Roberto Saviano è un uomo molto impegnato, si sa. Così impegnato da non avere molto tempo per fare ricerca e al tempo stesso scrivere, come si potrebbe intuire dalle svariate accuse di scopiazzatura che gli sono arrivate addosso negli ultimi anni.
Saviano è intervenuto con un articolo su Repubblica che presenta la ripubblicazione di un libro maledetto, ma maledetto per davvero: “La distruzione” di Dante Virgili, che verrà riproposto da Il Saggiatore. L’interessante articolo su Repubblica (lo è veramente, soprattutto per chi non conoscesse ancora il sulfureo Virgili) altro non è che un estratto della prefazione che lo stesso Saviano ha scritto per il volume di prossima uscita.
L’attacco è forte, incisivo, stentoreo: “Odio. Odio vivo, sanguinante, pulsante. Odio vero, non gioco di prestigio, sotterfugio letterario, pigro sfogo di penna. Odio, odio, odio. Scriverlo tre volte di seguito forse basterà nella somma a far intuire cosa ha scritto e chi è stato Dante Virgili. I francesi, in letteratura, sanno quando si parla d’odio vero, con che cosa si ha a che fare. Louis-Ferdinand Céline, che non abbisogna altro che d’esser citato, Blaise Cendrars e la sua mano mozza, artefice di pagine dove l’odio umano vibra in un incredibile meccanismo armonioso, e il padre assoluto degli odiatori, Charles Baudelaire, sono autori capaci d’usare la parola come arnese acuminato contro tutto ciò che si pone a portata d’affondo, di staffilata”.
Un incipit che colpisce. Pure troppo. Perché assomiglia molto a quello che lo stesso Saviano scrisse nel 2004 in un articolo per Nazione Indiana sempre dedicato al romanzo di Dante Virgili, all’epoca in uscita per l’editore Pequod. Anzi è praticamente uguale:
“Odio. Odio vivo, sanguinante, pulsante. Odio vero, non gioco di prestigio, sotterfugio letterario, pigro sfogo di penna. Odio, odio, odio. Scriverlo tre volte di seguito forse basterà nella somma a far intuire cosa ha scritto e chi è stato Dante Virgili. I francesi, in letteratura sanno quando si parla d’odio vero, con che cosa si ha a che fare. Louis-Ferdinand Céline, che non abbisogna altro che d’esser citato, Blaise Cendrars e la sua mano mozza artefice di pagine dove l’odio umano vibra in un incredibile meccanismo armonioso ed il padre assoluto degli odiatori: Charles Baudelaire, sono autori capaci d’usare la parola come arnese acuminato contro tutto ciò che si pone a portata d’affondo, di staffilata”.
Ohibò, vuoi vedere che dodici anni dopo Saviano ha copiato se stesso? Senza contare che l’articolo di Nazione Indiana era a sua volta la versione ridotta di un articolo che il guru anticamorra aveva scritto l’anno prima per la rivista Pulp. Per carità, autocopiarsi non è reato e poi letteratura e giornalismo sono un po’ come il maiale: non si butta via nulla. Però è singolare che nell’era del web (perciò degli archivi pressoché eterni e alla portata di tutti) Saviano non abbia sentito la necessità di cambiare due parole, invertire le frasi, togliere o aggiungere quattro aggettivi; insomma di seguire quelle mini-precauzioni che persino il più scalcinato dei cronisti adotta per non far vedere che ha copiato l’Ansa o il comunicato stampa.
Il corpus dell’articolo di Repubblica poi si differenzia da quello di Nazione Indiana, anche se le ripetizioni non mancano, ma che dire del finale? Ecco quello di Repubblica: “Proprio la magica impubblicabilità di Virgili, rende le sue pagine così importanti e necessarie, ma d’una necessità che trascende il piano d’un romanzo. Le parole di Virgili marchiate a fuoco su pagine bianche, potranno anche esser pubblicate, ma manterranno la loro labirintite scompaginata, l’accumulazione parossistica d’odio ed efferatezza, la tenerezza nascosta di un’umanità in letargo. Virgili non è da leggere ma da iniettare”. Forte, non c’è dubbio. Già non vedo l’ora di comprare il libro di Virgili, lo ammetto.
Dodici anni fa invece Saviano su Nazione Indiana concludeva così: “Proprio la magica impubblicabilità di Virgili, rende le sue pagine così importanti, e necessarie, ma d’una necessità che trascende il piano d’un romanzo. Le parole di Virgili marchiate a fuoco su pagine bianche, potranno anche esser pubblicate (come ci auguriamo) ma manterranno la loro labirintite scompaginata, l’accumulazione parossistica d’odio ed efferatezza, la tenerezza nascosta di un’umanità in letargo. Virgili non è da leggere ma da iniettare”.
Quell’articolo era bello, Saviano, bello davvero. Ma era il caso di riproporlo quasi pari pari dodici anni dopo? Boh?
ps su Barbadillo avevamo scritto un interessante articolo su Virgili: eccolo.