“Vai con la donna, non dimenticare la frusta”, questo il consiglio della vecchia a Zarathustra, il protagonista del celeberrimo Così parlò Zarathustra del buon Federico Nietzsche, pubblicato nel 1883. Chissà se l’arguta vecchiarella oggigiorno avrebbe dato al superomistico asceta un simile ragguardo. Un sottile filo rosso sottende il pensiero della rivoluzione conservatrice, nel cui alveo lo stesso Nietzsche è da ascriversi: la misoginia, una misoginia che tuttavia non giustifica alcuna forma di violenza sulla donna, ma è tesa ad evidenziare il carattere magnetico ed ammaliatore della foemina simplex.
Nella sua opera Sesso e carattere, Otto Weininger ipotizza che in ogni essere umano alberghi un lato maschile ritenuto attivo, produttivo, cosciente e logico, ed un lato femminile da considerarsi invece passivo, improduttivo, inconsapevole e illogico o amorale. Weininger nel corso della sua disamina giunge a sostenere che l’emancipazione debba essere riservata alle sole “donne mascoline”, ad esempio le lesbiche (saranno contenti quelli del gender…), e quelle donne la cui funzione riproduttiva sia esaurita. Lo stesso buddhismo delle origini, afferma Evola nella sua Dottrina del Risveglio, non permise mai che alla nobile dottrina del Buddha si accostassero le donne, ritenute troppo compromesse con il mondo per il loro soggiacere ad un incessante bisogno sessuale e riproduttivo: non poteva essere altrimenti in un contesto come quello buddhista il cui obiettivo principale era emanciparsi dalla nascita.
Lo stesso Evola, in uno dei suoi più gustosi articoli di costume intitolato giustappunto “Le ragazze italiane” avrà a fare una acuta disamina della femina, com’egli da retrivo codino la chiamava (sic!) – ed in particolare della sottospecie femina italica, che in quell’occasione poneva a raffronto con quella nordica. La donna italiana usciva colle ossa rotte sotto i colpi di maglio – pardon, di frusta… – del Barone siciliano: ad essa s’imputava di non avere una propria autonomia indipendentemente dalla preoccupazione per il sesso e per l’esperienza amorosa in genere, la sua vita riducendosi all’imbellettarsi e ad apparire piacente per attirare gli uomini nella propria orbita. Delle sorte di “maghe Circi”, molto meno fascinose e molto più moraliste dovevano sembrare le ragazzotte italiane del suo tempo ad Evola, tanto più per la loro propensione a razionalizzare e ad amministrare i loro rapporti cogli uomini, da perfette borghesi piccole risparmiatrici, tutte tese al ‘compromesso’ (erano gli anni della parca amministrazione della DC…) per accalappiarsi la preda migliore per ‘sistemarsi’.
A leggere l’articolo di Evola pare di ritrovarci ai giorni nostri: sotto a quella patina fatta di piercing, tattoo esotici, capelli ed abiti mascolini, il tutto condito da una parvenza di aggressività e un’aria da menefreghiste, si cela ancora infatti nella ‘tipica ragazza italiana’ l’archetipo della foemina simplex in gonnella. Dietro ogni ragazzetta dall’età puberale in su, anche nelle meno graziose e piacenti, a dir la verità anche in veri e propri ‘cessi a pedali’ pullula un animo da piccolo risparmiatore, da affarista piccolo borghese, che cerca il partito più conveniente per accasarsi. Insomma, ben lungi dalla ragazza italiana è lo spirito dell’Amazzone, o ancor meglio della virago, essa non è quasi mai eroica, finge di essere erotica, ma in verità non è nemmeno questo.
La visione di Evola
La donna mediterranea, quasi senza eccezione, ha la propria vita orientata nel modo più unilaterale e, diciamo pure, più primitivo verso l’uomo. Noi siamo ben lungi dall’esaltare la donna mascolinizzata o la “compagna”: fatto è però che la donna mediterranea trascura quasi sempre di formarsi una vita propria autonoma, una sua personalità, indipendentemente dalla preoccupazione del sesso, tanto da potersi permettere poi, nel campo del sesso, quella libertà, e mantenere in esso quella spregiudicatezza unita a linea, che si riscontrano, ad esempio, in una berlinese, in una viennese, in una danese.
La vita interiore della gran parte delle nostre ragazze si esaurisce, invece ed appunto, nella preoccupazione pel sesso e per tutto ciò che può servire per ben “apparire” e per attrarre l’uomo nella propria orbita. È così che noi vediamo spesso donne e giovanissime, tenute ancora dalla famiglia in una specie di recinto di protezione, tutte pittate ed attrezzate come, nei paesi del Nord non lo sono nemmeno le professionals. E basta esaminarle un momento per accorgersi che, malgrado tutto, l’uomo e i rapporti con l’uomo sono l’unica loro preoccupazione, tanto più palese, per quanto è mascherata da ogni specie di limitazioni borghesi ovvero da una sapiente, razionalizzata amministrazione dell’abbandono. Al che, subito si aggiungono complicazioni ben comprensibili, data la corrispondente attitudine dell’uomo.
Si può vedere ogni giorno, in una via di grande città, che cosa succede quando una ragazza appena desiderabile passa dinanzi ad un gruppo di giovani: questi la scrutano e la seguono con lo sguardo “intenso”, come se fossero tanti Don Giovanni o degli affamati tornati dopo anni di Africa o di Artide; l’altra mentre nelle pitture, nell’incedere, nelle vesti e così via non fa mistero di tutta la sua qualificazione femminile, affetta un’aria di sovrana indifferenza e di “distacco” (anche quando si tratta di una mezza calzetta, ove sarebbe difficile trovar dell’altro, oltre la qualità biologica di esser nata, per caso, donna); tanto che l’osservatore di simili scenette è portato a chiedersi seriamente se l’una e gli altri non abbiano davvero nulla di meglio da pensare per compiacersi di una simile commedia.
Col carattere immediato e, diciamo pure, grezzo delle sue inclinazioni erotiche, un certo tipo umano, purtroppo da noi molto diffuso, allarma la donna, la mette sulle difese, favorisce ogni specie di complicazioni dannose: dannose, in primo luogo, proprio per lui. La donna, mentre da un lato non pensa che a possibili rapporti con l’uomo e all’affetto che essa può produrre sull’uomo, dall’altro si sente come una specie di preda desiderata e inseguita, che deve star bene attenta ad ogni passo falso e “razionalizzare” adeguatamente ogni relazione ed ogni concessione.
Ma a parte queste circostanze esteriori, di cui ha colpa l’uomo, devesi accusare un atteggiamento effettivamente falso proprio ad un diffuso tipo femminile. Si può affermare che, nel 95% dei casi, una ragazza può aver già detto interiormente “si”, ma che essa si sentirebbe avvilita nel comportarsi risolutamente di conseguenza, senza sottoporre l’uomo a tutta una trafila di complicazioni, ad una via crucis erotico-sentimentale. Temerebbe, altrimenti di non esser considerata come una “persona seria” o “per bene”, laddove da un punto di vista superiore, proprio una tale insincerità e artificialità sono segno di poca serietà. Su base analoga si svolge la prassi ridicola di flirts, il rituale dei “complimenti”, del “fare la corte”, della obbligata “galanteria” del “forse che si, forse che no”. E che in tutto ciò l’uomo non si senta offeso nella sua dignità, quasi come per una prostituzione psichica che, alla fine, dovrebbe fargli chiedere si le jeu vaut la chandelle – ciò dimostra l’influenza che sul nostro sesso hanno componenti razziali poco felici.
Ciò che una donna potrà essere conformisticamente e, diciamo così, su di un piano naturalistico, come “sposa” e “madre”, qui non entra propriamente in discussione. Certo è però che, sotto ogni altro riguardo, la ragazza italiana molto avrebbe bisogno di esser “rettificata” secondo uno stile di sincerità, di chiarezza, di coraggio, di libertà interiore. Cosa naturalmente impossibile, se l’uomo non la aiuti, in primo luogo facendole sentire che, per quanto importanti, amore e sesso non possono avere che una parte subordinata rispetto a più alti interessi; in secondo luogo, smettendola di atteggiarsi continuamente come un Don Giovanni o come una persona, che mai abbia visto una donna: perché, in via normale, dei due è la donna che deve cercare e chiedere l’uomo, non viceversa. […]
(Brani tratti dall’articolo Le ragazze italiane apparso sul quotidiano Il Roma il 24 agosto 1952)
L’unica avventura che amano concedersi le nostre girls è quella con giovinastri finto-ribelli, magari tossici, prese da una sorta di nostalgie de la boue che tanto le fa assomigliare alla romanzesca Lady Chatterley, l’annoiata signorina inglese, degna figlia dell’alta borghesia puritana che s’incapriccia per un rude guardiacaccia, un po’ come accade fra la Melato e Giannini nella celebre pellicola dal titolo chilometrico della Wertmüller. Ma non ci meravigliamo, in una società in cui molti protestano contro la necessaria violenza delle forze di polizia per ridursi ad esaltare quella illegale di un qualsiasi criminale, in cui ogni più alto sentire è venuto meno, è normale che la donna – da sempre attratta dal tipo del maschio dominante – si senta allettata da un tipo di eroismo, che più che esser tale ne è un indegno surrogato. Del resto, non è tutta colpa sua, ma mala tempora currunt, e da perfetti ignoranti noi moderni abbiamo creato una spiritualità devirilizzata ed una virilità antispirituale. Abbiamo osannato Eracle non per la sua comunanza con Giove, ma per la sua clava…
Fossimo dei fatalisti citeremmo un passo dei Vishnu Purana, l’antico testo sacro hindū che a quanto pare descriverebbe la nostra epoca, il funesto Kaly Yuga…