L’immagine iniziale con cui si apre il nuovo libro di Pierfranco Bruni La pietra d’Oriente è quella di Gesù e Giuda che camminano fianco a fianco nel deserto tra alzate di vento e di sabbia. Si sono ritrovati dopo il Getsemani, dopo la morte. Dialogano, si confrontano, ciascuno con la propria verità. Giuda è un uomo che cerca di capire. E’ tutto calato nella storia e dunque non ha il senso del mistero.
Per lo scrittore calabrese, Giuda è un uomo che si è smarrito, piuttosto che un traditore è un uomo che non ha saputo attendere, che non ha capito che il Messia non colpiva con la spada ma con il cuore: “Gesù gli teneva la mano. Non hai sfidato me – gli dice – ti sei voluto sfidare. Il tuo peccato non è il tradimento, è quello di non essere stato capace di resistere e di aspettare. Non hai saputo sperare”. E così non si è perdonato, malgrado il perdono di Gesù: “Gesù si incamminò tra gli ulivi e con una mano prese un ramoscello. Non parlò ma continuò a guardare Giuda e ad osservarlo attentamente. Gli fece segno. Giuda si avvicinò. Gesù prese il ramoscello che aveva tra le dita e lo spezzò. Metà del ramoscello lo tenne per sé”.
Questo libro, in realtà, come altri di Bruni, non è un romanzo né un diario, ma un racconto lirico, ci parla di una ricerca, di un percorso di fede, di quel viaggio che è la vita. Scrive Bruni: “Resto un viaggiatore. Forse insonne o svaghito. Ma nel viaggio ho sempre più la necessità di non perdermi e di ritrovare gli intrecci di una memoria lunga che mi riporta alle radici.” E quali sono le nostre se non quelle legate alla cristianità? Bruni dialoga con le figure principali del dramma evangelico, Giuda e Maria di Magdala soprattutto, le reinterpreta, fa i conti con la Tradizione, si interroga sulla propria fede, sull’uso della ragione, sul mistero.
La ragione certo può certo sfiorare il mistero, poi però deve cedere il posto alla fede, affidarsi alla misericordia di Dio. “Non è possibile alcuna spiegazione. La fede non è un capire. Non puoi trovare elementi per un ragionamento”, dichiara l’autore, che nel contrasto tra fede e ragione prende le parti della prima e come Tertulliano finisce per affermare credo quia absurdum. Le storie che l’autore ci racconta liricamente sono tutte storie incompiute, sono circondate da quell’alone di mistero che fa parte della vita. Così da cristiano (un po’ eretico, sulla scorta dei Vangeli gnostici) vede l’incontro di Maria di Magdala e Cristo come un incontro d’amore. Maria di Magdala ama Gesù, lo sente come vento bussante alle spalle. “Io dal giorno del cerchio sulla terra di polvere seguii i suoi passi. Ci amammo. Nessuno ha mai voluto credere a questo nostro amore. Filippo parlò di noi. Maria parlò di noi. Poi soltanto accenni al mio nome”.
Oltre le storie c’è poi l’Oriente, con il suo fascino e i suoi paesaggi (non meramente descritti, ma filtrati dal ricordo, correlati ai suoi stati d’animo) e una figura femminile immaginaria cui l’autore si rivolge nell’ultimo capitolo del libro, Nadine (il cui nome significa non a caso speranza). Al pari di Pierre Drieu la Rochelle, che nell’ultima parte della sua vita si era accostato all’induismo cercando gli elementi comuni alle varie tradizioni religiose oltre i dogmi e i riti, così Bruni partendo dalla tradizione cristiana (che nasce in Oriente) incontra altre tradizioni orientali come quella islamica e sciamanica.
Ricordiamo che la pietra simboleggia il cosmo o la divinità tout court, che nel mondo islamico alla Mecca viene venerata una pietra nera considerata il centro del mondo, l’intersezione tra divino e umano. E che nella cristianità la pietra è simbolo di fermezza, di salvezza, di indistruttibilità, rappresenta la Chiesa. Nelle ultime righe del racconto così Bruni riassume il suo cercare: “La pietra d’oriente non è un amuleto. Ogni storia perde la sua storia quando il tempo diventa viaggio. Leggi nei riflessi della pietra. L’oriente ti parlerà. Tutto è incompiutezza”.
Pierfranco Bruni, “La Pietra d’Oriente”. Pellegrini editore, pagg. 132, € 12.