Da quando ho visitato Hiroshima per la prima volta, mi è capitato di condividere – da ultimo grazie alla disponibilità di Barbadillo.it – il racconto non solo di ciò che avevo ascoltato parlando con i testimoni del bombardamento, gli hibakusha, ma più in generale ciò che ho appreso e sentito sull’argomento durante gli anni che ho trascorso in Giappone.
Non credo di aver ancora finito di elaborare un pensiero fermo sull’argomento, anche perché la fine tragica della Guerra del Pacifico, e non intendo unicamente nel suo epilogo nucleare, si sviluppa in talmente tante schegge che resta difficile assimilarla in modo definitivo. Come il fungo atomico che settant’anni fa bruciò insieme il cielo e la terra, la mostruosità, la violenza e la spietatezza con cui si fa i conti nell’affrontare il racconto degli ultimi mesi di quel conflitto, toccano allo stesso modo il generale e il particolare, la strategia e la tattica, l’acciaio, il cemento, la pelle, gli occhi e le dita.
Adesso sono passati settant’anni dal 6 agosto 1945, e negli ultimi giorni sulla stampa italiana e sulla rete sono apparsi una varietà di articoli, di interventi, di opinioni. Trovo giusto che gli italiani provino compassione di fronte all’orrore del bombardamento atomico di quelle due città e dei loro abitanti, ed è un bene che la storia di Hiroshima e Nagasaki venga spiegata ai più giovani, come anche che la memoria delle vittime venga conservata e rispettata.
Però è importante ricordare che le esplosioni di Hiroshima e di Nagasaki non sono state due eventi eccezionali, due accecanti fulmini a ciel sereno che hanno concluso il disastro della guerra. Al contrario, esse hanno fatto parte integrante di un’ampia e spietata campagna di bombardamenti a tappeto delle città giapponesi, iniziata già nel giugno del 1944: una sistematica devastazione effettuata quotidianamente, di notte e di giorno, con ordigni potentissimi, bombe a grappolo incendiarie, esplosivi al fosforo, un inferno di fuoco che non si è interrotto nemmeno dopo che Hiroshima e Nagasaki erano state cancellate dalla faccia della terra.
Per comprendere l’intensità di questa campagna di bombardamento strategico, basti prenderne una singola incandescente frazione: per esempio uno solo dei tanti bombardamenti di Tokyo, la cosiddetta “operation meetinghouse” del marzo 1945, effettuata da trecento B29 che sganciarono sulle abitazioni della capitale giapponese quasi duemila tonnellate di bombe incendiarie, sviluppando una tempesta di fiamme di quattromila ettari, che solo in una notte scaraventò all’altro mondo oltre centomila persone, per non parlare dei feriti.
Il 6 agosto dell’anno scorso, proprio su Barbadillo.it, avevo suggerito di distogliere lo sguardo dall’immagine di quel fungo atomico, e di concentrarsi invece su cosa succedeva a terra, dove vivevano gli uomini e le donne, per vedere con che coraggio seppero reagire e resistere in mezzo alla nebbia velenosa.
Oggi, nel settantesimo anniversario del bombardamento di Hiroshima, potremmo allontanarci ancora da quella singola fotografia in bianco e nero, per vedere meglio quello che la circonda, ciò che l’ha preceduta e ciò che l’ha seguita. Soprattutto, dovremmo dare un nome e un volto a certe persone: perché la storia, fino a prova contraria, è fatta dagli uomini, non dalle bombe.
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La concezione cavalleresca del generale americano Haywood Hansell
Entrato in aviazione negli anni venti, il Generale Haywood Hansell è uno dei principali responsabili dell’Air War Plans Division, l’AWPD. Fautore dello strategic airpower, è un esperto del sistema americano di bombardamento strategico. Hansell è un gentiluomo del Sud, nato in Virginia e cresciuto in una famiglia della southern aristocracy. Ama la musica, la letteratura e ha un carattere piacevole, anche se in qualche occasione gli viene imputato un eccesso di severità. In quanto a tradizioni militari, può vantare antenati che hanno combattuto nella rivoluzione americana, altri nella guerra del 1812, altri ancora nell’esercito confederato, e infine nella prima guerra mondiale.
Posto a comando delle operazioni di bombardamento del Giappone, a Guam, nell’autunno del 1944, Hansell mostra di avere ereditato dalla sua famiglia una concezione cavalleresca della guerra. Pur credendo fermamente nel valore strategico dell’arma aerea, il Generale si impegna nella misura del possibile a ridurre le sofferenze della popolazione civile, prediligendo i bombardamenti mirati, nelle ore di luce. Sapendo che questi però comportano più rischi per gli equipaggi dei suoi B29, Hansell cerca di contenere le perdite sviluppando – di concerto con la marina americana – un efficace sistema di salvataggio in mare degli aviatori abbattuti.
Tuttavia queste qualità di Hansell divengono presto motivo di contrasto con il suo comandante – che pure lo conosce bene dai tempi dell’AWPD – il Generale Henry Arnold. Quest’ultimo, un sanguigno aviatore della Pennsylvania, che ha imparato i rudimenti del volo nientedimeno che dai fratelli Wright, non è soddisfatto dei risultati ottenuti dalla flotta di B29: come il suo Chief of Staff Lauris Norstad, il generale Arnold è totalmente contrario all’impostazione di Haywood Hansell, quella dei bombardamenti di precisione, effettuati nelle ore diurne.
Arnold, sbrigativo e impaziente – e noto anche per il suo nervosismo, che gli causa ben quattro infarti tra il ’43 e il ’45 – preferisce ricorrere direttamente al bombardamento notturno delle città, con l’uso massiccio di bombe incendiarie.
Il rapporto tra i due generali peggiora di settimana in settimana, finché il 6 gennaio del 1945, senza mezzi termini Hansell manda a dire al suo capo Arnold che considera la sua tattica ripugnante, oltre che militarmente poco efficace.
Naturalmente Hansell viene immediatamente rilevato dall’incarico, e lascia Guam dopo una settimana. Da quel momento il suo sostituto – il generale Curtis LeMay – moltiplica ogni notte i bombardamenti incendiari sugli obiettivi civili. Inoltre mette in piedi la “Operation Starvation”, l’operazione carestia: una campagna di minamento dall’aria delle acque interne, dei canali ad uso agricolo e industriale, delle risaie e dei corsi d’acqua nipponici.
In pochi mesi, le maggiori città giapponesi sono ridotte a distese di cenere e macerie, e dopo esattamente sei mesi, Hiroshima e Nagasaki vengono praticamente cancellate dalle esplosioni nucleari.
Le difese aeree giapponesi sono inesistenti, e i bombardamenti proseguono.
Il Generale LeMay sostiene che per un bombardiere americano una missione nei cieli del Giappone è ormai più sicura di un volo di addestramento negli Stati Uniti.
Intanto, pressato dal governo a fronte di un apparente stallo nei negoziati di pace, il Generale Arnold dà ordini a LeMay di rafforzare la campagna di bombardamento aereo.
E’ passata una settimana dall’esplosione atomica di Hiroshima.
Le istruzioni adesso sono di organizzare un attacco il più ampio possibile – con l’utilizzo di almeno mille aerei – su Tokyo, Yokohama, Osaka e Kobe.
Bisogna bombardare giorno e notte, da bassa quota, volando in formazione sopra le aree abitate, per infondere il terrore nella popolazione civile.
E’ così che finisce la guerra del Pacifico.