Fa un certo effetto, abituati come siamo al dibattito tra intellettuali più attenti al proprio look che al contenuto delle loro opere, leggere di uno scrittore che si pone problemi filosofici, e che, per risolverli, chiede aiuto alla teologia, come fa Martin Walser nel suo ultimo libro pubblicato in italiano, Sulla giustificazione, una tentazione (a cura di F.Coppellotti, Edizioni Ariele, pp 160 € 15). Considerato uno dei più grandi autori tedeschi contemporanei, Martin Walser, nonostante sia arrivato alla soglia dei novant’anni, non si stanca di assumere posizioni controcorrente, criticando la manifesta superficialità di molti suoi colleghi scrittori o giornalisti, la cui massima ambizione sembra essere “avere ragione”.
Il discorso di Walser, dato che proprio di discorso si tratta, tenuto all’università di Harvard il 9 novembre 2011, parte proprio da qui, e verte sull’imprescindibile esperienza religiosa che, in quanto esseri umani, non possiamo ignorare. “Avere ragione”, o “essere compresi” o addirittura “sentirsi esponenti dello spirito del tempo” non è e non potrà mai essere abbastanza, dato che, per lo scrittore tedesco, si tratta solo di surrogati dell “giustificazione”, molto spesso legati all’opportunità e al potere, come è oggi la “political correctness, che non è che un addomesticamento della coscienza, una giustificazione passe partout”.
Walser parte dall’esegesi di Karl Barth della Lettera ai Romani, e la legge accanto allo Zarathustra di Nietzsche, il suo livre de chevet, per esaltare nel primo la grazia (che in qualche modo può essere avvicinata all’idea di “giustificazione”) e nel secondo la bellezza, che servono entrambe a raggiungere le mete (irraggiungibili) dell’uomo e del superuomo.
Avvicinandosi a maestri del pensiero e della letteratura come Kafka, Agostino, Lutero, Calvino, Weber e Hoelderlin, Martin Walser dimostra che il discorso religioso è importante anche quando è assente, siccome i suoi contenuti hanno valore a prescindere da quella che ritiene una sterile discussione sulla loro realtà o meno. Esattamente come i personaggi letterari, che esistono anche se non hanno mai fatto la loro comparsa nel mondo reale, così le questioni religiose hanno importanza anche se Dio non esistesse. E la mancanza di Dio si sente, se non altro come vuoto, come disse il filosofo americano Ronald Dworkin,: “Non credo in Dio, ma sento la sua mancanza”. Ben più triste la posizione dell’ateo, per cui il vuoto non ha nessun posto, un vuoto non percepito, poiché “ci può essere vuoto solo là dove Dio manca, e là dove Dio non viene sostituito da nessun –ismo”.
La conclusione di Walser è implacabile: “un mondo senza vuoto è un mondo troppo povero”, e soprattutto un mondo sbagliato, dato che, come scrisse nel suo diario il 6 marzo 1981, “lo sviluppo del linguaggio porta del tutto spontaneamente alla creazione di qualcosa come Dio, che è probabilmente la parola più pura che vi sia”.
* Sulla giustificazione, una tentazione di Martin Walser (a cura di F.Coppellotti, Edizioni Ariele, pp 160 € 15)