatrice in Germania 1918-1932. Una guida, di Armin Mohler, un’imponente bibliografia di circa 400 pagine, in cui si fa luce sul pensiero e sugli autori del contesto rivoluzionario-conservatore.
Gli ideali della Konservative Revolution ebbero molti sostenitori di tutto rispetto nell’alveo delle scienze storiche, filosofiche e della cultura in genere, basti pensare ad Ernst Jünger, Martin Heidegger, Oswald Spengler, Carl Schmitt, Thomas Mann, Gottfried Benn, Rainer Maria Rilke, Max Scheler, e a chi indubbiamente fu per molti versi il padre spirituale e l’antesignano di questo movimento: Friedrich Nietzsche, dal quale i rivoluzionario-conservatori mutueranno la propria «immagine del mondo» (Weltbild) basata su alcune fondamentali “idee guida”, tra cui la concezione “sferica” della storia, opposta alla concezione “lineare” cara ai progressisti. Per i pensatori della Rivoluzione Conservatrice, infatti, la storia non è da intendersi quale progresso infinito e indefinito, bensì quale “eterno ritorno”, ciò «significa che agli occhi del conservatore-rivoluzionario in ogni momento tutto è contenuto, che presente, passato e avvenire coincidono». Per citare il Nietzsche dello Zarathustra:
«Tutto va, tutto ritorna; eternamente ruota la Ruota dell’Essere. Tutto muore, tutto di nuovo fiorisce; eternamente trascorre l’Anno dell’Essere. Tutto crolla, tutto è nuovamente composto; eternamente si ricostruisce la medesima Casa dell’Essere. Tutto si separa, tutto si saluta di nuovo; eternamente resta fedele a se stesso l’Anello dell’Essere. In ogni momento l’Essere comincia; attorno ad ogni Qui si avvolge la Sfera del Là. Il centro è dappertutto. Curvo è il sentiero dell’Eternità»
Il pensiero dei rivoluzionario-conservatori vedeva la sua elaborazione e si diffondeva in circoli, cenacoli letterari, partiti, associazioni legate ai Freikorps, società segrete a carattere esoterico (si ricordi la Thule Gesellschaft). Da un punto di vista strettamente politico, al centro delle idee che facevano capo alla rivoluzione conservatrice, v’era innanzitutto una forte avversione verso il progressismo positivista, la demonìa capitalista, l’egualitarismo di matrice giacobina, e lo spettro comunista, cui i teorici della Konservative Revolution opponevano l’idea di una rivoluzione, da intendersi, com’ebbe a chiarire Julius Evola, nella doppia accezione «di una rivolta contro un dato stato di fatto» e «di un ritorno, di una conversione – per cui nell’antico linguaggio astronomico la rivoluzione di un astro significava il suo ritorno al punto di partenza e il suo moto ordinato intorno ad un centro». L’intento dei rivoluzionario-conservatori era infatti quello di opporsi al “tramonto dell’Occidente”, restaurando l’ordine tradizionale: «fare tabula rasa delle rovine del XIX secolo e a stabilire un nuovo ordine di vita».
Può dirsi che la Rivoluzione conservatrice tedesca abbia rappresentato il fertile terreno culturale da cui germinò il movimento nazionalsocialista. Tuttavia, dopo il 1933 solo alcuni sostenitori della Konservative Revolution aderirono al nazismo (è il caso di Carl Schmitt), mentre altri esponenti ne presero le distanze, ritirandosi (come Gottfried Benn) o diventandone oppositori (come Thomas Mann). Ha scritto Armin Mohler:
«i seguaci della Rivoluzione Conservatrice possono essere definiti all’epoca come i trotzkysti del nazionalsocialismo. Così come succede per tutti i grandi movimenti rivoluzionari, comunismo compreso, troviamo, da un lato, un grande partito di massa dalla pesantezza uniforme e, dall’altra, una miriade di piccoli circoli caratterizzati da una vita spirituale intensa, che non esercitano che una debole influenza sulle masse, e che, da un punto di vista della formazione di partiti, riuscivano al massimo a provocare delle scissioni marginali all’interno del grande partito, si dedicavano soprattutto all’organizzazione di sette esplosive e di piccoli gruppi elitari assai poco coerenti. Quando il grande partito fallisce, allora suona l’ora delle eresie trotzkyste».
Similmente in Italia, il coevo movimento fascista si proponeva l’intento di modificare la società, creando uno “Stato-società” basato sulle corporazioni, rettificando l’ideologia dello “Stato-popolo” di matrice giacobina, e distinguendosi nettamente dallo “Stato-classe” attuato dalla rivoluzione bolscevica in Russia. Ciò doveva essere raggiunto attraverso la rivoluzione, come risulta dal Programma di San Sepolcro del 1919: «Noi non abbiamo bisogno di metterci programmaticamente sul terreno della rivoluzione perché, in senso storico, ci siamo dal 1915». Quella fascista, in effetti, fu proprio una “rivoluzione conservatrice”, com’ebbe a sostenere Renzo De Felice. Tuttavia fascismo e Rivoluzione conservatrice costituiscono certamente due concetti non sovrapponibili, come non sovrapponibile alla Konservative Revolution fu il nazismo: partito di massa, che fece ampio ricorso ad una moderna propaganda e ad un razzismo basato sui presupposti del darwinismo anglosassone.
Ma certamente dopo la disfatta bellica della Germania nazionalsocialista e la capitolazione del regime fascista, in Europa, in ambito strettamente politico, non ci sono più stati grossi tentativi di riportare in auge concetti rivoluzionario-conservatori, e la rivoluzione conservatrice è rimasta solo un grande sogno eretico di pensatori coraggiosi come un Jean Thiriart, un Armin Mohler, un Alain de Benoist, o un Marcello Veneziani in Italia. Malgrado tutto, però, l’interesse per gli autori della Rivoluzione Conservatrice non si è mai sopito, e diviene sempre maggiore in questi tempi di crisi economica e morale. Auspichiamo che le loro idee vengano rispolverate e rimeditate dalle élites intellettuali e (soprattutto) politiche più avvedute, e che non rimangano solo il donchisciottesco sogno di pochi.