Non fatevi ingannare dalla mole perché la prosa di Paolo Cirino Pomicino è scorrevolissima e molto gradevole. Non è per niente un chiancone eppure l’ex ministro andreottiano non si tira indietro davanti ai temi più scottanti del dibattito politico attuale.
“La Repubblica delle Giovani Marmotte” si legge come un lungo pamphlet che ha un grosso e pesante filo conduttore: la rivincita del democristiano (originale) sui democristiani (sbiaditi, a esser buoni) che stanno oggi al governo della sciagurata Repubblica, il volume delle pietre che “Geronimo” si toglie dalle scarpe è grosso almeno quanto la boria – denunciata e schiaffeggiata – di vent’anni di Seconda Repubblica. A ogni livello e in ogni settore, dalla sartina saccente che comprava l’adesivo “Forza Di Pietro”, al bancario che nega la dilazione all’ex potentone, agli alti papaveri che si sono impappinati nel momento più importante.
Cirino Pomicino ha il merito di portare al centro del dibattito un approccio serio alla questione dell’economia: il capitalismo di rapina, quello dell’alta finanza, ha sedotto, distrutto e corrotto gran parte della società, compresi tanti che oggi se ne dichiarano estranei. Solo che nessuno sembra avere la forza (o la volontà?) di imporsi sul mostro dei mostri che approfittando della debolezza della politica (che ha la colpa imperdonabile di aver smesso di farsi cultura, pensiero e idea con la scusa che le ideologie erano ormai tutte finite, vi ricorda niente a destra?) e dell’avidità dei padroni del vapore.
Alcuni passaggi sono impagabili, come quando – nel riepilogare le cause e le reazioni alla crisi del 2007 – Pomicino scrive:
“Gli Stati Uniti, sulle cui sponde nacque tutto, vararono addirittura un programma triennale (2007-09) di acquisto di titoli spazzatura, per un valore iniziale di 700 miliardi di dollari che raggiunse invece la cifra record di 7700 miliardi di dollari. I paesi europei spesero, complessivamente, per i piani di salvataggio, 3166 miliardi di euro tra ricapitalizzazioni, crediti e garanzie. Pochi hanno descritto in questi termini ciò che è accaduto e le diffuse impunità, a testimonianza della forza del capitalismo finanziario che corrompe le coscienze e gli Stati, e getta il mondo nella incertezza più totale, mentre la peste del terzo millennio continua indisturbata ad accumulare ricchezze per alcuni e povertà per tantissimi”.
Oppure quando rende conto del potere distruttivo che il sistema turbocapitalistico esprime nel mondo, e sulla realtà e sulla corruzione che l’enorme ricchezza di pochissimi esercita sulla politica e sull’informazione:
“In Italia il 10% della popolazione controlla il 45% della ricchezza nazionale; nel mondo l’1% della popolazione controlla il 50% della ricchezza globale. E’ possibile andare avanti in questo modo? Un tempo la ricchezza era prevalentemente patrimoniale, ora è cresciuta la ricchezza finanziaria, la cui concentrazione rischia di essere fine a se stessa tranne che per un aspetto, quello del potere: una potenza corruttrice verso gli Stati, la politica e la grande informazione, televisiva e stampata; un nuovo grande potere che ha in sé impulsi distruttivi”.
Propone ricette, non è che critica per il gusto di criticare, Pomicino. Suggerisce misure di estremo buonsenso, tipo quella di andare a pescare i soldi laddove ci sono, cioè nelle smisurate tasche di quel 10% di cui sopra. Senza guerre di religione né inquisizioni patrimoniali ma
“La soluzione possibile è un’offensiva di persuasione verso la ricchezza nazionale; spiegare cioè che, salvando il paese, la ricchezza salva anche se stessa e aggiungere, come incentivo una sorta di pace fiscale per almeno quattro anni”.
Lo fa con stile leggero e scanzonato aggiungendo, nei confronti degli attuali sedicenti nipotini della diccì al governo, il gusto tutto meridionale della briosa presa in giro. In fondo, Cirino Pomicino, sta soltanto dicendo che, forse, la politica è meglio che la faccia chi ha voglia di studiare, sul serio, la realtà.
La conclusione cui perviene il lettore può sembrare risolversi nella banalità del luogo comune secondo cui “si stava meglio prima” o, per essere cattivissimi, “si stava meglio quando si stava peggio”. Però Pomicino dimostra che non si stava davvero peggio, ai tempi della prima Repubblica. Se non altro, c’erano almeno degli ideali, una cultura (politica e metapolitica) di riferimento. E glielo conferma, probabilmente, il fatto che siano sempre di più i giovani che – tra il serio e il faceto – guardano a quegli anni come alla ricerca di un’ispirazione che spazzi via gli asfissianti luoghi comuni della postmodernità.
*La Repubblica delle Giovani Marmotte di Paolo Cirino Pomicino, 268 pp, 15 euro, Utet